News
"I rischi biologici nel settore sanitario e le ferita da punta e da taglio"
fonte www.puntosicuro.it / Rischio Biologico
22/09/2015 - Se consideriamo che nell’Unione Europea gli
addetti alla sanità rappresentano
uno dei più estesi settori d’impiego con circa il 10% della popolazione
lavorativa (il 77% sono donne) e che solo in Italia gli operatori
sanitari alle dipendenze dal Servizio Sanitario Nazionale sono circa
450.000 (276.000 infermieri e 111.000 medici), si può capire quanti
possano essere i
soggetti esposti ai rischi derivanti dall’uso di strumenti taglienti o appuntiti nel
corso di varie procedure (quali iniezione intramuscolare o
sottocutanea, prelievo di campioni di sangue, cateterismo endovenoso,
... ) nel settore sanitario.
In questo settore il
rischio biologico occupazionale di
natura infettiva, allergica, tossica e cancerogena dovrebbe dunque essere
evidente e correttamente percepito come rischio negli ambienti sanitari. Invece
“una recente indagine realizzata in Italia ha sorprendentemente messo in
evidenza che
tale rischio è conosciuto
meno dai professionisti sanitari piuttosto che dalle altre categorie di
lavoratori prese in considerazione: alimentazione, catering, servizi,
agricoltura e allevamento ecc”.
Di questa indagine, di altri
studi e delle problematiche del rischio biologico nel settore sanitario parla
un breve saggio, un
Working Paper
pubblicato da
Olympus il 15 settembre
2015 e dal titolo “
Il rischio biologico
nel comparto sanitario. Le infezioni occupazionali”.
Il documento, a cura di Maurizio
Sisti (ricercatore di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di
Scienze Biomolecolari dell’ Università di Urbino “Carlo Bo”), si propone dunque di
affrontare la “problematica del rischio
biologico nel comparto sanitario con particolare riferimento alle infezioni
occupazionali degli operatori sanitari in seguito a esposizioni mucocutanee o
accidentali con sangue, liquidi biologici o materiale contaminato”.
Problematica rilevante anche in relazione all’alta percentuale dei tassi di
mancata notifica per le esposizioni percutanee.
Il Working paper si sofferma
anche sulle
criticità del D.Lgs. n. 19/2014,
recepimento della direttiva 2010/32/UE, in merito alla prevenzione delle ferite da taglio o da
punta, ponendo in risalto gli
aspetti positivi e le criticità. E si evidenzia anche il ruolo che svolgono le
istituzioni e le parti sociali a livello nazionale, regionale e territoriale
nell’implementare la prevenzione delle infezioni occupazionali.
Ci soffermiamo oggi in
particolare sulla
Direttiva 2010/32/UE
del Consiglio del 10 maggio 2010 che attua l’accordo quadro, concluso da
HOSPEEM (Associazione europea datori di lavoro del settore ospedaliero e
sanitario) e FSESP (Federazione sindacale europea dei servizi pubblici), in
materia di prevenzione delle ferite
da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario.
In particolare si ricorda che il
testo dell’accordo quadro è “costituito da cinque articoli e un allegato; è
diviso in preambolo, considerazioni generali e undici clausole”. E particolare
importanza assumono “le finalità, come la definizione di un
approccio integrato che deve includere
la valutazione e prevenzione dei rischi, la formazione, l’informazione, la
sensibilizzazione, il monitoraggio, l’azione di risposta e di follow-up
dell’evento” e la definizione di ‘
luoghi
di lavoro interessati’ (sono “organizzazioni/servizi sanitari del settore
pubblico e privato, nonché ogni altro luogo in cui si svolgono attività e sono
prestati servizi sanitari sotto l’autorità e la supervisione del datore di
lavoro”).
Altra importante definizione è
quella data per i “
dispositivi medici
taglienti” indicati come “oggetti o strumenti necessari all’esercizio di
attività specifiche nel quadro dell’assistenza sanitaria che possono tagliare,
pungere, ferire e/o infettare”. E gli oggetti taglienti o acuminati sono
considerati “attrezzature di lavoro ai sensi della direttiva 89/655/CEE
relativa alle attrezzature di lavoro”.
Il Working Paper si sofferma
tuttavia, sia in relazione alla direttiva che al d.lgs.
n. 19/2014 di recepimento, sul fatto che la nuova normativa pur fornendo
una serie di precise definizioni, “non chiarisca che cosa si debba intendere
per ‘
dispositivi con meccanismo di protezione
e di sicurezza’ quali possono essere ad esempio i cosiddetti
Needlestick Prevention Devices (NPDs).
Nonostante questa mancanza di
chiarezza, in Italia diverse strutture, in particolare quelle pubbliche del
SSN, hanno introdotto gli NPDs ancor prima dell’applicazione del d.lgs. n.
19/2014. E secondo alcuni dati disponibili - aggiornati al 2010 – “circa il 40%
dei prelievi ematici, il 20% dei prelievi arteriosi e il 24% dei posizionamenti
dei cateteri avvengono tramite l’impiego di presidi quali gli NPDs. Questo,
unitamente all’adozione di pratiche operative più sicure, ha contribuito ad una
forte riduzione delle punture
accidentali mediamente di oltre l’80%, valore paragonabile a quello
ottenuto in altri Paesi europei, con una punta ragguardevole del 93% osservata
in Spagna”.
E dunque – come riportato in un
documento prodotto nel 2012 dal Gruppo di Studio PHASE - si è dimostrato “come
l’adozione di dispositivi medici dotati di meccanismi di protezione e
sicurezza, come ad es. gli NPDs, parallelamente ad un’adeguata
informazione/formazione del personale sanitario sul loro corretto impiego,
abbia comportato una drastica riduzione delle esposizioni a rischio biologico
derivanti dalle lesioni percutanee accidentali quali ferite, taglio e puntura”.
Gli
NPDs – continua il documento - rappresentano dunque una “misura di
protezione collettiva atta ad eliminare o contenere al massimo un rischio
biologico specifico rappresentato da oggetti taglienti o pungenti contaminati
con sangue infetto, in linea con l’art. 286- quater, comma 1, lett. b, del
T.U., che recita: ‘
Il datore di lavoro è
tenuto ad adottare misure idonee ad eliminare o contenere al massimo il rischio
di ferite ed infezioni sul lavoro attraverso l’elaborazione di una politica
globale di prevenzione che tenga conto delle tecnologie più avanzate,
dell’organizzazione e delle condizioni di lavoro, dei fattori psicosociali
legati all’esercizio della professione e dell’influenza esercitata sui
lavoratori dall’ambiente di lavoro’”.
L’autore ricorda inoltre che
nella seduta del 25 settembre 2013 la Commissione consultiva permanente per la
sicurezza sul lavoro ha validato la buona prassi: “ Applicazione
sistemi con aghi di sicurezza”, sviluppata dal Servizio Prevenzione e
Protezione dell’Ospedale San Martino di Genova, uno dei più vasti complessi
ospedalieri d’Europa, “con l’intento di prevenire o ridurre in modo
significativo le punture accidentali da aghi impiegati nelle pratiche mediche e
infermieristiche”.
Riguardo poi alla direttiva e
alla “possibilità dell’
impiego di
vaccini efficaci, dispensati gratuitamente, qualora la valutazione
(clausola 5) riveli la presenza di un rischio per la sicurezza e la salute dei
lavoratori a causa della loro esposizione ad agenti biologici”, il documento
segnala che il d.lgs. n. 19/2014 non sembra “aver fatto definitivamente luce
sul tema delle vaccinazioni, sia obbligatorie per legge, sia suggerite per
specifiche tipologie di occupazione lavorativa, qualora possa essere ravvisato
il rischio biologico”. Problematica che emerge in particolare nel caso in cui un
lavoratore “esprima il rifiuto al trattamento immunitario obbligatorio”.
Il saggio rileva inoltre un’altra
criticità del decreto 19/2014. Il decreto, riguardo alle disposizioni
finanziarie per l’attivazione di quanto riportato nell’art. 1, precisa “che non
devono derivare
nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, provvedendo le stesse amministrazioni
competenti agli adempimenti del presente decreto con le risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Tuttavia è
difficile pensare “che gli adempimenti degli interventi, volti alla prevenzione
delle ferite da taglio o da punta e alla successiva messa in sicurezza in caso
di tali eventi, descritti nella normativa, e in particolar modo l’impiego di
dispositivi sicuri come ad es. gli NPDs, non possano comportare aggravi nella
spesa sanitaria”.
Comunque, alla luce dei dati
riguardanti le sole proporzioni economiche del fenomeno, “si può concludere che
il costo per gli adempimenti degli interventi”, descritti nel d.lgs. n.
19/2014, “può sicuramente essere
sostenibile, tenuto conto anche che sul mercato la maggior richiesta di
‘dispositivi sicuri’ potrebbe determinare una sensibile riduzione dei loro
costi”.
Ricordiamo infine che il documento
si sofferma anche sulla valutazione del rischio biologico, sui modelli
organizzativi e sulla sorveglianza sanitaria.
Olympus - Osservatorio per il
monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del
lavoro, “ Il rischio biologico nel comparto sanitario. Le infezioni
occupazionali”, a cura di Maurizio Sisti
- ricercatore di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze
Biomolecolari dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, Working Paper di Olympus
42/2015 inserito nel sito di Olympus il 15 settembre 2015 (formato PDF, 291
kB).
Tiziano Menduto
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1365 volte.
Pubblicità