News
"Il rischio chimico nella metalmeccanica: polveri, oli e fumi"
fonte www.puntosicuro.it / Rischio Chimico
25/09/2015 - Nel mondo del lavoro spesso l’
uso di agenti chimici -
intesi come sostanze o miscele, naturali o di sintesi, in forma
solida, liquida o gassosa - espone i vari lavoratori a rischi elevati
sia di infortuni che di malattie professionali. E questi rischi cono
presenti anche in comparti, come quello
metalmeccanico, dove generalmente i cicli produttivi sono semplici
e si parte spesso da materie prime che possono essere metalli in
vari formati, con lavorazioni che comportano, ad esempio, taglio,
piegatura, foratura, pressatura, levigatura, operazioni di
torneria, ...
Per parlare del rischio chimico in questo settore possiamo fare riferimento ad un intervento pubblicato sul sito dell’ Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia autonoma di Bolzano e a cura del Dott. Giampaolo Gori del Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica dell’ Università di Padova.
L’intervento, dal titolo “
Il rischio chimico nell’industria
metalmeccanica”, fa riferimento in particolare al comparto produttivo
presente nel Triveneto prendendo in considerazione i rischi presenti nelle aziende
meccaniche tradizionali (con esclusione di fonderie, acciaierie e
galvaniche).
Questo è un breve
quadro riassuntivo dei rischi:
- “
polveri generiche da molatura e/o levigatura, pulitura, satinatura;
-
polveri irritanti nel caso di verniciature epossidiche (a polveri);
-
polveri respirabili, silice libera cristallina;
-
nebbie di oli minerali (emulsionati e non);
-
fumi di saldatura (vari componenti);
-
vapori di solventi (da verniciatura, lavaggi al solvente,
incollaggi);
-
isocianati (ad es. MDI) in operazioni di schiumatura, o verniciatura
o incollaggio con prodotti a due componenti”.
Ci soffermiamo in particolare
sulle
polveri, ad esempio polveri
(generiche) inalabili “provenienti da operazioni di, movimentazione materiali
polverosi, levigatura, pulitura, satinatura, distaffaggio, taglio, pesata di
prodotto sfuso, ecc. effettuate sia con macchine fisse che con attrezzi
manuali”. Infatti le operazioni di pulitura dei manufatti metallici “possono
comportare vari passaggi: ad es. smerigliatura a grana grossa e fine, spuntigliatura,
lucidatura, ecc. con l’uso di diversi attrezzi manuali o di macchine, con vari
nastri abrasivi di diversa granulometria”.
E se in genere le polveri sono
formate da costituenti privi di particolari effetti tossicologici, vi possono
essere anche
costituenti metallici.
Ad esempio “nel caso della
pulitura di semilavorati in ottone provenienti dalla fonderia è necessario
analizzare la polvere inalabile campionata per la determinazione di vari
metalli: rame e zinco (in primis) e nichel, piombo e manganese (come
costituenti presenti in tracce)”.
Nelle polveri inalabili può
essere presente anche il
nichel: “una
esposizione di questo tipo si può avere nelle lavorazioni per la
sinterizzazione di ingranaggi metallici a base di nichel (per l’industria
automobilistica). Anche in questo caso è necessaria la speciazione delle
polveri per la ricerca del metallo, ma non solo. Sono possibili vari tipi di
indagini: valutazione dell’inquinamento delle superfici (wipe test);
valutazione del metallo direttamente sulla pelle degli addetti (pads);
inquinamento ambientale (nichel in aria); monitoraggio biologico (nichel
urinario)”.
Il rischio maggiore – continua il
documento - è l’assunzione di nichel per contatto, attraverso la pelle. Questo
rischio viene evidenziato da grosse discrepanze fra dato ambientale – bassa
concentrazione - di nichel aerodisperso e dato biologico (nichel urinario) –
presente in elevata concentrazione.
Sempre in relazione alle poveri
in molti casi può essere necessario un campionamento della frazione
respirabile: “ad esempio, per certe operazioni di sabbiatura e per la pulitura
e finitura di manufatti grezzi provenienti dalla fonderia. È possibile un
inquinamento dovuto a sabbia con un notevole contenuto in
silice libera cristallina”. E anche nei casi di manufatti
provenienti dalla fonderia (ghisa, alluminio) “le operazioni di distaffatura e
pulitura possono essere molto polverose, con concreto rischio di superamento
dei valori limite per la silice libera
cristallina”.
Veniamo agli
oli minerali. che si distinguono in interi ed emulsionabili ed
hanno una composizione estremamente varia. Infatti “oltre all’olio base, di
derivazione sintetica o minerale, sono aggiunti vari additivi con funzione
antiusura, antiossidante, antiruggine, antibatterica, fungicida, antischiuma,
antinebbia, ecc”.
Gli oli minerali sono lubrificanti altamente
raffinati “quelli sottoposti ad una estrazione con solvente e/o ad un
trattamento spinto con idrogeno o con acido solforico fumante; sono considerati
invece poco raffinati degli oli che subiscono trattamenti più blandi. Gli
IPA, che costituiscono il principale
fattore di rischio legato all’uso degli oli, sono presenti in elevata
concentrazione nei prodotti non raffinati, mentre si rilevano in tracce nei
prodotti severamente raffinati”.
L’autore si sofferma poi sulle
nebbie di oli minerali, un rischio “tipico
dell’ industria
metalmeccanica in quanto gli oli sono utilizzati ampiamente in funzione
lubrificante e refrigerante (attrito e sviluppo di calore) su tutte le macchine
operatrici ed i centri di lavoro”.
E i cancerogeni potenzialmente
presenti nelle nebbie “sono gli IPA e la Nitroso- dietanolammina:
- l’eventuale presenza di IPA e
di dietanolammina si dovrebbe ricavare da quanto dichiarato nelle schede di
sicurezza;
- una volta accertata la presenza
di queste sostanze, i rischi potenziali maggiori sono relativi all’uso di oli
puri (taglio e/o tempera) ed alle effettive condizioni lavorative;
- è stato altresì rilevato che la
percentuale di IPA può aumentare con l’uso”.
Il documento si sofferma anche
sull’evoluzione tecnologica: dalle macchine tradizionali (
torni, frese,
trapani, cesoie) “si è passati ai nuovi centri di lavoro (di varia dimensione)
alle macchine di moderna concezione costruite secondo i dettami della Direttiva
Macchine (completamente chiuse ed intrinsecamente sicure). E gli effetti sono “un
migliore controllo dell’antinfortunistica e minori rischi chimici fisici in
ambiente di lavoro”.
Rimandando ad una lettura
integrale del documento per quanto riguarda i problemi con i solventi e gli
isocianati, concludiamo questa breve disamina sui rischi chimici parlando dei
fumi di saldatura che costituiscono un
rischio di tipo complesso.
Infatti “in questi fumi possono
essere presenti vari componenti sia allo stato gassoso che allo stato solido
(particolato di varie dimensioni, particelle ultrafini - nanoparticelle,
polveri inalabili, polveri respirabili)”.
In particolare le
sostanze presenti nei fumi possono
essere:
- “gas prodotti dalla combustione
dell’aria e/o di eventuali impurezze di tipo organico, come ad esempio tracce
di oli minerali: ossidi di azoto, monossido e di ossido di carbonio, ozono,
fluoro gas, acido fluoridrico, aldeidi a basso PM, altro;
- metalli ed ossidi presenti nei
manufatti da saldare, nei costituenti degli elettrodi, nei metalli d’apporto
(barrette, filo, ecc.). Quali ad esempio: ferro, manganese, rame, zinco,
nichel, cromo, cadmio, argento”.
È inoltre noto che nell’ambito
della saldatura “si generano particelle ultrafini (prevalenti in termini di
numero le particelle con diametri medi nel range 36 – 64 nm; mentre in termini
di peso sono prevalenti le particelle con diametri compresi fra 100 – 200 nm): queste
particelle si generano anche in fasi di taglio al plasma o con il raggio laser;
le particelle ultrafini contenenti ad esempio zinco, cadmio e rame, sembrano
essere responsabili delle febbri da fumi”.
L’autori si sofferma poi sulla
saldatura inox, la saldatura di acciai
inossidabili che “comprende diverse attività lavorative nelle quali si
utilizzano leghe contenenti nichel e cromo e quindi:
- “saldatura dei vari tipi di
acciaio ‘legato’;
- saldatura diretta di acciaio
inox;
- impiego di leghe contenenti
Nichel e Cromo, anche come materiale d’apporto;
- taglio con cannello
ossiacetilenico;
- taglio laser e taglio al plasma
di acciai inox”.
In un indagine di comparto
effettuata in Emilia Romagna sono stati considerati saldatori coloro che
operavano per almeno due ore al giorno e “gli acciai più utilizzati
contenevano, oltre a significative percentuali di nichel (8-14%) e di cromo
(16-20%), anche minori percentuali di manganese (2%) e molibdeno (2-3%). I
metalli di cui sopra, nell’ambiente ad alta temperatura della saldatura,
possono essere presenti sia come metalli, sia come ossidi e comunque in stati
di ossidazione nei quali sono classificati come cancerogeni (Nichel II; Cromo
VI) pertanto, nelle eventuali misure ambientali dovrebbe essere stimato sia il
cromo totale che il cromo esavalente oltre al nichel ed agli altri metalli
presenti. Per alcuni composti del cromo è stato evidenziato anche il rischio
genotossico”.
L’autore si sofferma anche su un
caso particolare di saldatura, la
saldo
brasatura (saldatura a bassa temperatura, < 700°C): “in questo caso
vengono usate barrette di metallo d’apporto costituite da una lega che può
contenere: cadmio, argento, rame, zinco. In particolare andrà verificata
l’eventuale percentuale di cadmio”.
Infine riportiamo le
conclusioni dell’autore che ricorda
come “in linea generale i rischi connessi con le attività dell’ industria
metalmeccanica sono noti”.
Tuttavia è importante:
- “una corretta informazione a
priori sulle materie prime in uso tramite una attenta lettura delle schede di
sicurezza;
- in secondo luogo è fondamentale
avere le idee chiare sulle reali mansioni degli operatori (tempi di esposizione
effettivi);
- ciò si potrà ottenere, dopo il
sopralluogo, con una intervista mirata al datore di lavoro e/o ai responsabili
di produzione”:
Inoltre è necessaria:
- “una particolare attenzione per
i rischi cancerogeni connessi con l’uso degli oli minerali;
- così come per le saldature su
acciaio inox (verificare le reali condizioni operative) un attento monitoraggio
biologico;
- in particolare a volte si deve
valutare la possibile presenza di metalli (pesanti) nelle polveri prodotte;
- importante anche la
determinazione di polveri respirabili e della silice
cristallina in alcuni manufatti grezzi provenienti dalla fonderia”.
In ogni caso se le
reali mansioni degli addetti presuppongono
reali esposizioni a fattori di rischio chimico:
- “sarà necessaria una accurata
indagine ambientale;
- tale indagine servirà in ogni
caso a verificare se i sistemi di prevenzione primaria sono efficienti;
- infine un adeguato monitoraggio
biologico fornirà dei dati complementari all’indagine ambientale al fine di
dare un quadro esauriente della situazione”.
Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, “ Il rischio chimico nell’industria metalmeccanica”, a cura
del Dott. Giampaolo Gori del Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità
Pubblica dell’Università di Padova (formato PDF, 102 kB).
RTM
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1201 volte.
Pubblicità