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"D.LGS. 231/2001: la colpa di organizzazione"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

22/10/2015 -

Pubblichiamo un estratto dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa negli infortuni sul lavoro” - Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana “Antonio Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it

La responsabilità amministrativa da reato
Il Legislatore ha inteso aggiungere alla responsabilità penale della persona fisica che materialmente consuma il reato espressamente previsto dalla Legge (ex artt. 24-25 duodecies), una responsabilità in capo alla complessiva organizzazione aziendale, distinta da quella degli individui che la compongono, denominata <<colpa di organizzazione>>, ascrivibile all’ente (cioè all’azienda, società, associazione, fondazione, ecc.) per il reato commesso da un soggetto apicale o da un suo sottoposto.
 
Così, l'art. 5 del D.lgs. n. 231/01 prevede che l’ente sia responsabile per i reati commessi “ nel suo interesse o a suo vantaggio” da persone che rivestono il ruolo di soggetti in posizione apicale all'interno dell'ente ovvero da soggetti subalterni ai primi. Sono da considerarsi soggetti apicali (secondo la previsione della lett. a) dell'art. 5 citato), le persone che rivestono “ funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”, nonché “ persone che esercitino anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso”. Generalmente si considerano figure apicali i rappresentanti ex lege della società nonché i rappresentanti muniti di procura; gli amministratori, delegati e non, anche se dipendenti della società; i direttori generali; i soggetti delegati ad esempio per lo svolgimento delle funzioni in materia di sicurezza sul lavoro ex art. 16 D.lgs. n. 81/2008, sempre che assumano, in concreto, un pieno ed effettivo potere decisionale ed organizzativo. Sono, invece, da considerarsi soggetti sottoposti alle figure apicali, con rilievo ai fini dell’applicazione della disciplina, ex art. 5, lett. b), le “ persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza” dei c.d. soggetti apicali.
 
Il D.lgs. 231/01 ha, pertanto, introdotto una responsabilità da illecito avente natura composita che presuppone la commissione di un reato presupposto, tassativamente previsto, della cui consumazione l'ente è chiamato a rispondere indipendentemente dalla responsabilità penale del soggetto che ha consumato, materialmente, il reato presupposto.
La disciplina intende aggiungere alla responsabilità penale della persona fisica, una responsabilità capace di coinvolgere l'insieme delle persone che fanno capo all’organizzazione dell’ente, distinta da quella degli individui che la compongono: in tal senso si può affermare che la ragione giuridica della responsabilità amministrativa dell’ente è da ricondurre alla c.d. “colpa di organizzazione”, ascrivibile all’ente stesso per il reato commesso da un soggetto apicale o da un suo collaboratore “ nel suo interesse o a suo vantaggio” come indicato nella normativa. La distinzione del soggetto che consuma la fattispecie di reato presupposto, ha profonda rilevanza poiché la disciplina prevede conseguenze differenti sia con riferimento all’analisi degli elementi necessari a ché la condotta risulti rilevante ex D.lgs. 231/01, sia con riferimento all’aspetto – delicatissimo – dell’onere probatorio, in relazione all’esenzione della responsabilità in virtù della sussistenza di un Modello di organizzazione e gestione dell’ente. Sotto il primo profilo: analisi della condotta penalmente rilevante.
 
L' art. 5 del D.lgs. n. 231/2001 prevede come l'ente sia responsabile per i reati commessi “ nel suo interesse o a suo vantaggio” da persone che rivestano “ funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale” (lett. a), nonché da “ persone che esercitino anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso” (lett. b).
E’ necessario, dunque, non solo accertare la consumazione di un reato tra quelli tassativamente previsti dalla legge, ma anche che il detto reato sia stato consumato dal soggetto – apicale (sub lett. a) o sottoposto all’altrui direzione (sub lett. b) - nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Sarà dunque necessario indagare se le condotte illecite poste in essere dai soggetti dell’ente siano state poste in essere a vantaggio o nell’interesse dell’ente e non già, piuttosto, nell’interesse proprio o di terzi. In tale ultimo caso, infatti, non vi sarebbe alcuna responsabilità dell’ente medesimo.
 
I criteri di imputazione del vantaggio e dell’interesse che, come già indicato nella relazione governativa al decreto legislativo, devono venir individuati in rapporto di alternatività, devono essere accertati secondo un preciso schema d’indagine:
- il criterio dell’interesse, esprimendo una valutazione teleologica del reato, deve essere individuato ex ante al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo;
- il criterio del vantaggio, avendo una connotazione essenzialmente oggettiva, deve essere individuato ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.
 
Criteri apparentemente non “indagabili” in tutti i casi in cui l’illecito consumato sia di tipo colposo, come nel caso dei reati di cui all’art. 25 septieso dell’art. 25 undecies D.Lgs. 231/01, rendendo diversamente necessario uno sforzo interpretativo analogico non consentito. Sul punto, tuttavia, la Giurisprudenza – anche la più recente – ha affermato che nei reati colposi di evento, i concetti di interesse e vantaggio dovranno essere accertati con riferimento non all’esito antigiuridico (o all’evento), ma alla condotta, ben potendo prospettarsi che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare, e quindi colposa, sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini, comunque, il conseguimento di un vantaggio. Sotto il profilo dell’onere probatorio, in conseguenza del soggetto che delinque, il D.lgs. 231/2001 prevede:
- all’ Art.6 che l'ente non risponda del reato commesso da soggetti in posizione apicale se prova:
a) di aver costituito un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo con ilcompito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza del modello e di curarne l'aggiornamento;
b) che non via sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di controllo;
c) di aver adottato e attuato, prima della commissione dei fatti, un modello di organizzazione egestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
d) che l'agente abbia commesso il reato eludendo fraudolentemente il modello di organizzazione e di gestione.
- all’ Art. 7 che l'ente sia ritenuto responsabile qualora la commissione del reato sia stata resapossibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza: ciò nel caso che il reato sia stato commesso da un “sottoposto” all'altrui direzione o vigilanza e che detta inosservanza (degli obblighi di vigilanza e direzione) sia esclusa se l'ente prova di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati ai quali il decreto legislativo si riferisce.
 
La struttura di entrambe norme fa rilevare, immediatamente, che nei processi nei quali si accerti la responsabilità dell’ente, sembra essere invertito l’onere della prova. Mentre la struttura del processo penale fa pesare sull’accusa l’onere di provare la responsabilità penale dell’autore del fatto di reato, nel processo avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità dell’ente, l’onere della prova dell’accusa sembrerebbe circoscritto alla dimostrazione dell’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa dell’ente, con la conseguenza che la responsabilità dell’ente si rivelerebbe come presunta.
 
Presunzione di responsabilità che può essere vinta soltanto dalla dimostrazione dell’esistenza di un Modello di gestione e organizzazione dell’ente, per il caso di reati commessi da soggetti sottoposti, ovvero dalla dimostrazione che oltre alla sussistenza del Modello di organizzazione e gestione, sia stato costituito un organismo di vigilanza con autonomi poteri di controllo, il quale abbia efficacemente vigilato sull’osservanza del Modello e l’agente (figura apicale) abbia commesso il reato eludendo fraudolentamente il detto Modello. Il Supremo Collegio del 2014 (assecondando un filone interpretativo in verità stabile) [1] si è espresso chiaramente, prevedendo che nessuna inversione dell’onere della prova derivi nei processi di accertamento della responsabilità amministrativa dell’ente, dato che ogni accertamento della responsabilità del soggetto che ha commesso l’illecito penalmente rilevante e tassativamente previsto, “ si estende “per rimbalzo” dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente che rendono autonoma la responsabilità del medesimo ente.(…) gravando comunque sull’accusa la dimostrazione della commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al d.lgs. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente che ha ampia facoltà di offrire prova liberatoria”. [2]
 
Dal punto di vista processuale, la responsabilità dell’ente verrà accertata nell’ambito dello stesso processo penale in cui si accerta la responsabilità del soggetto che ha consumato il reato presupposto, ma le posizioni processuali saranno totalmente indipendenti, per cui l’ente potrà essere riconosciuto responsabile anche quando l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile ovvero il reato si sia estinto per causa diversa dall’amnistia. Tale indipendenza processuale delle posizioni impone delicate e precise puntualizzazioni sulla funzione difensionale: potranno facilmente porsi questioni di incompatibilità nell’assunzione delle difese del legale rappresentante dell’Ente indagato/imputato rispetto alle difese delle posizioni apicali indagate/imputate nel medesimo procedimento penale; così come l’ente potrà assumere nel processo non solo la posizione di indagato/imputato, ma anche di parte civile nei confronti dell’imputato persona fisica/figura apicale o addirittura di responsabile civile nei confronti della parte offesa, costituita parte civile, del reato medesimo.
 
E’ rilevante, infine, evidenziare che il reato presupposto – in relazione alla sola responsabilità dell’ente – non soggiace alla normale disciplina in tema di prescrizione dei reati, di tal ché – ex art. 22 D.Lgs. 231/01 - interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell'illecito amministrativo determinando l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione, ma soprattutto che una volta pendente il procedimento penale l’eventuale prescrizione del reato nei confronti della persona fisica che l’abbia consumato non determina alcuna estinzione in favore dell’ente.


[1] Sentenza Cass. Sez.U. 38343/14 – ex plurimis Cass. Sez. 6 n. 27735 del 18/2/2010, Scarafia, Rv. 247665-
666 e Cass. Sez. 6 n. 36083 del 9/7/2009, Mussoni, Rv. 244256
[2] Cass. Sez.U. n. 38343/14 del 24/4/2014 – dep. 18/9/2014 sul caso ThyssenKrupp

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