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"Gestire il rischio aggressività nelle strutture sanitarie"
fonte www.puntosicuro.it / Valutazione dei Rischi
06/04/2016 -
Ospitiamo un articolo tratto
da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla
sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato da
Manuela Zorzi e Antonio Zuliani.
Aggressività nelle strutture
sanitarie
All'interno delle strutture sanitarie e
sociosanitarie si sta assistendo a un aumento costante degli episodi di
aggressione messi in atto sia da parte di pazienti e loro congiunti, sia da
parte degli stessi colleghi di lavoro.
Il dato non è nuovo, se nel novembre del
2007 il Ministero della Salute ha emesso la "raccomandazione n. 8” per
prevenire gli atti di violenza ai danni degli operatori sanitari.
Occorre dire che quando parliamo di
aggressività ci riferiamo a manifestazione di atteggiamenti e comportamenti
volti ad arrecare un danno fisico o psicologico ad un’altra persona. Le teorie
psicologiche ne mettono in evidenza le diverse sfaccettature nell’intenzionalità,
nell’obiettivo, nella componente istintuale e nelle dinamiche emotive che
precedono un comportamento aggressivo.
In particolare nell’ambiente
socio-sanitario gli infermieri e gli operatori sono a rischio più elevato in
quanto sono a contatto diretto con il paziente e devono gestire rapporti
caratterizzati da una condizione di forte emotività sia da parte del paziente
che dei familiari, i quali, proprio a causa dell’essere in una condizione di
malattia o di temere di esserlo, oppure di avere pari timori per i propri cari,
si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione e perdita di controllo.
Sono numerosi gli episodi di lamentela,
critica dell’operato, attacco e denuncia da parte di pazienti o familiari, che
sfociano in minacce o in veri e propri comportamenti aggressivi verbali o
fisici ai danni dei medici, degli infermieri e degli operatori.
I sanitari che si trovano a gestire
situazioni di conflittualità vivono un forte disagio.
Eventi sentinella
Sotto questo punto di vista gli
atti aggressivi possono essere visto come eventi sentinella. Sentinella di un
progressivo deteriorarsi dei rapporti tra le persone che sfociano sempre più
spesso in atti di violenza, ma anche della difficoltà del sistema sanitario di
affrontare i cambiamenti sociali.
Se l'attenzione è posta sugli
aspetti esterni, ovvero sul fatto che le persone tendono ad aumentare le loro
modalità relazionali aggressive, le strategie possono puntare in due direzioni
complementari.
- La prima
adotta il registro del confronto tra chi esprime atteggiamenti aggressivi e le
regole vigenti nell'ambiente. La loro violazione comporta sanzioni. Ne consegue
la predisposizione di condizioni che possano dissuadere
"l'aggressore" sulla base di un mero rapporto di forza. In questo
caso non ci si riferisce solo alla presenza di personale di vigilanza, ma anche
alla dislocazione di personale scelto sulla base della stazza fisica, di
controlli video, ecc..
- La seconda punta sulla
preparazione degli operatori sanitari a individuare i primi indizi di
comportamenti aggressivi per poterli contenere, partendo comunque dall'idea che
l'atteggiamento aggressivo abbia origine sempre e comunque dal
paziente/familiare.
Accanto a questa visione se ne
pone un'altra che legge gli eventi sentinella sotto un'ottica più squisitamente
relazionale. Questa visione, ad esempio, comprende il mutare del rapporto tra
il medico e il paziente che si è andato a realizzare in questi anni. Se un
tempo il medico era senza dubbio il detentore del sapere sanitario, oggi, con
l'avvento di internet, il paziente arriva al medico con una sua idea di
diagnosi e di cura. Svilire o contrastare questa tendenza può portare a una
risposta aggressiva da parte del paziente che non sente riconosciuto lo sforzo
compiuto di cercare una risposta alle sue ansie. Oggi il medico ha la necessità
di trasformarsi da detentore del sapere a organizzatore del sapere, entrando in
una relazione diversa dal passato con i suoi interlocutori.
Anche in questo caso è
necessaria una specifica attenzione sull’incremento di competenze nei sanitari
per riconoscere e intercettare i segnali di aggressività nei pazienti e nei
famigliari e avere così maggior controllo e potere di gestione. Tale lavoro
concerne in parte l’acquisizione di abilità comunicative che favoriscano la
collaborazione reciproca, ma deve comprendere anche una consapevole conoscenza
delle dinamiche legate all’aspettativa e alla frustrazione.
Due sguardi, due
conseguenze
Sembra evidente che
entrambe le letture sopra proposte hanno una loro legittimità, il rischio
consiste nell’adottarne solamente una. La prima contiene il rischio di lavorare
prevalentemente sul tema del contrasto avviando una “battaglia” che rischia di
essere senza fine, la seconda di non considerare che esistono dei fenomeni
sociali che stanno accentuando la spinta all’aggressività, comunque presente in
ogni relazione tra le persone.
La nostra idea
Di fronte a un tema così
complesso ci sembra fondamentale avere un piano di lavoro che non può
risolversi in semplici enunciati, né prevedere modifiche organizzative o
strutturali di immediata realizzazione. Ad esempio se i tempi di attesa per le
prestazioni sono lunghi, una loro riduzione è auspicabile trattandosi di uno
dei motivi che suscitano aggressività, ma dichiararlo e poi non poterlo
realizzare per limiti organizzativi (si pensi solo alla riduzione del
personale) può risultare addirittura negativo, perché suscita attese non reali
sia nel personale sia in chi accede alle strutture sanitarie.
Analogamente pensare che
un corso di formazione sul tema dell'aggressività, isolato dal contesto
concreto nel quale tale
fenomeno si manifesta, può risultare del tutto inefficace.
Proprio la difficoltà di
analisi e di programmazione di un intervento anche pluriennale spinge spesso a
ridurre il tutto a corsi di difesa personale, oltretutto rischiosi, perché
illudono i partecipanti di aver acquisito in pochi minuti tecniche che
richiedono tempo e allenamento specifici.
Programmare un intervento
Programmare un intervento
su questo teme richiede una serie di passaggi.
Il primo consiste nel
conoscere le dimensioni del fenomeno presso quella determinata struttura.
Aspetto rilevabile inserendo questo all'interno dell'analisi degli infortuni,
con particolare attenzione a quelli che vengono denominati near miss,
ovvero eventi che non hanno determinato un danno da aggressione, ma che sono
stati sul punto di farlo, e segnalano il pericolo che questo avvenga. Occorre
capire in quali contesti si verificano gli episodi (Pronto soccorso piuttosto
che psichiatria, o cure domiciliari o geriatria, o pediatria; gli orari di
accadimento; se più eventi sono connessi ad un paziente, oppure ad un
operatore; se l’aggressore è paziente o parente; ecc.).
In secondo luogo occorre
predisporre un progetto di intervento, che forzatamente avrà una scansione
pluriennale, che, partendo dagli aspetti più critici emersi dall'analisi
condotta, identifichi le priorità di intervento.
A questo punto, accanto
alle misure di tipo strutturale (sale di attesa comode e confortevoli,
dispositivi elimina code e gestione delle liste di attesa, illuminazione,
telecamere di controllo, ecc.) e di tipo organizzativo (informazione chiara su
tempi di attesa e priorità, passaggio di consegne attento quando un paziente
comincia a manifestare problemi, ecc.), si possono attivare programmi di
formazione.
Tali programmi di
formazione hanno tre filoni:
-
il primo consiste nell'attenzione al miglioramento delle relazioni tra il
personale e tra lo stesso e gli utenti della struttura,
-
il secondo sull'attenzione all'individuazione e al contenimento di possibili
atti aggressivi,
- il terzo sulle misure di
contrasto fisico all'atto aggressivo.
In ogni caso è necessario
programmare delle simulazioni o esercitazioni, che permettano al personale di
mettere in gioco le conoscenze apprese all'interno di contesti simili a quelli
nei quali poi si trovano a operare.
L'introduzione di queste
modalità formative attive permette al personale di misurare sia le proprie
competenze tecniche sia l'esplosione delle emozioni collegate al rapportarsi
con una situazione densa di aggressività.
Pensiamo, a titolo di
esempio di simulare di doversi rapportare con una persona che si trova in preda
di forti sentimenti negativi, come la rabbia, la delusione, il senso di
impotenza, la frustrazione …, le sue facoltà cognitive e razionali sono ridotte
o annebbiate dall’emozione stessa. Affermare che il modo più efficace per
essere di aiuto è quello di attivare competenze comunicative atte a diminuire
l’intensità delle emozioni provate e avere così accesso alla parte cognitiva
dell’altro, appare scontato, metterlo in atto è ben altra cosa.
Allo stesso modo è
importante acquisire la capacità di gestire le proprie emozioni di “vittima”
come la paura, la sottomissione, la passività, il senso di colpa, le quali poi
sfociano in comportamenti poco efficaci a ridurre l’impatto dei comportamenti
aggressivi e poco efficaci a ripristinare un livello di benessere reciproco.
Per strategie comunicative
non intendiamo una serie di tecniche impostate in modo rigido e meccanico,
bensì nell’assunzione di atteggiamenti e comportamenti autentici che
favoriscano, in primo luogo, la riduzione dell’intensità della rabbia da parte dell’aggressore e,
in secondo luogo, la ripresa della comunicazione tra aggressore e vittima con
apertura verso la soluzione del problema.
In questo contesto attenzione
particolare va posta a situazioni specifiche come l’abuso di alcol
e la malattia psichiatrica, oppure demenze cattive, che meritano l'acquisizione
di strategie specifiche.
Manuela Zorzi
Antonio Zuliani
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