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"In difesa della ISO/DIS 45001 e del Risk Based Thinking"
fonte www.puntosicuro.it / Qualità ISO
20/04/2016 - Sono rimasto quasi addolorato, alcuni giorni fa, leggendo su Punto Sicuro un articolo di Tiziano Menduto che riportava la posizione dei sindacati in merito alla nuova norma,
parere negativo ingiustificato, assolutamente ingiustificato, e basato forse su un equivoco. Almeno spero.
Una norma di sistema
Prima di tutto si dovrebbe considerare cosa sia una norma, e
a maggior ragione una norma relativa a un qualunque sistema di
gestione.
Una norma è un documento di applicazione volontaria che
fornisce dei requisiti che possono essere applicati da una organizzazione, per
garantirsi un funzionamento ordinato, e che prevede anche la possibilità che
l’organizzazione ottenga una certificazione da parte di un soggetto terzo che
attesta che quella organizzazione opera in conformità alla norma dichiarata.
Quindi una norma non può in nessun modo sostituirsi alle
leggi applicabili; al contrario, una organizzazione che non applica le leggi
pertinenti è automaticamente non conforme ai requisiti della norma.
Se qualcuno, avendone l’autorità, scrivesse un documento
sulla organizzazione aziendale “migliore”, ai fini della corretta applicazione
del D.Lgs. 81/2008, ovviamente farebbe riferimento in modo diretto ai requisiti
ivi previsti, fra cui alla previsione della esistenza di una rappresentanza dei
lavoratori per la sicurezza. Ma una norma internazionale che si propone come
valida in tutto il mondo non può, evidentemente, entrare in questi dettagli
caratteristici di un paese (o di un gruppo di paesi come potrebbe essere la
Unione Europea). Quindi è impensabile trovarvi determinate indicazioni, che
però già sono nella legge e che pertanto DEVONO fare parte del sistema.
Le novità della norma
Chiaramente una norma che definisce un sistema di gestione
deve darsi un certo tipo di logica interna. Logica interna che dipende anche
dal grado di specifica competenza degli interlocutori a cui la norma è
destinata.
La storia di queste norme ci insegna che l’evoluzione è
passata almeno tramite tre fasi; ci riferiamo alle norme della serie ISO 9000
che sono quelle che hanno una storia più lunga temporalmente (la ISO 14001 e la OHSAS
18001 sono state sviluppate, sostanzialmente in linea con l’approccio
della ISO 9001 allora vigente, in momenti successivi, e poi sono rimaste
ragionevolmente allineate):
1.
PRIMA FASE
“PRESCRITTIVA” La serie 9000 si rivolgeva ad aziende piuttosto digiune in
materia di qualità, e quindi adottava un approccio impositivo / prescrittivo
riguardo ai requisiti minimi (di gestione e controllo della qualità) che
riteneva necessari per tutte le organizzazioni. Quindi la norma si concentrava
e imponeva attività e registrazioni predeterminate.
2.
SECONDA FASE “PER
PROCESSI” Quando gli enti di certificazione e i soggetti normatori
ritennero che la prima fase della 9000 fosse stata metabolizzata dalle
organizzazioni, nell’ottica del miglioramento continuo, venne introdotto un
nuovo elemento fondamentale: l’approccio per processi. In sostanza,
considerando la complessità del funzionamento delle aziende, ci si è resi conto
che affrontare i temi della gestione considerando le situazioni critiche in
modo avulso dal contesto operativo aziendale portava a lasciare non presidiate
diverse criticità potenziali. E se l’azienda deve essere intesa come un insieme
di processi fra loro correlati, per gestire un qualunque aspetto importante,
bisogna prima conoscere bene il modo di funzionare della azienda (i processi
appunto) all’interno della quale si vuole controllare una criticità. Vero è che
l’approccio per processi all’epoca definito veniva svilito da due fattori
inclusi / non inclusi nella norma:
a. Il primo: la volontà del normatore di essere lui il
soggetto capace di individuare, in maniera ancora una volta prescrittiva,
alcuni processi “critici” che dovevano obbligatoriamente essere regolamentati
all’interno di (blandi) vincoli stabiliti dalla norma stessa.
b. Il normatore di immaginare una valutazione dei rischi
insiti nei processi, valutazione quindi non suggerita dalla norma.
A proposito della
valutazione
dei rischi dei processi, almeno in materia di sicurezza e salute, questa ha
preso piede indipendentemente dalla norma in virtù dell’articolo 25 septies
introdotto nel 2007 nel D.lgs. 231/2001 e di quanto ulteriormente ben
specificato nell’articolo 30 del D.lgs. 81/2008. Classico evento da cui si
riconosce il predominio della legge sulla norma, anche sotto il profilo
pratico. Io faccio più e meglio di quello che dice la norma perché un requisito
di legge mi impone di ragionare sulla idoneità (legale, in termini esimenti)
del mio sistema di gestione.
3.
TERZA FASE BASATA
SUL “RISK BASED THINKING” Con questo arriviamo al 2015 – 2016 e alle tre
norme speculari su qualità, ambiente e salute & sicurezza che introducono
tale concetto (e con esso tante novità che ne derivano). In questo piccolo
excursus storico diciamo che “Risk Based Thinking” è un “nuovo” modo di
valutare la gestione aziendale degli aspetti potenzialmente critici, che non si
concentra solo sui rischi tradizionali, ma chiede di valutare anche tutti i
rischi che potrebbero derivare dal modo di funzionare della azienda, e dalle
relazioni che la azienda intrattiene con soggetti esterni. Mi fermo qui
rimandando a tanta letteratura già esistente in merito.
Il Risk Based
Thinking applicato nella realtà aziendale alle tematiche di salute &
sicurezza
Vedete bene che passo spesso dal termine organizzazione al
termine azienda. Da qui in poi voglio parlare di aziende, anzi di aziende
industriali e assimilabili, considerando tale ambito produttivo uno fra i più
esposti a problemi di salute e sicurezza sul lavoro.
I punti che ci interessa discutere sono quelli che possono
qualificare le norme basate sul Risk Based Thinking (in particolare la ISO/DIS
45001) come migliori o peggiori delle precedenti; il tema meriterebbe una
trattazione molto ampia, ma rischierebbe di diventare eccessivamente teorica;
io mi limiterò ad elencare alcuni concetti, a mio avviso rilevanti:
1.Coerentemente col fatto che deve essere l’organizzazione a
identificare, tramite il risk assesment dei processi, quali sono i processi
critici per salute & sicurezza che devono essere regolamentati per evitare
che si generino situazioni pericolose, la norma non fornisce più il
tradizionale elenco di processi che dovevano essere regolamentati
obbligatoriamente. Questa scelta è molto apprezzata dallo scrivente, perché
costringe l’azienda a fare una analisi dei propri processi, da una parte
evidenziando quelli critici, dall’altra motivando perché gli altri, quelli non
evidenziati, non sono critici. Naturalmente questo funziona per una azienda che
decide di applicare seriamente la norma per quello che è, un supporto al
miglioramento delle condizioni aziendali in materia di salute & sicurezza.
Se al contrario si mira al “bollino” può rappresentare la scusa per fare ancora
di meno. In questo secondo scenario mi rassicura che chi “tira al meno” si può
facilmente colpire già sul mancato rispetto dei requisiti di legge, ben prima
di arrivare a discutere di norme e certificazioni di sistema!
2.Il risk assesment dei processi in materia di salute &
sicurezza è qualcosa di ancora molto “fluido”. Qualche esperienza pilota fatta
ha portato chi scrive ad alcune conclusioni pratiche:
- “
FASE 0” il
Risk Assesment deve partire dalla completa elencazione dei processi tramite i
quali l’azienda funziona, anche quelli che apparentemente non hanno alcuna
relazione con i temi di interesse (in questo caso sicurezza & salute);
raccomandiamo di considerare davvero i processi, ovvero quegli insiemi di
attività fra loro correlate, eseguite da soggetti anche diversi, che partendo
da alcuni input perseguono un obiettivo e producono un output coerente agli
input e all’obiettivo;
- “
FASE 1” è la
fase di Assesment preliminare, che rivolgendosi a un numero elevato di
processi, deve necessariamente svolgersi ad un livello elevato (ovvero con
bassa complessità), altrimenti rischia di essere un lavoro dispersivo,
estremamente lungo e di scarso valore aggiunto. In teoria conoscendo input,
output e obiettivi dei processi, ed avendo una buona conoscenza in materia di
salute & sicurezza, già dalla descrizione sommaria del processo si dovrebbe
capire se ha relazioni o meno con salute & sicurezza.
Faccio un esempio: considerate il processo di acquisti
tramite il quale l’ente preposto, l’ufficio acquisti, riceve richieste di
acquisto e poi procede all’acquisto avendo l’obiettivo di spuntare il minor
prezzo. Ma cosa può acquistare l’ufficio acquisti? Di tutto, dalla cancelleria,
ai DPI, a nuovi impianti produttivi … quindi anche elementi nella cui scelta
hanno peso determinate considerazioni di salute & sicurezza. Quindi il
processo in oggetto, non si sa in quale forma precisa, è comunque fra i
processi da considerare e regolamentare per salute & sicurezza. Se provate
a fare lo stesso esercizio scoprirete che il processo di formazione del
bilancio aziendale non ha relazioni con salute & sicurezza, mentre un altro
processo tipico dell’area amministrativa come la definizione del budget è
invece fondamentale per salute & sicurezza.
- “
FASI 2 & 3”
metto insieme la fase di Assesment di dettaglio dei processi, dove si devono
identificare le attività che concretamente possono influire su salute &
sicurezza, e quella di regolamentazione dei processi, dove l’Assesment diventa
procedura, indicando le attività critiche, chi se ne occupa e quando.
- In aggiunta al Risk Assement dei processi, il risk Based
Thinking richiede di identificare precisamente il quadro “circostante”
all’interno del quale opera l’azienda: si tratta del contesto e delle parti
interessate, ovvero tutti quei soggetti che in qualche modo influenzano o sono
toccati dagli aspetti di sicurezza & salute gestiti dalla azienda. È un
bell’approccio, sia sotto il profilo concreto (si evitano pericolose
dimenticanze), sia da quello morale: l’azienda è responsabile di tutte le
conseguenze delle sue azioni, quindi oltre i limiti previsti (giustamente) dal D.lgs. 81/2008.
Anche questo è un invito a pensare a mente aperta che deve
essere accolto con serietà, e non per “fare contento il certificatore”. Però è
un bel valore aggiunto.
Alla fine delle mie considerazioni potrebbe emergere una
macro obiezione: i titolari e i manager
delle aziende italiane non hanno il grado di visione di insieme per applicare
un approccio così “autonomo e responsabilizzante”, ma lo useranno al meno
cercando in questa norma solo una opportunità di risparmio sui temi della
sicurezza e della salute.
Qui è una questione di percentuali, che probabilmente io
percepisco in un certo modo (positivo) in virtù della mia particolare
esperienza lavorativa. Quindi ribatto male a chi la vede in maniera opposta, ma
dico una cosa: gli strumenti (le norme, quindi, che sono strumenti per
rispettare le persone & la legge) devono essere fatti per chi onestamente
si impegna a fare il proprio dovere (di industriale, di manager o di
lavoratore), per i furbi e per i disonesti le leggi esistenti se fatte
rispettare sono già sufficienti a correggere le storture.
Alessandro Mazzeranghi
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