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"Rischio Rapina: valutazione e formazione"

fonte www.puntosicuro.it / Valutazione dei Rischi

26/05/2016 -
Da qualche tempo, specialmente in contesto bancario, nei Documenti di valutazione dei rischi viene inserita anche la valutazione del rischio di subire una rapina, da intendersi come evento criminoso, inatteso e potenzialmente minaccioso per la vita, in grado di generare pensieri, reazioni emotive e sintomi da stress nelle persone coinvolte. La specificità di questo rischio richiede un approccio diverso rispetto ai tradizionali rischi presenti nell’ambiente di lavoro: i fattori che lo contraddistinguono sono infatti variabili e sostanzialmente ineliminabili.
In questo senso, ciò che è davvero importante non è tanto la corretta quantificazione della probabilità di accadimento delle rapine quanto la capacità di individuare i suddetti fattori, sui quali è poi possibile intervenire con misure di miglioramento: proprio sul riconoscimento di questi fattori si basa qualunque razionale programma di prevenzione.
Nell’ambito di ciò che viene di solito genericamente denominato “ Rischio Rapina” è possibile individuare due distinte tematiche, tra loro correlate, che richiedono strumenti e metodi almeno in parte diversi per essere affrontate in maniera efficace. Il punto focale è in ogni caso l’evidente relazione che intercorre tra il rischio che una sede/filiale bancaria possa essere rapinata e il rischio corso dai lavoratori e dalle altre persone presenti al suo interno di subire danni fisici e psicologici come conseguenza dell’evento.
La prima tematica è proprio il rischio di subire una rapina, cioè la probabilità che una certa sede bancaria venga rapinata; a influire sull’entità di tale rischio concorrono principalmente:
- i fattori socio-economici rilevanti per questo particolare tipo di atto criminoso;
- le caratteristiche dei luoghi in cui si trova la sede bancaria e le caratteristiche di quest’ultima che possono apparire ai rapinatori come favorevoli per il “buon esito” della rapina e della successiva fuga;
- l’entità del bottino atteso.
Il danno può essere quindi costituito dalla perdita economica, dai traumi fisici e psichici subiti dai dipendenti e dai clienti, dalla perdita d’immagine.

La seconda tematica fa riferimento, invece, alla probabilità che i dipendenti della banca (e le altre persone legittimamente presenti - clienti, fornitori, ecc.) possano patire dei traumi fisici e psichici. Ad elevare il rischio, una volta che la rapina sia in corso, possono concorrere:
- il comportamento aggressivo del rapinatore;
- eventuali reazioni improprie dei dipendenti o dei clienti;
- la durata della rapina;
- l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine o delle guardie private.
 
I danni, in questo caso, sono rappresentati dai traumi fisici che possono arrivare a livelli di notevole gravità e persino alla morte e dai traumi psichici tra cui si segnala la possibile insorgenza di una sindrome post-traumatica da stress.
Il primo passo è quindi una corretta valutazione di tutti questi aspetti e, conseguentemente, l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione più efficaci. Ci sono varie misure che possono essere adottate e che comportano, per esempio, un’informazione e formazione dei lavoratori, in particolare degli addetti agli sportelli.
 
Come ci si prepara quindi ad un evento traumatico? E’ possibile minimizzare o ridurre gli effetti devastanti dal punto di vista psicologico che si subiscono nel corso di un evento violento? Sono gli interrogativi che chiunque si fermi a pensare cosa gli succederebbe nel corso di una rapina di cui fosse vittima si porrebbe nell’affrontare un percorso formativo proposto a questo scopo. La risposta è affermativa e negativa. Ci si può formare all’imprevedibile? Se esistessero delle “best-practices” per i rapinatori ci si potrebbe augurare che nell’occasione fossero dei professionisti formati ad effettuare la rapina. In realtà come sappiamo, non è possibile prevedere né le modalità né la successione degli eventi che potrebbero accadere nel momento in cui si fosse oggetto di rapina. Pur con questa considerazione di partenza è evidente la differenza fra chi affronta una possibile azione violenta discutendone e preparandosi, almeno ponendo le basi essenziali e chi, invece, a fronte di un possibile evento aggressivo, scrolla le spalle e non effettua alcuna preparazione. Ecco allora l’importanza rilevante di considerare comportamenti, esaminare possibilità, riflettere su modalità, introitare possibili azioni, possedere elementi basilari per ritrovarsi in situazioni estreme preparati almeno in termini di riflessioni adeguate. Tanto più forte su noi stessi potrebbe essere l’impatto di un’azione violenta subita, tanto più necessaria sarà una preparazione adeguata, l’unica capace di trasmetterci quelle modalità comportamentali che consentiranno di creare un processo cognitivo personale che potrà non certamente eliminare ma almeno ridurre gli effetti di un’azione violenta. E’ la differenza importante creata dal “pensarci prima” a non pensarci affatto o peggio pensare che non possa accadere che genera consapevolezze utilizzabili a fronte di eventi non prevedibili e certamente non pre-determinabili. Sono infatti le certezze acquisite le uniche capaci di “azionare” comportamenti semi-automatici in qualsiasi situazione. Proprio perché ci si prepara ad eventi rari è necessaria una approfondita preparazione qualificata che farà assumere quelle modalità che avranno a base la salvaguardia di sé stessi e dei propri colleghi. L’incolumità delle persone deve diventare così consolidata da essere un vero e proprio “mantra” capace di attivare energie insospettate e capacità reattive necessarie a superare anche ciò che si è portati a pensare di non riuscire a superare.
 
L’attivazione di processi formativi ricorrenti e significativi non sarà solo l’assolvimento di uno specifico obbligo previsto in capo ai datori di lavoro per quei lavoratori esposti maggiormente al rischio di essere rapinati ma una tutela effettiva degli aspetti relazionali ed emotivi delle persone che devono essere salvaguardati prima di ogni altra preoccupazione.
Il commento più ricorrente da parte di chi ha subito una rapina senza conseguenze fisiche è “non ero preparato” ed in effetti è possibile predisporsi ad un evento che nessuno di noi desidera accada? Si tratta di un argomento decisamente serio e quindi non sono necessarie citazioni della “legge di Murphy” o sciocchezze simili, ma di prendere in considerazione, una volta predisposte tutte le misure protettive/fisiche perché tali eventi non possano accadere, l’eventualità che accadano comunque e quindi di predisporre momenti di preparazione/riflessione, gli unici capaci di far sì che possano essere generati momenti virtuosi in cui l’intera organizzazione aziendale dedichi la propria attenzione all’argomento. Quanto è forte l’impatto emotivo che possiamo provare nel momento in cui fossimo vittime di un evento fra i più violenti possibili quale quello di essere rapinati? Quali saranno le nostre reazioni fisiche e psichiche nel trovarsi in una situazione in cui uno sconosciuto ti punti un’arma addosso? Professioni che prevedono il maneggio di denaro contante o di valori presuppongono, purtroppo, un rischio di essere oggetti di eventi assolutamente indesiderati, spesso violenti, che neppure le migliori misure protettive possono escludere. Posto che la salvaguardia dei lavoratori debba essere la preoccupazione principale che debba porsi chiunque eserciti un potere direttivo di qualunque genere, l’unica declinazione possibile a fronte dell’imprevedibile è quella di approfondire attraverso momenti di studio e di riflessione la propria preparazione all’imponderabile. Solo attraverso una formazione mirata e specifica si può pensare che reazioni, pensieri, suggestioni, determinate in un momento di fortissimo stress abbiano almeno avuto momenti di preparazione all’evento violento.
 
Per logica estensione del concetto dell’abitudinarietà sarà solo attraverso una preparazione mirata che si potrà giungere a non farsi trovare totalmente privi di qualsiasi difesa. Quindi la necessità di studiare procedure, di assumere elementi di base, di approfondire tematiche, statistiche, di conoscere sistemi di difesa e di assumerne la padronanza perfetta così da poterli esercitare anche nei momenti più complicati e stressanti. Prevenire è meglio che curare è una massima così conosciuta da non aver bisogno di essere spiegata ma si attaglia così perfettamente ad un’ipotetica situazione di estremo pericolo; le attività formative dovrebbero partire dalla padronanza completa delle misure preventive, siano esse fisiche o comportamentali per arrivare a determinare azioni consapevoli anche in quelle situazioni in cui la consapevolezza è realisticamente ridotta a causa della situazione che si sta subendo. La preparazione, in definitiva, è l’unica attività programmabile a fronte di ciò che non è programmabile né prevedibile ma sarà anche la chiave di volta per attivare sinergie aziendali di salvaguardia del bene più prezioso dell’azienda, i propri collaboratori.
La formazione/addestramento dovrebbe assicurare in fase di emergenza l’attivazione di comportamenti individuali e collettivi adatti e “trasformare” i dipendenti di ogni filiale da una sommatoria di individualità in un gruppo funzionante come un sistema in grado di “autoproteggersi” nelle situazioni di crisi determinate dall’emergenza.
In conclusione, se si considerano le peculiarità del rischio di rapina e dei principali fattori che influiscono su di esso pare quanto mai opportuno che oltre alle figure esplicitamente indicate dalla legge in ambito di valutazione dei rischi (Datore di Lavoro in primis) siano coinvolte nel processo anche altre figure di particolare esperienza e competenza sullo specifico tema.
 
 
Massimo Servadio,
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni

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