"Perché gli operatori sanitari sono stati contagiati dal coronavirus?"
fonte TIZIANO MENDUTO / Acqua
Ormai da diversi giorni una buona parte dei giornali online e cartacei, delle trasmissioni radiofoniche e televisive o delle dichiarazioni di esponenti del mondo politico o scientifico affrontano un tema unico, quello della diffusione in Italia, in particolare nelle regioni del Nord, del contagio correlato al nuovo coronavirus, chiamato Sars-CoV-2 (o COVID-19 se facciamo riferimento alla malattia che può provocare).
Noi come PuntoSicuro abbiamo cercato di fare la nostra parte raccogliendo normative, materiali, indicazioni, linee guida che potessero aiutare aziende, operatori e lavoratori a comprendere come gestire e prevenire questo particolare rischio biologico.
Tuttavia è bene anche cominciare a riflettere su come sia stato possibile che il nostro paese sia stato così permeabile al virus e, ad esempio, perché siano stati contagiati anche molti operatori sanitari. Tanto che anche il presidente dell’Ordine dei medici di Padova - una provincia, quella padovana che è stata particolarmente toccata dal nuovo coronavirus – ha sottolineato nei giorni scorsi che “ medici e operatori sanitari devono essere messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza per poter aiutare gli altri”.
Per fare qualche riflessione su questo tema abbiamo intervistato il Dott. Vittorio Agnoletto medico specializzato in medicina del lavoro, docente all’Università degli Studi di Milano (“Globalizzazione e Politiche della Salute”) e grande esperto anche riguardo alle problematiche correlati ad altri virus (ha fondato la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids ed è stato per molti anni membro della Commissione e della Consulta nazionale AIDS).
Nell’intervista – realizzata il 25 febbraio - si parla, con particolare riferimento alla diffusione del contagio in Lombardia, della mancata adozione di alcuni protocolli di protezione e anche del divario tra la medicina curativa e quella preventiva, divario che, a suo parere, può essere una delle falle, uno dei vulnus, che ha portato ai tanti contagiati tra gli operatori sanitari, specialmente a Codogno.
Dalla sua voce raccogliamo poi alcune indicazioni sulla situazione attuale della diffusione del virus Sars-CoV-2 e alcuni suggerimenti rivolti ai medici del lavoro.
Come è successo che tanti operatori sanitari sono stati contagiati dal virus?
Perché non sono stati messi in atto i protocolli di protezione?
Qual è la situazione in Italia e nel mondo del contagio? In Cina stiamo assistendo ad un reale rallentamento della diffusione del virus?
Non si assiste nel nostro paese a un eccessivo panico in relazione ai rischi reali?
Cosa si può dire ai medici che stanno occupandosi della prevenzione nel mondo del lavoro?
Il contagio del nuovo coronavirus tra gli operatori sanitari
Mi pare infatti che siano diversi i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari in generale che sono stati contagiati in queste settimane. Cerchiamo di fornire un quadro e di capire cosa è successo…
Vittorio Agnoletto : Direi che questo è veramente il tema fondamentale di questa fase dell'infezione. Il punto centrale è di non considerare normale che di fronte ad un virus come questo degli operatori sanitari si infettino. Non è normale, non è che non si poteva evitare.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, ndr) da anni ha stabilito delle indicazioni precise: sono le misure di precauzione universale rivolte agli operatori sanitari di tutto il mondo. E tra queste misure precauzionali universali da rispettare ci sono alcune cose estremamente semplici. Di fronte ad un cittadino che devi visitare e del quale non si conosce ancora la diagnosi l'operatore sanitario si deve comportare come se la diagnosi fosse positiva: sembra una cosa molto semplice ma non lo è. (…)
Il problema è che gli operatori sanitari in quel caso di Codogno - ma possiamo parlare di quelli di Piacenza, possiamo parlare di quelli del San Raffaele, possiamo parlare di quelli dell'ospedale di Lecco e di tanti altri - quando si trovano di fronte un cittadino che può essere portatore di un virus di una patologia trasmissibile e non lo sanno, non ne hanno la certezza, non possono averla immediatamente, devono avere a disposizione tutti i presidi sanitari necessari per non dover correre dei rischi.
Devono avere un' organizzazione sanitaria, un' organizzazione del lavoro - ed è una scienza l'organizzazione del lavoro, non sono parole – tali che li mettano al riparo dal rischio di contagio.
Questo significa disponibilità di mascherine, efficaci, disponibilità di guanti, possibilità di visitare questa persona in un ambito dove non vi sono altri in attesa di essere visitati a cui questa persona può trasmettere il virus, e quindi qui c'è una protezione anche della popolazione di cui anche la struttura sanitaria si deve fare carico.
Questi sono protocolli precisi. Sono questi protocolli che in gran parte non sono stati rispettati.
(…)
Perché è avvenuto tutto questo?
Questa è la domanda centrale, sulla quale oggi è difficile ancora ragionare nel frastuono.
Ma quando sarà finita questa vicenda, questo il punto fondamentale.
Perché noi siamo di fronte ad un servizio sanitario nazionale in Regione Lombardia che è tutto centrato solo e unicamente sulla cura: la prevenzione non esiste più.
I colleghi che leggeranno la mia intervista conoscono benissimo qual è lo stato dell’ex servizio numero 1, quello che era il servizio della medicina del lavoro, qual è lo stato dei dipartimenti prevenzione all'interno delle ASP, ASL e via dicendo: è uno stato semicomatoso, il personale ridotto fortemente di numero, privato di risorse.
La sanità lombarda non punta sulla prevenzione, non punta sulla diagnosi precoce e, di conseguenza, non punta e non investe sulla tutela dei lavoratori (…).
Queste misure di cui stiamo parlando - prevenzione primaria, campagne rivolte alla popolazione, diagnosi precoce, tutela degli operatori sanitari - non producono profitto privato, producono benessere sociale e collettivo, tutelano la salute degli operatori sanitari e quindi anche della cittadinanza. (…)
Nessuno contesta che in termini di cura, di strutture, di macchinari, di progetti terapeutici, di linee terapeutiche, la Lombardia sia all'avanguardia (…) ma c'è un vulnus enorme. (…)
La diffusione del virus e del panico in Italia
Possiamo dare un quadro più generale sulla situazione del virus nel mondo e in Italia? So che ci sono dei dati che arrivano dalla Cina che parlano di un rallentamento della diffusione del virus…
V.A. : Ogni infezione, ogni virus ha una sua curva, un suo andamento per cui la velocità con cui il virus infetta altri soggetti continua ad aumentare per un periodo, la curva sale finché arriva all'apice e poi comincia a scendere. Il problema è quali sono i tempi con cui raggiunge l'apice e nel frattempo quante persone colpisce e quanti decessi provoca.
La notizia positiva arrivata proprio ieri (l’intervista è stata fatta il 25/2, ndr) della delegazione dell’OMS che tornava dalla Cina è questa: dalla prima settimana di febbraio, dal 2 febbraio, nella regione che è stato il primo focolaio dell'infezione, da quella regione della Cina, la curva si è invertita e quindi dai primi di febbraio le persone che si infettano ogni giorno diminuiscono rispetto alla situazione precedente. Non è questa ancora ovviamente la situazione da noi in Occidente, perché da noi il virus è giunto molto più tardi.
Questa inversione della curva non dipende solo unicamente, diciamo, dall’andamento naturale dell'infezione: dipende anche dagli interventi pubblici, dagli interventi dei servizi sanitari, quanto sono in grado di ridurre la possibilità che si verifichino altre infezioni.
La seconda notizia positiva che è arrivata da questa delegazione dell’OMS in Cina è questa: nella regione origine del focolaio la letalità provocata dal virus sta da tra il 2 e il 4%, ogni 100 persone appunto colpite dal virus. Ma fuori da quella regione, secondo l’OMS, la letalità è dello 0,7%.
Quindi, come dire, ci troviamo di fronte ad un nuovo virus - anche se appartiene alla famiglia dei coronavirus che già noi conoscevamo - che ha una grande facilità di trasmissione in questa fase da un essere umano all'altro, ma che ha una limitatissima evoluzione negativa, cioè si stima che oltre l’80% delle persone che vengono infettate da questo virus avranno uno sviluppo della malattia o totalmente asintomatico o come una normale influenza che nel giro di pochi giorni passa.
L'altro 15/20% della popolazione svilupperà una situazione più grave e una percentuale che può andare dallo 0,7 all'1,4 % - qualcuno dice al massimo verso l’1,9% - invece rischia di arrivare al decesso.
Questa è la situazione: quindi un'alta morbilità e una bassa letalità.
Riguardo anche a questi dati possiamo dire che, al di là delle misure drastiche che sono state approvate in questi giorni, si sta diffondendo un panico che è eccessivo rispetto alle reali rischi…
V.A. : Allora qui bisogna evitare da un lato di drammatizzare e dall'altra parte di far finta che non sia accaduto nulla.
Noi abbiamo tutti gli anni una influenza stagionale, questa influenza stagionale secondo i dati ufficiali che vengono dalle istituzioni sanitarie italiane europee e internazionali quest'anno - l'anno 2019/2020 - coinvolgerà oltre il 9% della popolazione. Si stima che l'influenza stagionale colpisce, colpirà, sta colpendo quest'anno in Italia 5.600.000 persone circa.
Le stime dicono, anche sulla base dell'analisi dei dati degli anni passati, dicono che ci saranno dalle 200 alle 300 persone che arriveranno al decesso quest'anno per questa influenza stagionale (…).
La situazione del coronavirus è completamente diversa e l'abbiamo detto.
Però, invece. c’è l'altra parte della medaglia, l'altra faccia della medaglia.
E cioè per l’influenza stagionale noi oggi abbiamo delle terapie e abbiamo dei vaccini anche se non coprono al 100% gli agenti infettivi di questa infezione stagionale. Mentre per quanto riguarda il coronavirus noi non abbiamo dei vaccini e sulle terapie si stanno sperimentando alcune terapie antivirali per vedere che efficacia hanno.
E, quindi, diciamo, di fronte a dei numeri più ridotti, abbiamo però meno strumenti per contrastare.
Fatto questo ragionamento è importante notare due altri aspetti.
Primo che per quanto riguarda infezioni da coronavirus i bambini (…) sembrano (…) comunque reagire molto molto bene. Anche in Cina i bambini infettati sono pochissimi e mi risulta che praticamente sono assenti i bambini che sono deceduti per colpa di questa infezione.
Si sta studiando le ragioni per le quali il sistema immunitario dei bambini riesce a reagire così facilmente di fronte a questo nuovo virus. Questo è un dato di fatto.
L’altro dato importante - e questo è abbastanza scontato per noi medici – è che le persone più fragili e che rischiano di più sono ovviamente le persone anziane, coloro che hanno un sistema immunitario già compromesso, coloro che hanno già altre patologie abbastanza gravi, su un piano di patologie acute e di patologie croniche. È soprattutto questa fetta di popolazione sulla quale si dovrebbe concentrare l’attenzione della sanità pubblica.
Le indicazioni per i medici del lavoro
Cosa dire, in conclusione, anche ai tanti medici, ai medici competenti che stanno occupandosi anche della prevenzione nel mondo del lavoro?
V.A. : In questo caso ovviamente noi stiamo parlando non della protezione dei sanitari ma del ruolo del medico competente, del medico del lavoro nella protezione dei lavoratori sui quali lui deve esercitare la sorveglianza sanitaria.
Qui dipende da situazione a situazione. È evidente che le misure che sono state assunte fuori, lì dove è possibile, dovrebbero trovare una qualche forma di adeguamento sul posto di lavoro, ma non è sempre così semplice.
Quali sono i posti più a rischio?
I posti più a rischio sono i posti troppo affollati, quindi anche i posti di lavoro promiscui dove si lavora uno vicino all'altro. Ad esempio i posti di lavoro che adesso si utilizzano “aperti”, senza divisori, senza pareti o stanze, i grandi Open Space dove lavorano magari 50 o anche più persone. In queste situazioni bisogna stare molto attenti.
Se non c'è la possibilità di prendere le misure anche logistiche, di distanziare le persone, in inserire dei divisori, allora il medico del lavoro deve centrare tutto sulla prevenzione.
E non potendo andare a raccogliere l’anamnesi uno per uno di tutte le persone in tempi ridotti, deve avvisare che tutte le persone che hanno la febbre e che mostrano delle difficoltà a livello respiratorio devono sottoporsi a dei controlli, devono chiamare i numeri indicati. E il medico del lavoro può eventualmente in questo campo fare da tramite, per chi ha dei dubbi riguardo alle frequentazioni e all’essere venuti in contatto con qualcuno che viene dalle zone che sono state coinvolte maggiormente; in questo caso è meglio che il lavoratore stia a casa almeno per i famosi, ormai, 14 giorni.
Il ruolo del medico del lavoro è doppio. Da una parte è quello di puntare molto sulla formazione, sull'informazione, sulle precauzioni, sull’igiene sanitaria, su come lavarsi le mani, eccetera. E dall'altra parte, dove è possibile, deve cercare di intervenire - cercando sempre di farlo presente ai responsabili della sicurezza e al datore di lavoro – sulla modifica delle organizzazioni logistiche dell'azienda, laddove possibile.
Mi rendo conto che, alcune volte, queste rischiano di essere parole perché l'organizzazione del lavoro spesso è rigida e non è così facile riuscire a intervenire per modificarla. Quindi bisogna puntare molto di più sulla parte precedente e cioè sulla informazione, prevenzione ed evitare che un soggetto potenzialmente infetto possa arrivare a lavorare insieme ad altre persone.
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