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"Il datore di lavoro può licenziare il dipendente che rifiuta di vaccinarsi?"

fonte ___ / Salute

13/01/2021 -

Come comportarsi in azienda con i lavoratori che non vogliono vaccinarsi? Con l’attuale normativa sono licenziabili? Come conciliare il diritto alla salute con il diritto all’autodeterminazione terapeutica ?

Malgrado l’evoluzione della pandemia e, specialmente, degli strumenti per combatterla sono ancora molti i dubbi che i lavoratori, le aziende e gli operatori in materia di salute e sicurezza si pongono riguardo alla possibilità del vaccino per l’emergenza COVID-19.

Abbiamo iniziato a occuparcene nei giorni scorsi con la pubblicazione di alcuni documenti che si soffermano sui vaccini, sulla possibilità di licenziamento e sul tema dell’obbligatorietà nei luoghi di lavoro.  (Leggi l'articolo  COVID-19: cosa fare se i lavoratori non vogliono vaccinarsi?)


Il datore di lavoro può licenziare il dipendente che rifiuta di vaccinarsi?

 

Il 2020 è stato l’anno del COVID-19, l’anno in cui parole come lockdown e quarantena sono divenute di uso comune, l’anno in cui abbiamo lavorato in smart working mentre i nostri figli nella stanza accanto facevano DAD, l’anno in cui abbiamo cambiato le nostre routine e abbiamo rinunciato a molte delle nostre abitudini. Ora che quest’anno volge al termine sembra finalmente potersi scorgere una luce in fondo al tunnel: l’arrivo del vaccino, in grado di ridurre del 95% la possibilità per un adulto di contrarre il COVID [1] .

 

Sono così scattati a partire dal 26 dicembre i primi vax day, a cui hanno fatto seguito infervorati dibattiti nei salotti tv e sui social, tra quanti sostengono che la vaccinazione di massa sia la strada giusta per tornare quanto prima alla normalità e quelli che invece ritengono il vaccino non sicuro. Tra i vari dibattiti sicuramente degno di nota è quello che in questi giorni si sta svolgendo tra illustri esperti del diritto, magistrati ed avvocati, i quali cercano di rispondere ad una domanda “il datore di lavoro può licenziare il dipendente che rifiuta di vaccinarsi?”.

 

Il sistema prevenzionistico del diritto del lavoro risulta caratterizzato da una forte dinamicità dovuta a una continua crescita e ad un continuo rinnovo dei presidi posti a tutela della salute e della sicurezza. Il fatto che la prevenzione si serva di altre scienze come la chimica e la fisica, ne fa una materia interdisciplinare, che presuppone particolari ed insostituibili conoscenze tecniche esterne.

 

L’ art. 2087 del codice civile, pietra miliare della sicurezza nell’ambiente di lavoro, pone in capo al datore di lavoro un obbligo dalla validità costante e dall’ attualità permanente, consistente nel dovere inderogabile di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori. La formulazione dell’art. 2087 ne fa una norma aperta, idonea a supplire alle lacune normativa del sistema antinfortunistico, incapace di prevedere ogni specifico fattore di rischio, ed è volta pertanto a ricomprendere ipotesi e situazioni non espressamente previste. Viene così sancito il cd. debito di sicurezza del datore di lavoro, non circoscritto alla sola osservanza delle misure imposte dalle disposizioni legislative, ma comprensivo di tutti gli interventi concretamente necessari ed attuabili per prevenire infortuni sul lavoro e malattie professionali. Il datore di lavoro dovrà quindi adottare tutte le misure previste dall’ordinamento positivo, in ottemperanza al fondamentale criterio della massima sicurezza tecnologicamente disponibile. Da ciò discende che il datore di lavoro sarà obbligato a conformarsi agli aggiornamenti scientifici sugli sviluppi della tecnica, in quanto gli stessi rischi professionali si evolvono costantemente per effetto delle modificazioni del processo e dell’ambiente di lavoro, divenendo di fatto il garante dell’incolumità fisica del lavoratore.

 

Occorre inoltre considerare che il legislatore ha previsto un obbligo sinallagmatico (che produce obblighi per entrambe le parti, ndR) per il datore di lavoro e per il lavoratore: mentre il primo è obbligato a predisporre strumenti per informare e formare i lavoratori sui rischi derivanti dall’attività lavorativa, il secondo è obbligato ad attuare quanto predisposto dal datore di lavoro, divenendo protagonista assoluto nell’attuazione dei presidi di sicurezza secondo il principio dell’autotutela.

 

Attualmente il vaccino appare l’unico strumento in grado di tutelare i lavoratori ed in particolare alcune categorie di essi che, per il tipo di mansione svolta o la predisposizione dell’ambiente di lavoro, risultano maggiormente esposti al rischio di contrarre il virus.

 

Quanto detto appare però in palese contrasto con l’art. 32 della Costituzione che sancisce e tutela il diritto alla salute, fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, riconducibile ai diritti inviolabili dell’uomo. Tale diritto soggiace alla regola della volontarietà del soggetto di sottoporsi alle cure mediche, cd. diritto all’autodeterminazione terapeutica, che esclude la sottoposizione del soggetto a trattamenti obbligatori se non quando è la legge a disporlo per tutelare la salute della collettività e l’incolumità di altre persone. La potestà legislativa dello Stato in materia di tutela della salute può estrinsecarsi nella predisposizione di un obbligo vaccinale, dal momento che non solo la protezione vaccinale attiene al nucleo irriducibile del diritto alla salute, inteso quale diritto individuale, ma anche agli obiettivi di tutela della salute pubblica, perseguiti attraverso la profilassi preventiva contro le malattie infettive. La necessità di prevenire malattie infettive e di arginare l’emergenza sanitaria in atto impone l’adozione di misure omogenee sul territorio nazionale; ciò al fine di raggiungere l’ immunità di gregge la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo.

 

Nella sentenza n. 5 del 18/1/2018 la Corte Costituzionale ha richiamato alcune pronunce (sentenza nn. 258/1994 e 307/1990) al fine di affermare che una legge impositiva di un trattamento sanitario è compatibile con l’art. 32 Cost. quando:

  1.   è diretta a migliorare lo stato di salute dei destinatari della norma e a preservare lo stato di salute di coloro che non vi sono assoggettati;
  2.   non comporta conseguenze negative nei confronti di colori che sono obbligati ad attenervisi;
  3.   nel caso sia causato un danno sia previsto il riconoscimento di una indennità equa a favore del danneggiato, indipendentemente dalla tutela risarcitoria.

 

Per poter arrivare a concepire come lecito il licenziamento del lavoratore che rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione, il legislatore nazionale avrebbe dovuto prevedere come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base del principio di precauzione e dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili.

 

Nulla esclude che, mutate le condizioni e dissolta l’iniziale paura rispetto agli effetti collaterali del vaccino, la scelta possa essere rivalutata e riconsiderata, avendo il legislatore, in una prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario, opportunamente introdotto un sistema di monitoraggio periodico che, prevedendo una clausola di flessibilizzazione, può sfociare nella cessazione della obbligatorietà di alcuni vaccini.

La riluttanza del legislatore nazionale a prevedere il vaccino come obbligatorio lede i diritti del lavoratore che sembra essere l’unico soggetto sul quale ricadranno le conseguenze della sua ipotetica scelta di non vaccinarsi. Obbligare il lavoratore a vaccinarsi in mancanza di una legge statale violerebbe il suo diritto all’autodeterminazione, statuito non solo dalla Carta Costituzionale ma anche dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea nonchè dalla Convenzione sui Diritti Umani e la Bioetica le quali impongono la necessità del consenso libero ed informato del paziente.


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