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"Italia, il paese senza formazione"

fonte / Formazione ed informazione

21/12/2009 - Lo stato di salute della formazione in un Paese avanzato come l’Italia è no dei principali indicatori del nostro futuro. Come siamo messi da questo punto di vista? Il quadro che emerge dal monumentale rapporto annuale dell’I’sfol, presentato la scorsa settimana alla Camera dei deputati alla presenza del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, è allo stato attuale poco rassicurante. Fotografa una condizione in cui le storiche arretratezze sembrano difficili da superare. Partendo da un dato complessivo che riguarda la formazione dell’intera popolazione adulta compresa nella fascia di età tra i 25-64 anni, nel nostro Paese il tasso è al 6,3% contro una media europea del 9,6%, lontano dagli obiettivi di Lisbona che indicano un tasso del 12,5% entro il 2010. E nel confronto con Paesi simili al nostro per sistema produttivo, come Francia, Germania e Regno Unito, il divano aumenta notevolmente. Per quanto riguarda, invece, i soli occupati, si registra un incremento dello 0,2% nel 2007 e dello 0,6% nel 2008. In base alle rilevazioni dell’Istat sulla forza lavoro per il 2008, circa 1,7 milioni di occupati hanno svolto corsi di formazione professionale o corsi di studio, il 7,4 % sul totale degli occupati. Un ulteriore parametro significativo, e indicato negli obiettivi di Lisbona, riguarda l’istruzione, universitaria. Anche qui il ritardo è consistente: il tasso di istruzione terziaria Ue nel 2007 è del 23,0%, in Italia del 13,6%. Questo dato preoccupa particolarmente soprattutto se rapportato ad una previsione, secondo la quale entro il 2015 quasi il 30% dei posti di lavoro Europa richiederà un alto titolo di studio,, il 50% necessiterà di qualifiche di medio livello e solo il 20% di basse qualifiche. Se queste previsioni saranno confermate saremo nei guai se non ci daremo una svegliata. 11 dato assume un ulteriore appesantimento in confronto alla condizione dei lavoratori altamente qualificati. In sostanza, la domanda di high skiled worker non si è incrementata in misura sufficiente ad assorbire l’offerta. I sistemi attuali di rilevazione dei fabbisogni professionali delle imprese non hanno funzionato a dovere. Allargando lo sguardo all’Europa l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita coinvolge soprattutto i cittadini europei con un elevato livello di istruzione. In Italia lo scarto è ancora più evidente: l’8,2% di chi possiede la licenzia media a fronte del 51,4% di chi è laureato. Divario significativo anche tra chi è occupato (27,7%) e chi è disoccupato (16,9%). Inoltre le maggiori opportunità formative sono concentrate nelle fasce medio-alte delle gerarchie aziendali. Si evidenziano chiari elementi di discriminazione nell’accesso alla formazione. A fronte del quadro appena descritto si potrebbe essere indotti a pensare che la causa di questi ritardi risieda nelle scarse risorse invèstite. E davvero così? Dall’avvio del 2004 all’aprile 2009 l’Isfol stima che i fondi paritetici per la formazione continua hanno ricevuto complessivamente 1.726 milioni di euro e di questi mille sono stati impiegati per il finanziamento di attività formativa, coinvolgendo 1,1 milioni di lavoratori, il 16% dell’utenza potenziale, che ammonta a 6,7 milioni. E i restanti 700 milioni? Gli strumenti nazionali. di sostegno come la legge 236/1993 nell’arco temporale 2004- 2008 ha stanziato circa 464 milioni di euro, di cui 100 milioni in voucher formativi individuali. Inoltre, si legge sempre nel rapporto, che la spesa regionale per la formazione professionale, grazie ai fondi Fse, per il 2009 ammonta a 3,2 miliardi rispetto ai 3,4 miliardi per il 2008. «Le risorse ci sono», ribadisce il ministro del Welfare Sacconi. «Il vero problema non è la mancanza di fondi bensì il fatto che da queste risorse, ad oggi, hanno tratto più beneficio i formatori che non coloro i quali vengono formati». Infine, circa il 60% dei lavoratori riconosce la necessità di dover aggiornare o acquisire nuove competenze. E tuttavia risulta un crescente divario tra il riconoscimento dell’utilità della formazione rispetto ai benefici effetti della stessa: il 75% dei lavoratori di- chiara di non aver migliorato la propria posizione professionale. Insomma, il ‘quadro che emerge dal Rapporto Isfol, in definitiva, ci dice che non siamo ancora in grado di spendere tutte Ieri- sorse stanziate, i corsi e le iniziative di formazione che vengono realizzati sono sostanzialmente poco efficaci e l’Europa appare sempre più lontana.

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