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"Formazione, 2,5 miliardi investiti sul futuro"
fonte agi / Formazione ed informazione
20/03/2010 - Non lasciamoci ingannare dalle tempeste quotìdiane. Dalla ripresa che oggi c`è e domani chissà. Dal sorriso di alcuni di fronte a una crescita, si fa per dire, targata più zero virgola. Dalla (giusta) preoccupazione per il calo occupazionale. Sottraiamoci, insomma, ai venti della crisi. Amente sgombra ci accorgeremo che non per questo occorre cambiare (e rapidamente) il sistema della formazione in Italia. Avremmo dovuto farlo decenni fa... la strada maestra La situazione economica sta solo spronando volontà impigrite dal benessere e rendendo evidente a tutti la necessità di tornare a occuparsi dei fondamentali. Basta derivati. Addio alle scorciatoie: torni la strada maestra delle competenze, di una mobilità possibile, dei saper (veramente) fare - qualunque sia il cammino con cui lo si è messo insieme. Bene perciò ha fatto il ministro Maurizio Sacconi ad affrontare, lancia in resta, la questione delle questioni e a cercare, assieme alle parti sociali (sindacati e Confindustria) che hanno firmato il recente accordo, di prendere il toro per le due corna. Che sono poi gli snodi, anche storici, del problema: la formazione che non guarda alle opportunità occupazionali. Vasi fin qui non comunicanti. Il tempo delle competenze t dunque tempo di cambiare e collegare in maniera sempre più stretta l`offerta formativa e la sua spendibilità sul mercato. Anche così si difende l`economia. Le imprese, anche medio piccole, lo hanno abbastanza chiaro e non da oggi, come rivela il X Rapporto sulla formazione continua appena realizzato dall`Isfol: anche nel 2009, il 34% delle aziende ha scelto di rispondere ai morsi della crisi facendo ricorso alla formazione del capitale umano. Non si tratta di generosità. Addetti più qualificati hanno più chance di ricollocarsi, ma soprattutto possono concorrere meglio alla crescita di produttività. Ancor più radicata la consapevolezza dei lavoratori, il 70% dei quali collega formazione e possibilità di migliorare la propria posizione. In questo ambito, tolto il sapere, che rimane? In fretta, e bene «Occorre fare in fretta. La crisi continuerà ad avere effetti negativi sull`occupazione per un anno o due», ammonisce Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl, «è quindi prioritario finalizzare le risorse disponibili alla riqualificazione per facilitare l`inserimento oltre che per la formazione di base». In ballo, per il 2010, ci sono due miliardi e mezzo (fra risorse nazionali, comunitarie e fondi interprofessionali), che vanno spesi bene, progettando con più cura e valutando ancor meglio l`impatto dell`offerta formativa. «Negli ultimi mesi sono stati ripensati gli ammortizzatori sociali, che però non devono essere slegati dalle politiche attive del lavoro», aggiunge Mario Mezzanzanica, docente di Statistica alla Bocconi. Cosa questo significhi, in termini di coordinamento, sinergie e alleanze è facile intuirlo. «Per gli enti», spiega il sindacalista, «non uno stravolgimento, ma un potenziamento». A ciascuno il suo (ruolo) Sarà un percorso impegnativo. Per gli enti che dovranno progettare con maggior finezza e render conto delle chance che hanno saputo creare (ma c`è un ostacolo, avverte Santini, «non disponiamo dei necessari repertori dei profili professionali»). Per le istituzioni locali, le Regioni anzitutto ma non solo. «Nella filiera dei soggetti che si occupano di formazione e che sono chiamati a contribuire a una diversa progettualità», spiega Sergio Vistarini, ricercatore del Censis, «si registra l`assenza delle Province. Hanno competenze sui servizi all`impiego e spesso la delega regionale sulle risorse comunitarie: è chiaro che dovranno essere coinvolte nella futura concertazione». Tanto più che è il livello più vicino ai territori, cuore del tessuto produttivo i battiti del quale Sacconi vorrebbe registrare con maggior attenzione. La palude in cui è impantanato l`apparato formativo si è formata anche per l`assenza di informazioni. Se non si conosce un territorio, come si fa a rispondere alle sue necessità? E poi c`è il sistema imprenditoriale. Non solo parteciperà ai tavoli di concertazione, ma sarà chiamato a ripensare le modalità con cui si occupa delle competenze dei suoi addetti. In particolare le piccole e medie imprese. «Potrebbero», suggerisce Mezzanzanica, «mettersi meglio in rete, in modo da riuscire - al di là delle dimensioni - ad accedere ai fondi perla formazione continua e mettere a punto servizi mirati». Il capitolo Sud Lo sottolinea an che il Rapporto sul futuro della formazione in Italia: il divario Nord - Sud anche sotto questo profilo va approfondendosi. « È la parte del Paese in cui i disoccupati sono sempre più scoraggiati e in cui una diversa formazione potrebbe avere un impatto importante», spiega Santini. Fino a oggi però non si può dire sia stato fatto molto. 0 meglio: molte risorse sono state usate senza conseguire i risultati sperati. «Se al Centro Nord l`attuale sistemaformativo in qualche modo funziona», commenta Vistarini, «perché c`è un reticolo di imprese in qualche modo delineato, nel Sud la formazione è diventata spesso un ammortizzatore della disoccupazione intellettuale». Per capirci, il mestiere dei formandi: coloro che passano da un corso all`altro contando su (piccoli) gettoni per sbarcare il lunario. E se ha ragione Santini quando invita le regioni del Mezzogiorno a «usare i fondi Fse per favorire l`inserimento in particolare dei giovani» e sottolinea alcune modalità già adottate (ad esempio il voucher in Lombardia che traduce «un diritto soggettivo alla formazione»), è pur vero che «sarebbe opportuno», come invita il ricercatore del Censis, «che la classe politica di quelle Regioni guardasse al Nord per individuare obiettivi e metodi praticabili ed efficaci».
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