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"Quale collaborazione bilaterale e paritetica?"
fonte PuntoSicuro / Formazione ed informazione
13/09/2011 -
La circolare
del Ministero del Lavoro n. 20 del 29 luglio 2011, sull’attività di
formazione e collaborazione relativa agli enti bilaterali e paritetici, ha il
pregio di porre il problema alla fonte precisando che gli organismi bilaterali
o paritetici possono essere costituiti da una o più:
a) associazioni di
datori di lavoro
b) associazioni dei
prestatori di lavoro
che
devono essere allo stesso tempo comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale e firmatarie di contratti nazionali di lavoro specifici. Non vi è
spazio per associazioni sindacali e datoriali locali, provinciali o regionali
che siano ma, unicamente ricondotte al livello nazionale. Pertanto un organismo
che si qualifica come “bilaterale” deve avere sussistenza ed effettività il
requisito delle associazioni che lo hanno costituito.
Il Ministero del lavoro, proprio per
togliere dubbi sui requisiti relativi alla rappresentatività nazionale degli
enti costituenti, invita le direzioni regionali e provinciali, a chiedere la
verifica del possesso di questi requisiti. Pur rivolgendosi alle proprie
strutture periferiche crediamo che anche altri organismi di vigilanza che
operano sul territorio come le Asl possano rivolgersi, in caso di dubbio, al
Ministero del lavoro.
Questi chiarimenti ad indicare, prima di
tutto, ed individuare gli organismi
bilaterali che possono svolgere attività di formazione.
Vengono, inoltre, date indicazioni
preliminari relative alla collaborazione, unicamente con gli organismi
legittimamente costituiti, lasciandone al prossimo Accordo Stato regioni gli
aspetti procedurali.
Nella circolare viene confermato che
l’organismo bilaterale di riferimento è quello costituito legittimamente e
relativo al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro applicato dall’azienda. Di
fatto ne consegue che la collaborazione deve essere richiesta unicamente
all’organismo bilaterale (di settore e presente sul territorio di riferimento e
non in diverso contesto geografico, se esiste) promosso dalle associazioni che
hanno firmato il CCNL applicato dall’azienda.
La collaborazione quindi è prevista solo
nel territorio e nel settore specifico cui si riferisce il CCNL applicato
dall’azienda e firmato a livello nazionale dalle associazioni stesse che ne
hanno istituito gli organismi
bilaterali o paritetici.
1.
I bilaterali
svolgono per davvero i compiti previsti?
Gli enti bilaterali ed i comitati
paritetici non sono una invenzione del D.Lgs 626/94, prima, e del D.
Lgs. 81/2008 attuale. Essi si basano
sul principio della partecipazione sindacale in base all’art. 10 del D. Lgs
29/1993 relativi agli “istituti della partecipazione” che, in base ai
rispettivi statuti, organizzano una serie di attività e svolgono compiti
“solidaristici” concordati tra le parti.
Con il D. Lgs. 81/2008 viene data agli enti
bilaterali la possibilità di un loro coinvolgimento sui temi della salute e
della sicurezza sul lavoro. Attribuzioni, compiti e competenze sono definite in
una serie di articoli che vanno dalla programmazione di attività formative e
l’elaborazione e la raccolta di buone prassi; la formazione dei Rappresentanti
dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale, le comunicazioni all’INAIL dei
nominativi delle aziende coinvolte nel sistema e dei RLST,
sopralluoghi e relazioni periodiche.
2.
Le inadempienze
degli enti bilaterali
In base ai compiti ed alle competenze che
la legge attribuisce agli organismi bilaterali e paritetici la prima cosa che
dovrebbero fare gli organismi di vigilanza è quella di verificare se gli enti
bilaterali siano adempienti nei confronti della legge.
Tale verifica può, anzi deve, essere fatta
anche dai datori di lavoro o dagli enti, delegati dal datore di lavoro, per lo
svolgimento della formazione. Infatti al datore di lavoro nell’ambito degli
obblighi di cui all’art. 18, anche in caso di delega, in ordine a tali
adempimenti è soggetto in “
culpa in
eligendo” qualora la scelta effettuata non sia corretta.
Dovrà quindi il datore di lavoro chiedere
all’ente bilaterale l’assolvimento dei compiti previsti dalla legge prima di
attuare qualsiasi forma di collaborazione o di affidamento di incarico.
Dalla prassi e dalla conoscenza diretta
risulta che ben pochi enti
bilaterali abbiano adempiuto correttamente ai propri compiti ed obblighi
previsti dalla legge. Molti bilaterali avranno difficoltà a dimostrare che svolgono una effettiva azione
nel campo della bilateralità. Per molti e moltissimi enti l’interesse maggiore
è solo quello di fare cassa con corsi di formazione e collaborazioni a
pagamento inficiando così il corretto funzionamento dell’istituzione bilaterale
e, danneggiando i pochi bilaterali che osservano la legge.
In poche parole siamo in presenza di una folla
di “evasori” che incassano danaro contante ma non pagano, non
effettuandoli, i compiti previsti dalla legge.
Vediamo cosa dovrebbero fare e non fanno i
sedicenti “enti bilaterali” di cui alla circolare del ministero del lavoro.
A)
Le comunicazioni
Gli enti bilaterali e paritetici devono
comunicare all’INAIL i nominativi delle imprese che aderiscono al proprio ente.
Con questa semplice comunicazione (chi la fa per davvero?) verrebbe risolto un
primo problema che obbliga i bilaterali ad operare all’interno del territorio,
del settore ed in relazione al CCNL applicato e dal quale ne discende la
costituzione stessa del bilaterale. Si darebbe risposta alla recente circolare
del Ministero del Lavoro facendo si che gli enti bilaterali possano operare
solo all’interno delle aziende identificate e non facciano invasione di campo e
di mercato.
Allo stesso tempo gli enti bilaterali
devono trasmettere ai rispettivi Comitati regionali di Coordinamento una relazione
annuale sull’attività svolta.
B)
I Rappresentanti
territoriali
L’importanza dei Rappresentanti dei
lavoratori in ambito territoriale, frutto di specifici accordi e contratti di
lavoro, ha trovato con il D. Lgs. 81/2008 una sua istituzionalizzazione a riprova
dell’importanza del dialogo tra le parti sociali all’interno dell’azienda anche
laddove non venisse eletto direttamente il R.L.S.
Primo compito dell’ente bilaterale o
paritetico è quello di costituire una rete di R.L.S.T. provvedendo direttamente
alla loro formazione.
I nominativi dei R.L.S.T. alle dirette dipendenza, a qualsiasi titolo,
dell’ente bilaterale devono essere comunicati a: INAIL, A.S.L., Direzione
provinciale del lavoro e a tutte le aziende laddove non sia stato eletto il
R.L.S.
La comunicazione alle aziende è uno
strumento che conferma la conoscenza diretta del territorio e del settore in cui il
bilaterale opera.
C)
Supporto alle
imprese
Qualora
in una azienda sorgano conflitti o controversie sull’applicazione dei diritti
di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti gli
enti bilaterali sono prima istanza di riferimento. Ciò significa che sono
chiamati ad una azione di mediazione, non conflittuale, di intervento in merito
per la soluzione del problema.
Gli enti
bilaterali possono effettuare sopralluoghi nei luoghi di lavoro rientranti nei
territori e nei comparti produttivi di competenza e su richiesta delle imprese, rilasciano l’ asseverazione
della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e
gestione della sicurezza di cui all’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008.
La legge precisa
che i sopralluoghi possano essere svolti solo dai bilaterali che dispongano di personale con specifiche competenze tecniche
in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Per quanto riguarda
l’asseverazione ogni ente bilaterale
deve costituire una apposita commissione paritetica tecnicamente competente.
La
legge non definisce quali siano le specifiche competenze tecniche per i
sopralluoghi né le competenze delle commissioni per l’asseverazione. A nostro
avviso non sono necessarie ulteriori leggi e norme in quanto ogni ente
bilaterale ne può definire i sistemi adottati.
Devono
però essere chiari e trasparenti le metodologie e le regole utilizzate che
consentono ad ogni ente di avere gli elenchi nominativi, con i curricula delle
persone, che possono svolgere tali
attività.
D)
La formazione
La
formazione per gli enti paritetici o bilaterali è rappresentata dalla programmazione di
attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone
prassi. Non si tratta di un semplice catalogo di offerta di corsi ma
piuttosto di elaborare progetti e percorsi formativi basati anche e soprattutto
sulle buone prassi. Ciò del resto sarebbe in sintonia se gli enti hanno uno
stretto rapporto con le aziende che rappresentano e ne dovrebbero conoscere le
realtà e le situazioni.
L’organizzazione di corsi viene dopo e deve
essere rivolta e proposta alle proprie realtà aziendali anche perché lo svolgimento della formazione deve
prevedere, all’interno di ogni organismo paritetico, l’istituzione di una
specifica commissione paritetica
e tecnicamente competente che svolga, per l’appunto, compiti di programmazione
e non di mera e semplice erogazione formativa a pagamento, con logiche che
spesso sfociano in una concorrenza sleale.
Per
quanto riguarda i corsi per R.S.P.P.
la legge consente che gli enti bilaterali possano svolgere questa attività di
formazione e sono
riconosciuti, al pari delle associazioni sindacali datoriali e dei lavoratori, quali
soggetti organizzatori. In questo caso,
sembra ovvio valendo i principi di base costitutivi dell’ente bilaterale, possono
operare esclusivamente nell’ambito territoriale mentre, per la natura stessa
dei corsi, è difficile identificare il comparto produttivo di competenza in
quanto il R.S.P.P. può operare in diversi settori di attività.
3.
Formazione e
collaborazione: chi, dove, quando?
Qualora un ente bilaterale o paritetico non
adempia ai requisiti fondamentali, che sono alla base della propria esistenza,
non dovrebbero poter svolgere le azioni conseguenti. Il caso tipico è
rappresentato dalla formazione. I commi 7-bis e 12 dell’art. 37 ed il comma
3-bis dell’art. 51 del D. Lgs. 81/2008 devono essere attuati in base alle
indicazioni di cui al comma 3-ter del medesimo art. 51. Ovvero prima di
svolgere attività di formazione gli organismi devono istituire specifiche
commissioni paritetiche e tecnicamente competenti e pertanto la formazione non
potrà essere solo e solamente un calendario di corsi.
Peraltro la funzione di queste commissioni,
che ne dovrebbero definire aspetti programmatici e relazionali, devono
rivolgersi solo ed esclusivamente alle aziende che applicano il CCNL delle
associazioni sindacali che ne hanno istituito l’organismo bilaterale.
A confermare l’ambito aziendale di
riferimento è richiamato l’obbligo degli organismi bilaterali di inviare
all’INAIL i nominativi delle imprese che vi hanno aderito. Gli azzeccagarbugli
diranno che l’INAIL non ha ancora emanato un regolamento per la loro trasmissione
ma, ciò non toglie il fatto che detti elenchi devono comunque esistere.
Il legislatore interviene, in modo semplice
e diretto, per delineare il campo di applicazione della formazione e della
collaborazione che non viene estesa “erga omnes” ma delimitata per ciascun
organismo ai propri aderenti.
Ciò del resto anche ai fini di evitare una
concorrenza sleale nel mercato della formazione. Non è accettabile il fatto che
le spese istituzionali e funzionali siano a carico dell’organismo che deve
svolgere più attività e la formazione ne sia solo un utile senza spesa. Se poi
alcuni sedicenti organismi bilaterali svolgono solo attività formativa e non
gli altri compiti previsti dalla legge non opera correttamente e deve essere
denunciato per concorrenza sleale e non adempimento alla legge.
Non
sfugge l’evidenza con la quale sedi di bilaterali coincidano con indirizzi di
aziende private di formazione, commerciali o sedicenti associazioni sindacali
che mascherano una vera e propria attività di business.
Osservando correttamente la norma anche la
collaborazione dovrebbe essere ricondotta alla sua funzione. Crediamo che si
forzi la mano sul fatto che il datore di lavoro “deve chiedere la
collaborazione all’organismo bilaterale”. L’evidenza che la formazione sia a
carico del datore di lavoro senza costi per i lavoratori e si svolga durante
l’orario di lavoro, non rappresenta obbligo a chiedere la collaborazione, alla
quale viene spesso associata, anche se impropriamente, una non meglio
identificata autorizzazione.
Risulta molto più semplice, efficace ed
opportuno anche in ottemperanza a quanto previsto dal comma 8-bis dell’art. 51
del D. Lgs. 81/2008 che siano i medesimi organismi bilaterali a comunicare alle
imprese aderenti al loro sistema le modalità e le proposte di collaborazione ai
fini della formazione valida per il conseguimento di un attestato.
Quale grande valenza formativa ha la
stesura di un programma di corso con i nominativi dei docenti trasmesso ad un
organismo bilaterale che ne deve dare o meno la collaborazione? Sarebbe molto
più utile ed opportuno che sia il bilaterale stesso, per capacità ed
esperienza, ad avanzare proposte, idee, suggerimenti alle aziende con lo scopo
di attuare la collaborazione.
Vale la pena ricordare come il legislatore
sia nel D. Lgs. 81/2008 che nel correttivo 109/2009 ha sempre evidenziato come
la formazione deve porre una maggiore attenzione ai profili sostanziali
piuttosto che a quelli formali, affinché il conseguimento di un attestato non
rappresenti un adempimento meramente formale all’obbligo di legge.
Verrebbe anche evitato al Datore di lavoro
di andare alla ricerca, spesso non sapendo come e dove, dell’esistenza
dell’ente bilaterale con il risultato di trovarsi sperduto nella giungla delle
sigle o ingannato nell’accettare una collaborazione
che poi non è quella prevista dalla legge.
4.
Le impossibilità
della collaborazione
Il sistema istituzionale e normativo degli
enti bilaterali e paritetici che come precisato anche dalla recente circolare
n. 20 Ministero del lavoro del 29 luglio
scorso ne prevede, tra l’altro, che l’organismo operi:
a) nel settore
specifico di riferimento (e non di diverso settore);
b) presente nel
territorio di riferimento e non in un diverso contesto geografico
Con queste specificità molte aziende,
datori di lavoro ed enti formativi si trovano nell’impossibilità di attuare
qualsiasi forma di collaborazione. Vediamo alcuni casi concreti.
Nel caso in cui un’azienda abbia differenti
unità produttive in più provincie o regioni e predisponga un progetto formativo
per i propri lavoratori, che devono essere svolti durante l’orario di lavoro a
quale ente territoriale deve essere chiesta la collaborazione. La soluzione più
logica è quella di chiedere tale collaborazione all’ente bilaterale dove ha
sede legale l’azienda: ma si tratta di una interpretazione. Che poteri ha
l’ente bilaterale di una regione di dare la collaborazione per corsi che
vengono svolti dove opera altro ente bilaterale anche se appartenente al
medesimo gruppo?
Sarebbe allora corretto richiedere la
collaborazione ad ogni ente del territorio di riferimento. E se un ente
bilaterale concede la collaborazione ed un altro ne richiede modifiche
all’azione proposta il risultato sarà che il progetto formativo aziendale non
sia omogeneo per tutti i lavoratori dell’azienda.
Situazione analoga si potrà manifestare
qualora un ente di formazione sia delegato da più datori di lavoro, di piccole
aziende, a svolgere corsi di formazione per i propri lavoratori. In tutte le
situazioni nelle quali una azienda invia alla formazione 2 o 3 lavoratori, non
essendo attuabile una formazione per poche unità, avremo classi di discenti
appartenenti a differenti settori di attività.
In questi casi a quale ente bilaterale
dovrà essere richiesta la collaborazione? A quale dei 4 o 5 enti bilaterali si
dovrà inoltrare la richiesta? E a che titolo un ente può intervenire per
lavoratori appartenenti ad altri settori: in conclusione un bel pasticcio.
La situazione diviene assurda quando si
tratta di formazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.
Essendo un caso raro che l’azienda di media dimensioni invii alla formazione
più di 3 o 4 dipendenti la classe dei
discenti verrà costituita da lavoratori appartenenti a differenti settori
produttivi. La collaborazione sarà sempre impossibile non potendo individuare
un solo ente di riferimento.
A questa impossibilità resa palese ai fini
dell’attuazione della legge l’adempimento verrà svolto dichiarando che non
esiste l’ente bilaterale di riferimento.
A questo gioco bizantino che nulla a che fare
con la formazione dei lavoratori ma solo di aspetti formalistici fa risconto la
valenza e l’importanza del sistema formativo basato sull’esperienza dei lavoratori:
tante più sono le esperienze tanto più si arricchisce il corso con più
contributi, esperienze e differenze che ne fanno un valore aggiunto.
5.
Il conflitto di
interessi
Da più parti è stato già sottolineato come
gli enti bilaterali agiscano, nel campo della formazione, applicando una vera e
propria concorrenza sleale. Infatti il costi fissi istituzionali della
struttura sono a carico dell’ente, con i contributi che ricevono
dall’applicazione dei contratti, mentre la formazione risulta un vero e proprio
utile senza spese di investimento.
Più grave risulta, invece, il latente e
degenerante conflitto di interessi che i bilaterali possono produrre. Qualche
esempio ci fornisce la natura e lo sviluppo di questi conflitti.
Allorquando gli esperti di un bilaterale
effettuano un sopralluogo in azienda e ne riscontrino la non effettuazione di
un corso obbligatorio (es. antincendio o primo soccorso) è giocoforza proporre
lo stesse ente quale soggetto che può risolvere il problema e proporsi per svolgere
la formazione mancante.
Allo stesso tempo qualora una azienda richieda
l’“asseverazione” (sic!) gli esperti che ne analizzano il processo e ne
constatino, ad esempio, la mancanza dell’aggiornamento dei soggetti obbligati
proporranno di far svolgere tali corsi al loro ente asseverante.
Ben più grave sarà la richiesta della
collaborazione che potrà essere accolta o negata a patto che si utilizzi l’ente
bilaterale per lo svolgimento della formazione. Questo pericolo è ben presente
negli attori del prossimo Accordo Stato Regioni che hanno fissato in 15 giorni il
tempo per esprimere un parere, nella speranza, che il breve tempo a
disposizione non consenta agli enti di intervenire e quindi far valere la
prassi del silenzio-assenso. Disposizioni burocratiche ed amministrative al
fine di arginare questi evidenti conflitti.
Infine, un ultima certezza del conflitto è
data dai soggetti e dalle persone. Quante sono le possibilità che gli “esperti”
degli enti bilaterali, sia dipendenti o consulenti esterni, che devono
esprimere pareri e relazioni non siano, poi, le medesime persone che saranno
incaricate per lo svolgimento delle docenze?
Concludendo e pensando al modo farraginoso
e tortuoso composto da articoli e commi, che sanno più di indicazioni
sociologiche che norme di diritto, viene da ridere, per non dire da piangere. La
conclusione è che ci troviamo, unico caso normato ma illegittimo, laddove lo
stesso ente “se la canta e se la suona da solo”.
6.
Invito alla
Conferenza Stato Regioni
Nelle prossime settimane dovrebbe
riprendere l’esame all’interno della Conferenza Stato Regioni del testo di Accordo
per la formazione dei lavoratori, che dato per approvato a fine luglio, ha
subito una battuta
di arresto a causa del ripensamento di alcune regioni. Infatti il sistema
prevede che questi Accordi siano approvati all’unanimità da tutte le Regioni e
anche la più piccola regione ha il potere di veto.
Nella bozza
di questo Accordo si prevede una nota nella premessa che precisa che in
mancanza dell’organismo bilaterale il datore di lavoro procede ugualmente alla
formazione. Qualora sia presente, nelle forme e nei modi previsti dalla legge,
si dovrà inviare richiesta di collaborazione (di che cosa?) e se non si riceve
riscontro motivato entro 15 giorni vale il silenzio assenso.
Può essere una “italica” saggia decisione
che, contando sulla brevità dei tempi, annulla di fatto la collaborazione
nell’impossibilità della sua concretezza
e per bloccare l’indecoroso spettacolo ed il lucroso business che si è
scatenato attorno agli organismi bilaterali.
Si potrebbe suggerire una decisione più
significativa che “in considerazione della difficoltà organizzative e
procedurali da parte degli organismi bilaterali e paritetici si demanda alla
Commissione consultiva di cui all’art. 6 del D. Lgs. 81/2008 la definizione di
criteri da sottoporre all’approvazione della Conferenza Stato regioni in ordine
alla formazione ed alla collaborazione con gli organismi paritetici e
bilaterali”.
Si tratta certamente di un rinvio, anche
lungo nel tempo, ma che consente una riflessione e prevedere concrete
possibilità di collaborazione con gli istituti bilaterali che sul serio sono
impegnati nella prevenzione e nella sicurezza dei lavoratori.
7.
Concludendo
Non voglio dare colpe e responsabilità agli enti
bilaterali ma ho cercato di descrivere alcuni aspetti e paradossi che, di
fatto, ne impediscono il loro funzionamento. Gli istituti partecipativi sono
una cosa seria ma se le questioni non vengono affrontare con senso di
responsabilità rischiamo di aggiungere oltre al danno la beffa.
Giusta una necessaria e decisa azione per
stroncare il proliferare e l’illegittimità di molti pseudo bilaterali. Quelli
veri diano esempio di correttezza e, nelle contraddizioni della normativa,
sviluppino azioni positive ed utili e soprattutto trasparenti e coerenti.
E’ inutile ricordare che questa situazione
è figlia della crisi del sindacato, sia in Italia che in Europa. In quanto alla
fiducia che i sindacato hanno tra i lavoratori l’economista Tito Boeri in una
ricerca rileva come "solo il 5,1% degli italiani si sente adeguatamente
rappresentato dai sindacati e ben il 61,6% dichiara di non nutrire nei loro
confronti alcuna fiducia".
Secondo la ricerca di Stefano Livadotti,
giornalista dell’Espresso in “L’altra casta” gli iscritti ai sindacati
italiani, autoreferenziali e senza controlli, sono circa 11.700.000 di cui il
49,16% sono pensionati. I tesserati “veri” in attività lavorativa sono circa 6
milioni e rappresentano solo il 25% rispetto al totale dei lavoratori. Tra
questi lavoratori una gran parte sono quelli del pubblico impiego. Viene da
chiedersi, allora, cosa facciamo per il 75% dei lavoratori che non sono
iscritti a nessun sindacato.
La sicurezza sul lavoro si deve fare in
azienda. I dati ISTAT del 2008 rilevano 4 milioni e 400.000 imprese di cui il
94,/% con meno di 10 addetti. Tra queste le microimprese sono il 47,2% con una media
di meno di 4 addetti per impresa. Le grandi imprese con più di 250 addetti sono
solamente 3.508.
In questo contesto socio economico che
evidenzia il nanismo dell’industria italiana deve essere sviluppata e portata
avanti la lotta contro gli infortuni e la prevenzione della sicurezza sul
lavoro e gli strumenti normativi e legislativi dovrebbero aiutare ed intervenire
in questo ambito evitando fughe in avanti, razionalizzando il sistema e non
inventando nuovi soggetti, ulteriori e farraginosi adempimenti che di fatto non
solo rappresentano una gabella ma un ostacolo, soprattutto, per lo sviluppo
della cultura della sicurezza che deve essere alla base del nostro lavoro e del
nostro impegno.
Nessuna messa in discussione degli
organismi bilaterali di cui il legislatore ne ha inteso rafforzare l’istituto
della bilateralità. Bisogna solo prendere atto che la norma, così come delineata,
non funziona ed al posto della tutela della salute e sicurezza, a favore dei
lavoratori, ha introdotto elementi di distorsione del sistema e prodotto
illegalità.
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