News
"Edilizia: punti di ancoraggio e dispositivi di presa del corpo"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
24/07/2012 - In “ Io
non ci casco - Manuale operativo per chi lavora in altezza”, documento
elaborato dall’ Azienda U.L.S.S. 15 “Alta Padovana”
per la prevenzione
delle cadute dall’alto nel comparto edile, sono presentate diverse
soluzioni per lavorare in sicurezza sulle
coperture
non praticabili, portanti o non portanti.
Le
soluzioni più sicure prevedono l’uso di specifiche misure di protezione
collettiva (ponteggi, parapetti, reti o sottopalchi), ma vi sono anche
circostanze in cui queste misure non sono attuabili.
In
questi casi non e non rimane che affidarsi all’uso dei
dispositivi di protezione individuale (DPI) contro le cadute,
dispositivi costituiti da:
-
“imbracatura destinata ad essere indossata dal lavoratore;
-
sistema di trattenuta e di arresto della caduta;
- dispositivo
di ancoraggio a parti stabili”.
Un
precedente articolo ha affrontato la procedura di valutazione per l’uso dei
dispositivi di protezione individuale contro le cadute, diamo ora qualche
indicazione sulla
scelta del sistema di
trattenuta e dei
punti di ancoraggio.
Regione
Veneto - Azienda U.L.S.S. 15 “Alta Padovana”, “ Io
non ci casco - Manuale operativo per chi lavora in altezza”, terza edizione
a cura di Manuela Barizza e Francesco Zecchin SPISAL Azienda U.L.S.S. 15 “Alta
Padovana”
I
criteri generali da adottare nella
disposizione dei punti di ancoraggio:
-
“la fase di installazione degli ancoraggi deve avvenire ovviamente in
condizioni di sicurezza;
-
i punti di ancoraggio, quando possibile, vanno posizionati sempre più in alto
del punto di aggancio sull’imbracatura per limitare lo spazio di una eventuale
caduta. Ancoraggi posti al di sotto del livello dell’imbracatura determinano
spazi di caduta libera maggiori;
-
il passaggio da un ancoraggio all’altro nella fase di lavoro o il primo
aggancio nella fase di accesso in quota, deve avvenire evitando che l’operatore
non risulti agganciato o protetto;
-
possono essere previsti più
punti di
ancoraggio, anche di tipologia diversa, da utilizzare contemporaneamente e
sequenzialmente per garantire le migliori condizioni di trattenuta
dell’operatore;
-
gli ancoraggi devono essere sottoposti a prove di resistenza con la metodologia
indicata nelle norme tecniche di riferimento.
Dopo
aver presentato attraverso immagini i possibili spazi di caduta rispetto alla
posizione degli ancoraggi, il manuale presenta le varie
tipologie di ancoraggio:
-
punto di ancoraggio fisso: “possono
essere utilizzati come punti di ancoraggio: parti della struttura edilizia di
idonea resistenza; opere provvisionali a loro volta ancorate a parti fisse (es.
ponteggi); dispositivi di classe A1 e A2
progettati secondo la norma UNI EN 795 e destinati ad essere fissati a
superfici verticali, orizzontali o inclinate. In via generale l’uso di punti
di ancoraggio fisso risulta idoneo per lavori in postazione fissa o con
ridotta necessità di movimento. Ogni ancoraggio deve avere una resistenza
minima di 10 kN (circa 1000 Kg). Ad esso può essere agganciato un solo
operatore” (nel documento sono presentati alcuni esempi di ancoraggi
strutturali);
-
ancoraggi provvisori portatili: “gli
ancoraggi provvisori e portatili sono dispositivi di varia forma che sfruttano
l’appoggio a contrasto con strutture portanti”. I tipi più diffusi sono: “trave
trasversale, perni con ritenuta, treppiede. Sono utilizzati in casi particolari
dove non esistono soluzioni alternative o per operazioni occasionali quali il
salvataggio, lavori entro aperture nei solai, tetti, ecc.”;
-
linea di ancoraggio orizzontale: può
essere flessibile o rigida. La linea di ancoraggio orizzontale flessibile “è
costituita da una fune metallica o sintetica tesa tra due punti di ancoraggio
alle estremità e sostegni rompitratta ogni 6 ÷ 10 m. La resistenza minima
dell’ancoraggio e delle strutture deve essere una volta e mezzo la forza
consentita dal progetto del fabbricante. E’ idonea per installazioni
provvisorie e per usi non frequenti. Essa risulta più facilmente configurabile.
Alcuni modelli comprendono anche il dispositivo assorbitore di energia”. La linea di
ancoraggio orizzontale rigida “è costituita da una guida metallica ancorata
a parti fisse, su cui scorre un dispositivo di aggancio. La resistenza minima
dell’ancoraggio e delle strutture deve essere di 10 kN (circa 1000 kg) più 1 kN
(100 kg) per ogni operatore successivo. E’ idonea per installazioni definitive
e un uso frequente. I fissaggi intermedi non ostacolano il passaggio”;
-
linea di ancoraggio verticale od obliqua: può essere del tipo flessibile o rigido. “La
linea verticale od obliqua flessibile è costituita da una fune tesa, quella
verticale od obliqua rigida è costituita da una guida metallica. Ad ogni linea
di ancoraggio può essere agganciato un solo operatore. I punti di fissaggio della
fune o guida verticale devono avere le caratteristiche di resistenza di un
punto di ancoraggio fisso. Il dispositivo
assorbitore di energia può essere integrato direttamente nella linea. Entrambe
le soluzioni sono idonee per spostamenti o lavori su piani verticali o molto
inclinati. La linea di ancoraggio verticale rigida è idonea per installazioni
definitive e un uso frequente. La linea di ancoraggio verticale flessibile è
idonea per installazioni provvisorie e un uso non frequente. Essa risulta più
facilmente configurabile”;
-
ancoraggio a corpo morto:
“dispositivi costituiti generalmente da masse metalliche modulari o di
calcestruzzo (dischi, plinti), o da contenitori colmi d’acqua, con la funzione
di contrappeso in caso di caduta dell’operatore. Sono dotati di uno o più punti
di ancoraggio in base al numero di operatori che può essere collegato
contemporaneamente, in rapporto al peso del cosiddetto ‘corpo morto’. Il corpo
di ancoraggio deve essere sistemato in posizione opportuna a una distanza non
inferiore a 2,5 m dai lati verso il vuoto. Tale dispositivo di ancoraggio è
utilizzabile su superfici orizzontali o con inclinazione inferiore al 10 %
(circa 5°). Risulta idoneo per lavori con ridotta necessità di movimento su
piani orizzontali. Non è applicabile su coperture non portanti”.
Dopo
aver riepilogato, come indicate nelle linee guida ISPESL, le varie forme di
ancoraggio con i relativi requisiti, vengono delineate e descritte alcune
tipologie di
collegamento tra punto o linea di ancoraggio e imbracatura di sicurezza:
-
collegamento con fune di trattenuta a lunghezza registrabile senza assorbitore
di energia;
-
collegamento con fune di trattenuta e assorbitore di energia;
-
collegamento con sistema a fune retrattile;
-
collegamento con fune fissa, dispositivo scorrevole e assorbitore di energia.
Inoltre
sono riportate diverse informazioni per la
scelta
del dispositivo di presa del corpo.
Infatti
le norme prevedono
tre tipologie di
dispositivi di presa del corpo da utilizzare in funzione delle specifiche
esigenze lavorative (in commercio esistono anche dispositivi che le combinano
assieme):
-
cinture di posizionamento (UNI EN
358): “per le attività svolte in posizione fissa possono essere usate cinture
di posizionamento. Sono utilizzabili solo se si ha la possibilità di
collegarsi alla struttura tramite cordino fatto passare intorno alla struttura
stessa e collegato ad entrambi gli anelli laterali. Il cordino deve essere di
lunghezza regolabile (normalmente 1 ÷ 2 m) in modo da contenere l’eventuale
caduta a non più di 0,5 metri senza l’uso di dissipatori di energia. Le cinture
di posizionamento permettono all’operatore di lavorare con entrambe le mani
libere”;
-
cinture con cosciali per posizionamento
e sospensione in quota (UNI EN 813): “le imbracature di sicurezza (UNI EN
361) non sono idonee come dispositivo di sospensione in quota del lavoratore.
Nei lavori con sospensione in quota dell’addetto sono necessari dispositivi di
posizionamento conformi alla norma UNI EN 813”;
-
imbracature anticaduta (UNI EN 361):
“per tutte le attività in cui sono possibili cadute superiori a 0,5 m, devono
essere utilizzate imbracature composte da bretelle e cosciali. Alcuni tipi di
imbracature sono integrate con la cintura di posizionamento in vita
(imbracature combinate). Devono essere collegate a solidi ancoraggi posti se
possibile più in alto dell’operatore. Possono essere dotate di attacco
posteriore (dorsale) o frontale (sternale)”.
In
particolare l’attacco posteriore può essere utilizzato: con fune provvista di
assorbitore di energia quando la caduta libera può comportare forze di arresto
superiori a 6 kN (circa 600 Kg); con dispositivi a fune retrattile”. L’attacco
anteriore può essere utilizzato come l’attacco dorsale e con fune e dispositivo
scorrevole manuale o automatico”.
Il
capitolo dedicato alla presentazione dei DPI
anticaduta si conclude con una carrellata di disegni di esempi applicativi
(coperture inclinate, coperture piane, coperture a shed, coperture a volta) e
con una descrizione dell’
effetto pendolo.
L’effetto
pendolo è “il movimento oscillatorio incontrollato e incontrollabile che un
corpo collegato ad un ancoraggio da un dispositivo flessibile (corda o cavo)
può subire per effetto di una caduta”.
In
particolare le conseguenze dell’effetto pendolo, “oltre alla possibilità di
urti contro ostacoli o al suolo (soprattutto se l’altezza del piano di
calpestio in quota rispetto al suolo è modesta), sono quelle della riduzione
delle caratteristiche di resistenza del sistema di collegamento (corda) per
l’eventuale attrito dello stesso lungo i bordi della copertura per effetto
dell’oscillazione”. Le situazioni più pericolose si realizzano quando l’effetto
pendolo “si verifica in prossimità degli angoli di copertura, dove lo spazio
verticale di caduta può essere anche molto elevato” o quando l’operatore si
trova “agganciato vicino all’estremità di una linea di ancoraggio flessibile”.
Per
ridurre i pericoli derivanti dall’effetto pendolo è importante “una corretta
progettazione e realizzazione del posizionamento degli ancoraggi”.
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1042 volte.
Pubblicità