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"La sicurezza dei terzi che accedono ai luoghi di lavoro"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
24/09/2012 -
Commento a cura di G. Porreca.
Viene
ribadito in questa sentenza un principio già espresso in precedenza dalla Corte
di Cassazione e riguardante l’applicazione delle norme antinfortunistiche a
terze persone diverse dai lavoratori che eventualmente abbiano avuto accesso
nei luoghi di lavoro
e che possano correre dei rischi in essi presenti. Le norme antinfortunistiche,
sostiene la Corte suprema, non sono dettate soltanto per la tutela dei
lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori e solo i lavoratori
possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche
a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima
ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che,
se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere
causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali infatti, ribadisce
ancora la Corte di Cassazione, sono da considerare emanate nell'interesse di
tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti
nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di
dipendenza diretta con il titolare dell'impresa.
Il caso, la condanna ed il ricorso alla
Corte di Cassazione
Il
rappresentante legale di una società è stato condannato dal Tribunale perché
riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose gravissime, ai
sensi dell’articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, aggravate dalla violazione della
normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore dipendente della società
medesima. L'addebito all’imputato era stato formalizzato a seguito della sua posizione
di garanzia nell'esecuzione di alcune opere murarie oggetto di contratto di appalto durante
l’esecuzione delle quali aveva omesso di rispettare le necessarie misure
precauzionali in quanto la minipala che conduceva durante le operazioni, in
ragione delle irregolarità del terreno e della benna montata sulla minipala stessa
con particolare riferimento alla idoneità a svolgere le operazioni di
miscelatura e di manipolazione del calcestruzzo, si rovesciava travolgendo il lavoratore
che riportava gravissime lesioni.
La
sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello per cui il
rappresentante legale della società ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione
facendo in particolare presente che la persona rimasta infortunata nell’evento
era il committente
dei lavori il quale si era voluto impegnare a collaborare all'esecuzione dei
lavori in modo autonomo, senza che l'imputato potesse contrattualmente
impedirglielo, e che pertanto lo stesso non poteva considerarsi un "dipendente" della società. Inoltre,
sotto il profilo della colpa, l’imputato ha contestato la ricostruzione degli
addebiti, anche se concordemente effettuata in primo e secondo grado,
affermando che la corte di merito si sarebbe limitata a riportare le
conclusioni della consulenza di parte e prospettando una diversa ricostruzione
dell'accaduto, in termini tali da escludere le irregolarità dell'uso del mezzo
affermate nella sentenza di condanna.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il
ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato dalla Corte suprema che ha invece
giudicata corretta la decisione presa dalla Corte di Appello. In merito alla contestazione
della violazione della normativa antinfortunistica la Sez. IV ha tenuto a ricordare
che “
le norme antinfortunistiche non sono
dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio
che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell'esercizio
della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti
coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o
comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi
antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.
Le disposizioni prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate
nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro,
occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere,
quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa”.
Ne consegue,
ha proseguito la suprema Corte, che “
in
caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del
fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul
lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e
l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il
fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi
dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.”. “
In
tale evenienza, quindi”, ha ancora sostenuto la Sez. IV
,“dovrà ravvisarsi l'aggravante di cui all'articolo 589 c.p., comma 2,
e articolo 590 c.p., comma 3, nonché il requisito della perseguibilità
d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590 c.p., u.c., anche
nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro,
purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non
abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere
interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e
purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in
effetti verificatosi”.
In
merito, infine, alla circostanza infine che l’infortunato era il committente
la Corte suprema ha tenuto a precisare che le conclusioni alle quali è pervenuta
la Corte di Appello non possono mutare in quanto non si può certamente sostenere
che ci sia una sorta di esonero da responsabilità basato sulla pretesa
impossibilità di impedire la presenza in loco del committente. “
Il principio cautelare, infatti”, ha
quindi concluso la Sez. IV, “
ha una
valenza generale ed inderogabile, tale da imporre non solo il rispetto delle
norme di sicurezza nei confronti di chiunque si venga a trovare e ad operare
nel cantiere, ma anche da escludere ‘zone franche’ rimesse alla volontà
individuale”.
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