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"L’appalto lecito e quello fraudolento: le responsabilità del committente "
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
28/09/2012 - Come definire un appalto, quali conseguenze si possono verificare a
fronte di una contestazione di somministrazione illegittima di manodopera,
quali responsabilità ne discendono in materia di sicurezza sul lavoro: questi
sono argomenti che meritano di essere sempre più messi a fuoco e che dimostrano
ancora una volta come la normativa in materia di prevenzione e protezione dei
lavoratori si intrecci indissolubilmente con l’organizzazione delle imprese e
il corretto inquadramento giuslavoristico del personale.
Queste sono le premesse
dalle quali partire.
Identificare un appalto
Il Codice Civile (art. 1655) definisce l'appalto
come il contratto con il quale una parte assume, con
organizzazione dei
mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera
o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Per qualificare un appalto come
genuino, la
legge e la giurisprudenza è andata definendo alcuni elementi imprescindibili,
ovvero l’esistenza di:
1. una
organizzazione dei fattori produttivi:
l'appaltatore deve infatti disporre e coordinare una organizzazione dei fattori
produttivi;
2. una assunzione del
rischio economico da
parte dell’appaltatore;
3. una
autonomia dell'appaltatore rispetto
al committente.
L'organizzazione dei fattori produttivi da parte
dell'appaltatore non può perciò essere oggetto di
ingerenza da parte del
committente. L’azione che il committente può fare è solo quella di
verificare e controllare che l'esecuzione dell'opera proceda a regola d'arte.
Rimane poi un obbligo di cooperazione e coordinamento in materia di sicurezza
sul lavoro.
Altro aspetto che va ben chiarito è quello della
differenza
tra l’appalto e la
somministrazione di
lavoro. Il D.Lgs. 276/2003 chiarisce che il contratto di appalto
differisce dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi
necessari messi in campo da parte dell'appaltatore. L’organizzazione può anche
desumersi dal pieno esercizio del
potere organizzativo e direttivo nei
confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché dalla assunzione
piena, da parte del medesimo appaltatore, del
rischio d'impresa .
In altre parole, l'organizzazione dei mezzi da
parte dell'appaltatore
può anche consistere unicamente nell'esercizio del
potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell'appalto. Ma questo deve essere evidente, da qui la delicatezza delle
eventuali ingerenze di personale del committente nei confronti del personale
dell’appaltatore o del subappaltatore. È quindi auspicabile l’esistenza di un
vero e proprio filtro o snodo nelle due catene di comando, quella del
committente e quella dell’appaltatore.
Negli appalti in cui l'impiego di mezzi e di
strumenti risulta esiguo o addirittura assente rispetto all'impiego di
personale dipendente, la distinzione tra appalto e somministrazione deve essere
ricondotta ad una premessa metodologica e concettuale:
l'appalto
prevede un “fare” (l'appaltatore si impegna a fornire all'appaltante
un'opera o un servizio realizzato attraverso la sua organizzazione di uomini e
mezzi),
la somministrazione prevede invece un “dare” (forza
lavoro di un soggetto terzo, affinché questa sia utilizzata secondo le
necessità del committente).
Qualora l’appaltatore si trovi ad utilizzare mezzi e strumenti di
proprietà del committente, questo è bene venga
previsto e disciplinato contrattualmente. In questo caso è determinante che la
responsabilità sull'utilizzo dei mezzi rimanga in capo all'appaltatore sul
quale deve continuare a gravare il rischio di impresa (Circ. n. 34/2010
Ministero del Lavoro).
Il Ministero del Lavoro nel corso degli ultimi
anni ha fornito elementi di valutazione utili a perimetrare la definizione di
un appalto genuino e ha suggerito di osservare:
1) la
tipologia dell'attività
dell’appaltatore che deve coincidere con l’oggetto dell'appalto;
2) la
durata presunta del
contratto che deve giustificare l’esistenza di un appalto che definisca
contenuti e tempi;
3)
l'apporto e l'organizzazione
dei mezzi dell'appaltatore, tenuto conto delle considerazioni sopra esposte.
E’ opportuno poi verificare se si tratta di un
appalto avente ad oggetto lavori specialistici per i quali sia rilevante
l'impiego di personale di elevata professionalità rispetto all'utilizzo di beni
strumentali, giacché si rafforzerebbero gli elementi a sostegno della tesi
dell’appalto genuino. (Min. lav., circ. 48/2004).
È fondamentale valutare
l’esistenza del rischio di impresa in capo all’appaltatore o subappaltatore. La sua sussistenza si ritiene fondata quando vi è:
1) un esercizio abituale di attività
imprenditoriale o lo svolgimento di una comprovata attività produttiva;
2) una attività rivolta a più di un committente
nel tempo lungo o, meglio ancora, nello stesso arco temporale oggetto
dell'appalto.
Oltre alla norma e alle circolari del Ministero
del Lavoro, anche la giurisprudenza ha elaborato una serie di
criteri da
utilizzare
per accertare l'esistenza di un appalto o al contrario di una
intermediazione di lavoro.
A questo proposito, l’orientamento
giurisprudenziale prevalente riconosce che l'
utilizzo da parte
dell'appaltatore di attrezzature, mezzi e strumenti di lavoro di proprietà
del committente
non configura di per sé un appalto non genuino. È
tuttavia importante che la responsabilità legata all'utilizzo di questi
strumenti e alla organizzazione degli stessi
ricada integralmente
sull'appaltatore (formalmente e operativamente) che deve sostenere in
modo completo il rischio di impresa. La “organizzazione dei mezzi” non va
intesa solo come gestione dei mezzi a proprio rischio, ma è legata alla
modalità con cui viene esercitato il potere organizzativo e direttivo verso i
lavoratori che prendono parte all'appalto. È
necessario che non siano
riscontrabili elementi di commistione fra le diverse realtà presenti
ma deve essere sempre netta la separazione delle diverse strutture aziendali,
come singole realtà organizzative ed imprenditoriali.
L'appalto non è
genuino quando viene riscontrata la messa a disposizione di mera manodopera,
senza esercizio reale di potere organizzativo e direttivo e ovviamente di
potere disciplinare da parte del datore di lavoro formale e della sua filiera
gerarchica.
Vale la pena poi rammentare che i criteri che sono
andati consolidandosi da parte degli organi di controllo per verificare la
legittimità di un contratto di appalto, riguardano anche gli aspetti di
carattere formale. A titolo esemplificativo e non necessariamente esaustivo si
suggerisce di osservare la esistenza di:
1) iscrizione nel Registro delle imprese, con particolare riguardo alla
data di costituzione, alla coerenza dell’oggetto sociale, nonché al capitale
sociale;
2) il libro giornale e libro degli inventari;
3) le date di assunzione del personale utilizzato nell’appalto, le
qualifiche e le mansioni assegnate ed identificabili sul Libro Unico del
Lavoro;
4) l’eventuale rilascio del Documento Unificato di regolarizzazione dei
contributi (DURC).
La Responsabilità solidale del committente
L’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 prevede in caso di appalto di opere o di
servizi che il committente sia
obbligato in solido con l'appaltatore,
entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto nei confronti dei
lavoratori (compresi i parasubordinati e gli associati in partecipazione) per
ciò che attiene i
trattamenti retributivi e contributivi dovuti.
Fra committente e appaltatore e fra questo ultimo
ed il subappaltatore, il vincolo di solidarietà opera quindi con riguardo al
versamento della contribuzione previdenziale, dei premi INAIL e delle ritenute
fiscali che incidono sul reddito da lavoro dipendente.
Sono altresì comprese nel vincolo di solidarietà
anche le somme dovute a titolo di interesse sui debiti previdenziali o fiscali.
Sono invece escluse le altre tipologie di sanzioni
legate agli inadempimenti amministrativi nei confronti della Pubblica Amministrazione
e gli eventuali oneri accessori.
Lo stesso regime ha effetto anche per le
obbligazioni delle
imprese subappaltatrici.
La responsabilità solidale non ha un limite di
importo, ma sussiste per
l'ammontare complessivo del credito; l'unico limite
di questa responsabilità è di carattere temporale, nel senso che l'azione verso
il committente può essere promossa solo entro due anni dalla scadenza del
contratto di appalto.
Per i committenti
pubblici
non trova
applicazione questo regime di solidarietà, ma solo quello desumibile dal
dettato dell'art. 1676 c.c., che limita l'oggetto della responsabilità al
solo
trattamento economico dovuto dall'appaltatore ai propri dipendenti,
senza contemplare alcun adempimento di natura previdenziale.
Il decreto semplificazioni del 2012 all'art. 21
rivedendo la materia della responsabilità
solidale chiarisce che i trattamenti retributivi che il responsabile in
solido è chiamato a corrispondere comprendono anche le "quote di
trattamento di fine rapporto".
È inoltre opportuno evidenziare, soprattutto sul
versante della materia della sicurezza sul lavoro, che dal febbraio 2012 è
prevista l'esclusione espressa dall'ambito della responsabilità solidale di
"qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il
responsabile dell'inadempimento”.
Responsabilità del committente in materia di sicurezza sul lavoro
Una volta che si sia inquadrato correttamente il rapporto
tra committente ed appaltatore e ci si trovi davanti ad un contratto di appalto
genuino si può guardare ad una corretta applicazione dell'art. 26 del D.Lgs. n.
81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro). Questo pone in capo al committente
una responsabilità
solidale per gli
infortuni sul lavoro dei
lavoratori utilizzati nell'ambito dell'appalto stesso.
La norma prevede infatti che l'imprenditore
committente risponda in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il
lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore,
non
risulti
indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Una parte significativa della
dottrina ritiene si possa trattare anche di danni che comportano un'invalidità
inferiore alla soglia minima indennizzabile dall'Istituto (6%) oppure di un
eventuale danno biologico "differenziale" calcolato secondo i criteri
della responsabilità civile.
Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro prevede poi in
capo al committente l'obbligo di
verificare
l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei
lavoratori autonomi di cui si avvale, ed a fornire loro "dettagliate
informazioni" sui
rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui
sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza
adottate.
Obbligo connesso a quello di
coordinare l'attuazione delle misure di prevenzione dei
rischi che possono ricadere sulle attività oggetto dell'appalto cui sono
esposti i lavoratori.
Tale obbligo deve essere adempiuto anche mediante
l'elaborazione di un
documento di valutazione dei rischi (DUVRI) che
indichi le misure adottate per eliminare le
interferenze tra le diverse
imprese coinvolte, fatti salvi i rischi specifici propri dell'attività delle
imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Il documento va poi
allegato
al contratto di appalto e va tenuto in manutenzione in relazione
all'evoluzione dei lavori.
Peraltro, non è necessario adempiere a questo
obbligo in caso di:
1) servizi di
natura
intellettuale;
2)
mere forniture
di materiali e attrezzature;
3) lavori la cui
durata
non superi i 2 giorni (intesi cumulativamente) sempreché non vi
sia presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o rischi
particolari.
Nel caso di affidamento dell'appalto da parte della centrale di
committenza (ovvero da parte di soggetti che
acquistano forniture o servizi o aggiudicano appalti di lavori o forniture e
servizi per altre amministrazioni o imprese aggiudicatici) prevista dal codice sugli appalti ma comunque in tutti i casi in cui
il
datore di lavoro non è figura che coincide con il committente datore di lavoro,
viene redatto un
documento parziale che deve poi essere integrato -
prima dell'inizio dei lavori - dal
soggetto presso il quale l'appalto è
posto in essere. Nei singoli contratti di appalto, subappalto e
somministrazione devono essere specificamente indicati -
a pena di nullità
- i costi delle misure adottate per ridurre al minimo i rischi in materia di
salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto il personale subordinato ovvero autonomo,
coinvolto negli appalti di qualsiasi settore hanno l'obbligo di essere muniti
di un'apposita tessera
di riconoscimento con fotografia, contenente le generalità anagrafiche del lavoratore
e del datore di lavoro, la data di assunzione e la data di autorizzazione nelle
ipotesi di subappalto (ovvero la data di richiesta di autorizzazione al
subappalto rispetto alla quale si è formato il silenzio-assenso). In presenza
di appalti privati, il cartellino deve contenere la data della autorizzazione
al subappalto, che può coincidere con quella di stipula, anche verbale, del
contratto di appalto nel quale si autorizza il subappalto stesso.
L'
apparato
sanzionatorio prevede "nei casi di
appalto privo dei requisiti” (illecito) per l'utilizzatore e il somministratore la pena
della
ammenda di euro 50,00 per ogni lavoratore-occupato e per ogni
giornata di occupazione.
Quando poi l'appalto illecito è stato posto in
essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori
derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di CCNL, si realizza
l'ipotesi
di appalto fraudolento. In questo caso la sanzione prevede oltre euro 50
anche la
pena dell'ammenda di euro 20,00 per ciascun lavoratore
coinvolto e per ogni giorno di impiego. A questo punto sarà richiesta
la regolarizzazione alle dipendenze dell'utilizzatore dei lavoratori impiegati
nell'appalto fraudolento.
In altre parole
in caso di
appalto fraudolento,
il contratto è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle
dipendenze dell’utilizzatore con ciò che comporta sotto il profilo degli
obblighi datoriali in materia di sicurezza sul lavoro (art. 17 e 18 del D.Lgs.
n. 81/2008).
A conclusione è bene qui ricordare che nel testo
integrale dell'articolo 29 comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003, come innovato dalla
riforma del febbraio 2012, si afferma anche che “
il committente, ove convenuto in
giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore, può eccepire,
nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio
dell'appaltatore medesimo”.
In questo caso il giudice deve accertare la
responsabilità solidale di entrambi gli obbligati, ma l'azione esecutiva può
essere intentata nei confronti del committente
solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore.
L'eccezione può essere sollevata anche se l'appaltatore non è stato convenuto
in giudizio, ma in tal caso il committente
deve
indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore può
agevolmente soddisfarsi. Il committente che ha eseguito il pagamento può
esercitare poi
l'azione di regresso nei confronti del coobbligato per
recuperare quanto anticipato.
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