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"Imparare dagli errori: un incidente con uno sterilizzatore di flaconi"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro

04/10/2012 - Come raccontato in un precedente articolo di PuntoSicuro, a cura di Alessandro Mazzeranghi, è importante soffermarsi sulla questione della sicurezza delle attrezzature a pressione: spesso queste attrezzature vengono ignorate in sede di valutazione dei rischi facendo fede sulla certificazione di cui sono normalmente dotate.
Facciamo dunque il punto della sicurezza di queste attrezzature a pressione mettendo in rilievo alcuni incidenti correlati e le analisi delle cause.
 
Per farlo presentiamo un incidente descritto negli atti del convegno SAFAP 2010, un convegno che ha affrontato lo “stato dell’arte” del settore delle attrezzature a pressione e gli aspetti emergenti, teorici e applicativi, le nuove metodiche e le esperienze nell’applicazione della legislazione vigente.
 
In “ Pressure Equipment Risk Analysis Learning from Accident”, a cura di G. Mulè e G. Mulè,  si ricorda che ancora oggi accadono incidenti mortali “dovuti a studi insufficienti di risk assessment e a controlli inadeguati”. Le insufficienze riscontrate derivano “anche dal ritardo con cui si prende atto della inadeguatezza di norme metodi e procedure superate ma che di fatto continuano ad essere applicate”.
È invece necessario un aggiornamento del processo di studio dei pericoli, della “stima e valutazione dei rischi connessi con attrezzature segregate o segregabili adeguandolo all’approccio della risk assessment”. E risulta ormai improrogabile la disapplicazione delle discipline, norme tecniche e procedure vigenti prima della introduzione della disciplina di derivazione europea”.
 
L’incidente che affrontiamo si è verificato in uno “ sterilizzatore” di flaconi di soluzione fisiologica di acqua e sodio cloruro con un contenuto di 2,5 gr di sale per 250 ml di soluzione.
 
Durante la fase di estrazione e scarico dall’autoclave, “quattromila flaconi da 250 ml di soluzione si sono rotti determinando una esplosione fisica, la diffusione di vapore acqueo e acqua a temperatura elevata, la proiezione di un numero elevatissimo di schegge di vetro che hanno investito le persone impegnate nelle operazioni di scarico”.
In particolare il fenomeno si è verificato “perché l’acqua contenuta nei flaconi, all’atto della rottura, si trovava a temperatura superiore alla temperatura di ebollizione a pressione atmosferica. Parte dell’energia accumulata dal liquido, in esubero rispetto a quella necessaria per portare l’acqua a temperatura di ebollizione a pressione atmosferica, ha determinato il passaggio di stato di parte del liquido. Il fenomeno è stato esaltato dalla superficie dei 4000 flaconi di vetro e dalla presenza di sali e ioni in soluzione. La formazione di vapore e la conseguente forza di espansione ha determinato una sovrappressione che, propagandosi violentemente, ha investito quanto incontrato e lanciato, a guisa di proiettili, le schegge di vetro”.
Inoltre a questa energia “si è aggiunta quella che si è sviluppata per la espansione repentina della miscela di aria e vapore saturo contenuta entro i flaconi nella parte non occupata dalla fase liquida. La rottura dei flaconi si è determinata per il verificarsi di una o più concause collegate alle modalità con cui si realizzava lo scarico dei flaconi posti su quattro carrelli che, manovrati manualmente, scorrevano su binari che presentavano delle discontinuità”.
 
Il documento, che vi invitiamo a leggere interamente, si sofferma sugli importanti dettagli inerenti allo sterilizzatore, “costruito  per una pressione massima relativa di 3,5 bar e una temperatura di 148 °C”.
Questi i dispositivi di controllo, regolazione e protezione di cui lo sterilizzatore era corredato:
- “2 manometri tipo Bourdon scala 1-5 bar che riportavano la pressione in camera di sterilizzazione;
- 3 sonde a termoresistenza per il rilevamento della temperatura in camera di sterilizzazione con lettura digitale sul display del quadro di comando;
- pressostato di interblocco che impediva l’immissione di vapore in camera a porta non perfettamente chiusa;
- valvola di sicurezza con scarico in atmosfera c;
- dispositivo che impediva l’apertura della porta quando all’interno la pressione era superiore alla pressione atmosferica”.
 
Queste invece sono le fasi del ciclo, controllate da un “computer programmato per funzionare, nel caso di sterilizzazione di flaconi, con i parametri e le successioni di seguito indicate:
- accensione del computer;
- introduzione dei carrelli;
- chiusura delle porte”;
- selezione del ciclo di lavoro con l’introduzione dei valori fissati per diversi parametri riportati nell’intervento;
- raffreddamento;
- scarico della pressione;
- apertura camera;
- scarico dei flaconi”.
 
Riportiamo infine integralmente le conclusioni del documento in relazione a quanto rilevato a seguito degli accertamenti, conclusioni che ci permettono non solo ancora maggiore chiarezza sulle cause dell’incidente, ma eventuali indicazioni sulle misure di prevenzione che lo avrebbero evitato.
 
È risultato evidente che:
- “nel ciclo attuato veniva regolarmente saltata la fase di raffreddamento;
- nel ciclo si era raggiunta una temperatura superiore alla temperatura usuale di sterilizzazione;
- l’operazione di scarico era iniziata ad una pressione interna alla camera pari a quella atmosferica ma ad una temperatura non definita;
- i flaconi sono stati sottoposti ad uno shock termico superiore a quello indicato nella scheda;
- al momento della rottura i flaconi erano sottoposti, al loro interno, alla pressione dovuta alla somma delle pressioni parziali del vapor saturo alla temperatura a cui si trovavano i flaconi e dell’aria compressa per effetto della temperatura. Tale pressione era di molto superiore alla pressione alla quale erano normalmente sottoposti e molto vicina alla pressione indicata come pressione di prova nella scheda di fornitura;
- le operazioni di scarico dei flaconi venivano effettuati con carrelli manovrati manualmente. Su ogni carrello erano caricati sette vassoi sovrapposti sui quali erano poggiati i flaconi. Sul vassoio più basso erano applicate delle rotelle che rotolavano sulle guide applicate al piano di carico e scarico e dentro lo sterilizzatore. La movimentazione di carica e scarico dei carrelli nello sterilizzatore, era solo manuale. Era possibile, come mostrato nel corso degli accertamenti, che si determinassero degli scostamenti tra le guide del carrello e quelle dello sterilizzatore. Le guide dello sterilizzatore mostravano numerose deformazioni. Le operazioni di scarico dei ripiani di carrelli avveniva agendo sul vassoio dotato di ruote con un’asta metallica. Secondo le testimonianze durante le operazioni di scarico i flaconi a volte oscillavano;
- il pericolo di esplosione per rottura dei contenitori sottoposti alle sollecitazioni prima indicate per effetto dello scarico di essi dallo sterilizzatore prima di averli raffreddati fino a temperatura adeguata risulta o non preso in considerazione o volutamente ignorato;
- nel passato erano già successi incidenti dello stesso tipo sia in Italia che all’estero di cui non si era tenuto alcun conto;
- dalla documentazione acquisita è risultato che l’apparecchiatura era stata sottoposta anche a tutte le verifiche di esercizio e periodiche previste dalla normativa specifica per i recipienti destinati ad essere eserciti a pressione, nella quale lo sterilizzatore rientrava;
- secondo la prassi tali verifiche facevano e fanno riferimento, solo al pericolo rappresentato dalla apertura dello sterilizzatore con pressione interna ancora superiore a quella atmosferica; - la norma tecnica italiana non obbligava ancora alla applicazione di dispositivi che impedissero l’apertura dello sterilizzatore prima che la temperatura fosse portata a valori inferiori a quella di ebollizione come invece previsto da altre normative europee”.
 
Dunque una semplice e idonea risk analysis “avrebbe certamente consentito di individuare il pericolo”. 
 
 
 

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