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"Sulle responsabilità del direttore dei lavori"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
29/10/2012 - Altalenante è la posizione assunta dalla
Corte di Cassazione per quanto riguarda la responsabilità
della figura del direttore dei lavori in materia di salute e di sicurezza
sul lavoro. Il direttore dei lavori per conto del committente, sostiene la
suprema Corte in questa sentenza, è tenuto a vigilare sulla esecuzione fedele
del capitolato d’appalto, ma proprio in relazione al potere di sospensione o di
interdizione dei lavori in caso di una evidente pericolosità della
organizzazione di cantiere nonché di violazioni delle buone regole dell’arte e
di disapplicazione di norme cautelari stabilite a garanzia della salute e
sicurezza dei lavoratori e dei terzi, egli è anche titolare di una posizione di
garanzia. E’ stato ribadito anche in questa stessa sentenza il principio in
base al quale il preposto è destinatario delle norme antinfortunistiche “iure
proprio” ed ha quindi compiti di vigilanza che gli discendono direttamente
dalla legge senza la necessità di una apposita delega.
Il caso
e l’iter giudiziario
Il Tribunale in composizione monocratica
ha dichiarata la penale responsabilità del
direttore dei lavori di un cantiere edile nel quale erano in corso dei
lavori di costruzione di un casotto di campagna, nonché il caposquadra dello
stesso cantiere e di un agente tecnico in ordine al reato di omicidio colposo
commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di un
lavoratore e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti
all'aggravante contestata, li condannava alla pena di mesi otto di reclusione,
pena sospesa e interamente assoggettata all'indulto, nonché al risarcimento dei
danni nei confronti delle parti civili costituite.
Ai tre imputati era stato contestato
il reato di cui all'articolo 589 cod. pen. aggravato dalla violazione della
normativa antinfortunistica per aver cagionato, per colpa, senza avere adottato
le necessarie cautele del caso per evitare il verificarsi dell'evento letale,
la morte del lavoratore avvenuta a seguito delle lesioni da precipitazione. Lo
stesso, infatti, trovandosi sulla sommità del muro posteriore del casotto,
intento a far passare del materiale da costruzione nella parte interna verso
quella esterna, era caduto a peso morto al suolo decedendo.
Avverso la decisione del Tribunale gli
imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Appello la quale, in parziale
riforma della sentenza impugnata, ha ridotto a ciascun imputato la pena a sette
mesi di reclusione dichiarando, altresì, che la morte dell’infortunato era
stata dovuta alla concorrente responsabilità della stessa vittima nella misura
del 25%, rimanendo suddivisa in parti uguali tra i tre imputati la
quantificazione percentuale residua di colpa. La Corte territoriale ha ritenuto
sussistente la responsabilità di tutti e tre gli imputati in quanto gli stessi
avevano violato l'articolo 2087 c.c. che impone all'imprenditore di adottare
tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la
tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale
del lavoratore. Non ha invece riconosciuto il concorso di colpa della persona
offesa nella misura del 25%.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Avverso la sentenza della Corte di
Appello tutti e tre gli imputati, a mezzo dei loro difensori, hanno proposto distinti
ricorsi alla Corte di Cassazione chiedendone l'annullamento. I ricorrenti
avevano in primo luogo censurata la sentenza impugnata in quanto la Corte
territoriale avrebbe dovuto valutare con più attenzione la condotta colposa
della vittima per verificare conseguentemente se fosse stata la sua deliberata
condotta di salire sul muro senza alcuna protezione, effettuando un'azione anomala,
a determinare in maniera diretta ed immediata il verificarsi dell'incidente. Il direttore
dei lavori, in particolare, aveva sostenuto che avendo egli tale qualifica non
rientrava tra i suoi obblighi quello di predisporre misure di prevenzione
contro gli infortuni, in quanto la sua responsabilità era limitata a garantire
la corrispondenza dell'opera al progetto e sostenendo ancora che non era necessaria
la sua presenza nel cantiere, non essendo in corso nessuna particolare attività
né si comprendeva come un suo sopralluogo prima dell'incidente avrebbe potuto
evitare l’infortunio. Il caposquadra, dal canto suo, ha sostenuto che al
momento dell’infortunio era impegnato in altra parte del cantiere, che non
aveva l’investitura formale di preposto e che la violazione dell’art. 2087 c.c.
contestatagli non era applicabile a persona diversa dall’imprenditore.
La Corte di Cassazione non ha
condiviso la tesi sostenuta dagli imputati secondo la quale la condotta colposa
della vittima sarebbe stata da sola sufficiente a determinare l'evento. La giurisprudenza
della Corte di Cassazione, ha infatti sostenuta la stessa, ha stabilito che, in
tema di prevenzione antinfortunistica, poiché le relative norme mirano a
tutelare la salute del lavoratore, è posto in carico al datore di lavoro
l'obbligo di adottare le misure di prevenzione specificamente previste dalla
legge e in linea generale tutte le obbligazioni di prudenza e di esperienza
ampiamente considerate dall'articolo 2087 c.c. e peraltro, in ogni caso,
nessuna efficacia causale per escludere la responsabilità del datore di lavoro
può essere attribuita al comportamento
del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando
l'infortunio, come appunto è accaduto nel caso in esame sia da ricondurre
comunque alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate,
sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio dell’evento.
Per quanto riguarda la posizione del
caposquadra la suprema Corte ha confermata la sua condanna ed ha sostenuto che
“
è pacifico che egli fosse il caposquadra
e pertanto avesse la qualifica di preposto, che è destinatario delle norme
antinfortunistiche ‘iure proprio’ e ha quindi compiti di vigilanza che
discendono direttamente dalla legge”. Lo stesso inoltre, secondo la Sez.
IV, avrebbe dovuto impedire al lavoratore infortunato di porre in essere il
comportamento che l'ha portato alla morte, e cioè di salire sulla sommità del
tetto per passare agli altri operai il materiale per la costruzione del
ponteggio. Né la Sez. IV ha inteso dare importanza alla giustificazione addotta
dal caposquadra di essere impegnato in altre aree del cantiere.
Circa, infine, il ricorso presentato
dal direttore dei lavori la Sez. IV ha annullata la sentenza emessa nei suoi
confronti con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per un nuovo
giudizio non avendo la stessa tenuto presente la posizione di garanzia
dell’imputato in qualità di direttore dei lavori. “
Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte”, ha così precisato
la Sez. IV, “
il direttore dei lavori, per
conto del committente, è si tenuto alla vigilanza sull'esecuzione fedele del capitolato
di appalto, ma proprio in relazione ai poteri di sospensione o interdizione dei
lavori in caso di evidenza di pericolosità della organizzazione di cantiere, di
violazione delle buone regole dell'arte e di disapplicazione di norme cautelari
stabilite a garanzia della salute dei lavoratori o dei terzi, è anch'egli
titolare di una posizione di garanzia sulla quale il giudice di merito non si è
motivatamente pronunciato”.
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