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"Imparare dagli errori: incidente in una camera iperbarica multiposto"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
15/11/2012 - Le
camere iperbariche sono
attrezzature a pressione che presentano diverse tipologie di rischio, sia perché
destinate a contenere persone, sia perché oltre al rischio pressione presentano
problematiche di installazione, impiantistiche e di gestione e controllo dei
parametri di esercizio.
Gli
articoli di PuntoSicuro hanno rilevato che spesso i rischi di queste attrezzature a pressione
non sono sufficientemente valutati.
Per
tornare dunque a parlare di sicurezza delle camere iperbariche presentiamo un
incidente descritto negli
atti del
convegno SAFAP 2010, un convegno che ha affrontato lo “stato dell’arte” del
settore delle attrezzature
a pressione e gli aspetti emergenti, teorici e applicativi, le nuove
metodiche e le esperienze nell’applicazione della legislazione vigente.
Nell’intervento
“
Pressure Equipment Risk Analysis
Learning from Accident”, a cura di G. Mulè e G. Mulè, viene descritto un
gravissimo incidente in una
camera
iperbarica multiposto (recipiente in pressione nel quale sono introdotti
pazienti da sottoporre a ossigenoterapia mediante utilizzo di maschere
oro-nasali o caschi) dove, a causa di un incendio, persero la vita 11 persone.
Gli
autori ricordano che i
principali
pericoli legati all’utilizzo di camere iperbariche sono due:
-
la possibile
depressurizzazione rapida
della camera iperbarica;
-
il
pericolo di incendio.
In
particolare il pericolo
di incendio “è da valutare con estrema attenzione perché si potrebbe
sviluppare in atmosfere arricchite di ossigeno e in pressione. In queste
condizioni le proprietà di molti materiali cambiano, l’energia necessaria per
l’ignizione si abbassa, la rapidità della combustione cresce in modo elevato”.
Questi
alcuni
provvedimenti di prevenzione e
protezione in relazione al pericolo di incendio:
-
informazione ai pazienti;
-
formazione degli operatori;
-
controlli in ingresso;
-
misurazioni della percentuale in volume di ossigeno;
-
regolazione del livello di ossigeno;
-
presenza di operatore all’interno;
-
collegamento con l’esterno;
-
controlli sull’impianto di illuminazione;
-
controlli sull’impianto elettrico;
-
impianto di spegnimento dotato di: manichette orientabili poste agli estremi
della camera e azionabili dall’interno; impianto a pioggia attivabile
dall’interno e dall’esterno.
Dopo
l’incidente
gli accertamenti dei
consulenti hanno consentito di concludere che:
-
“al momento dell’incidente (circa 10min - 15min dall’inizio della distribuzione
dell’ossigeno), all’interno della camera
iperbarica la concentrazione in volume dell’ossigeno non poteva superare il
valore del 27,5%, ma più verosimilmente era contenuta entro il 24%;
-
il fatto che la soglia della sonda ossimetrica (l’ossimetro è il misuratore
della concentrazione d’ossigeno, ndr) fosse stata regolata al valore del 27% ha
fatto arguire che il superamento della soglia di concentrazione del 23,5%,
considerata ‘sicura’, fosse frequente e tollerato;
-
un così rilevante flusso disperso di ossigeno è stato spiegato con l’uso di un
elevato numero di caschi, oltretutto modificati, che ha avvalorato l’ipotesi
che, nello spazio tra la cute dei pazienti e gli abiti e negli abiti stessi, la
concentrazione di ossigeno aveva potuto raggiungere valori anche molto elevati
(60% - 80%), abbassando quindi enormemente l’energia richiesta per ottenere
l’ignizione degli abiti stessi e giustificando una rapida propagazione della
fiamma ai vestiti ed alla cute del paziente una volta avuta adeguata ignizione”.
Inoltre
in relazione all’
impianto antincendio
fu accertato che:
-
“la portata dell’impianto antincendio seppure inferiore a quello indicato dal
codice 99 della NFPA (National
Fire Protection Association, ndr), è stato ritenuto sufficiente a garantire una
azione efficace dell’impianto antincendio;
-
il numero, la posizione, le caratteristiche degli
sprinkler e degli altri elementi dell’impianto avrebbero consentito di
raggiungere portate superiori installando un diverso modello di sprinkler e
posizionando diversamente l’autoclave rispetto alla camera iperbarica, in modo
da eliminare metri di tubazione inutile e un numero elevato di curve;
-
le prove effettuate dal collegio dei consulenti del P.M. avevano dimostrato
che, anche in condizioni più severe di quelle ipotizzate come condizioni di
innesco nel caso di specie, l’intervento del getto d’acqua con la doccia si era
rivelato assolutamente efficace per spegnere il focolaio di incendio e che lo
spegnimento con l’intervento degli sprinkler si realizza in tempi molto rapidi
e con consumi di acqua molto ridotti;
-
l’
impianto antincendio al momento
dell’incidente non era funzionante, in quanto: I) mancava acqua nel
serbatoio; II) la saracinesca del tubo di mandata posta in prossimità del
serbatoio era chiusa; III) il rubinetto della bombola di aria compressa propellente
era chiuso;
-
sebbene il serbatoio dell’acqua fosse predisposto per l’applicazione del tubo
per il controllo di livello, questo non era installato e le prese relative
erano tappate;
-
all’interno della camera iperbarica non era disponibile la doccetta attivabile
manualmente, che avrebbe potuto consentire lo spegnimento tempestivo di un
focolaio d’innesco;
-
il personale sanitario addetto alle camere iperbariche sottovalutava il
pericolo di incendio all’interno della camera iperbarica, tanto da non curarsi
dell’efficienza dell’impianto antincendio;
-
il personale
addetto alla manutenzione non aveva alcuna famigliarità con l’impianto
antincendio in questione ed evidentemente non ne ha mai curato la manutenzione;
-
tutte le cause dell’inefficienza dell’impianto antincendio avrebbero potuto
essere rilevate ‘a vista’, senza l’uso di strumenti di misura; porre rimedio
alle situazioni anomale non avrebbe richiesto alcuna operazione più complessa
dell’aprire una saracinesca o collegare la doccetta o la lancia a mano
all’attacco relativo, operazioni eseguibili certamente da un qualunque
idraulico;
-
la
valutazione dei rischi era
assolutamente insufficiente con particolare riferimento al rischio di
incendio nelle camere iperbariche, del tutto sottovalutato e in quanto
insufficiente fu giudicata come non fatta;
-
si accertò che erano state adottate misure di prevenzione e protezione inidonee
secondo i parametri della fattibilità tecnologica del momento;
-
si era omesso di impartire, personalmente o per il tramite del personale
medico, tecnico o infermieristico o per mezzo di adeguati cartelli informativi,
le dovute istruzioni ai pazienti, inoltre mancavano i controlli per assicurare
che le prescrizioni venissero rispettate;
-
si era trascurata la necessaria formazione del personale tecnico ed
infermieristico sul funzionamento dei sistemi antinfortunistici ed in
particolare sull’utilizzo del sistema antincendio;
-
in conclusione il minuto di sopravvivenza minima stimato con i calcoli
riportati in perizia avrebbe consentito l’attivazione dell’impianto
antincendio, che, considerando le potenzialità dell’impianto stesso avrebbe
significativamente dilatato i tempi di sopravvivenza rimuovendo calore e
spegnendo almeno parzialmente l’incendio”.
In
conclusione si ritenne che “
l’intervento
tempestivo dell’impianto antincendio avrebbe certamente influito sulla durata
ed intensità dell’incendio in questione e che conseguentemente almeno alcuni
degli occupanti della camera iperbarica avrebbero potuto essere salvati”.
Inoltre
la camera iperbarica multiposto “
non
aveva subito le verifiche previste dalla legge”.
Infine
è da rilevare “
l’assoluta inadeguatezza
dell’analisi dei rischi condotta dalla società”: una corretta e semplice
risk analysis avrebbe
evidenziato quanto le misure di prevenzione e protezione presentate dagli
autori fossero essenziali per garantire un adeguato livello di sicurezza.
“ SAFAP
2010 - Sicurezza ed affidabilità delle attrezzature a pressione - La gestione
del rischio dalla costruzione all’esercizio - Atti del Convegno” (formato
PDF, 28.36 MB).
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