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"Il rischio chimico e cancerogeno della saldatura di metalli"

fonte www.puntosicuro.it / Salute

15/01/2013 - La saldatura di metalli, un processo industriale diffuso in molte realtà industriali,  è sicuramente tra le attività più critiche per la salute dei lavoratori addetti.
Il rischio chimico della saldatura deriva principalmente dallo sviluppo dei fumi, una complessa miscela di più di cinquanta componenti chimici inorganici ed organici, miscela che si libera durante la fase di riscaldamento ed eventuale fusione del pezzo da saldare.
 
In merito ai rischi della saldatura il Decreto n. 10033 della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia  ha approvato il documento “ Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività di saldatura metalli”. Documento che riporta utili indicazioni per affrontare adeguatamente il rischio chimico e cancerogeno della saldatura di metalli.
 
Riguardo al rischio chimico “con buona approssimazione si può affermare che la composizione e la concentrazione dei relativi agenti chimici presenti nei fumi di saldatura sono strettamente dipendenti dal materiale che viene saldato, dalla composizione dell’elettrodo, dall’eventuale materiale d’apporto e da sostanze che eventualmente sono presenti, anche in forma di contaminanti, sulle superfici del manufatto da saldare”. E il rischio più rilevante connesso ai fumi è rappresentato “dalla presenza, nei fumi, di metalli allo stato di vapore o di fine particolato (ferro in quantità preponderante; manganese, nichel, cromo in percentuali significative; zinco, piombo, silicio, titanio, alluminio, cadmio, molibdeno, vanadio, niobio, cobalto, tungsteno, rame, berillio, antimonio in quantità molto basse o solo in tracce)”.
 
Molti lavori sperimentali hanno inoltre confermato “la variazione quantitativa e qualitativa nella composizione dei fumi in base alla distanza dal punto di emissione, variazione della quale si deve necessariamente tenere conto nella valutazione delle esposizioni indirette. Di solito le concentrazioni più elevate di fumi si trovano nelle immediate vicinanze del punto di saldatura, per poi decrescere rapidamente con la distanza (sino a cinque volte più basse a soli due metri di distanza dal punto di origine)”.
 
Per facilitare la redazione del documento di valutazione dei rischi il vademecum riporta alcune riflessioni:
- “la maggior parte delle schede di sicurezza relative ai materiali utilizzati nelle attività di saldatura riporta una classificazione di ‘non pericoloso’ in quanto non è previsto dalla norma di utilizzare i pericoli derivanti dai prodotti di degradazione termica per la classificazione della lega stessa. Spesso tali pericoli non sono nemmeno trattati dai pertinenti capitoli della scheda dati di sicurezza, pertanto un metodo di valutazione che si basi esclusivamente sulla classificazione e sulla Scheda dati di Sicurezza può portare ad una sottovalutazione del rischio;
- nella maggior parte dei casi, per la notevole variabilità dei materiali utilizzati e per la numerosità dei prodotti di degradazione termica la valutazione dell’esposizione può essere ricondotta ad una ‘ multiesposizione’ a basse dosi di numerose sostanze. Pertanto il metodo utilizzato per la valutazione deve necessariamente essere in grado di quantificare/qualificare questa tipologia di multi esposizione”;
 - occorre considerare sia “i pericoli derivanti dai singoli componenti presenti nella lega sia quelli derivanti dalle sostanze che si possono liberare durante la lavorazione a caldo”. Ad esempio “una lega potrebbe non essere pericolosa, quindi non necessitare di scheda dati di sicurezza, ma l’utilizzatore, ciò nonostante, deve valutare la pericolosità delle sostanze che si possono sviluppare a seguito delle lavorazioni a caldo”. 
Si sottolinea che qualora le conclusioni della valutazione “portino ad un giudizio conclusivo di rischio non irrilevante per la salute deve essere affrontata la problematica delle misurazioni” (art. 225 D.Lgs 81/2008).
 
In relazione al rischio da agenti cancerogeni  bisogna sottolineare il potenziale cancerogeno per l’apparato respiratorio riconosciuto al cromo esavalente, “da tenere ben distinto dal cromo trivalente che riveste invece funzione di metallo essenziale per il nostro organismo”. Inoltre tra i cancerogeni riconosciuti dalla legislazione europea vi sono anche “composti del cadmio e del cobalto, che tuttavia oggi mostrano ambiti di utilizzo assai limitati”.  
Per quanto riguarda “la cancerogenicità dei composti solubili del nichel, occorre ricordare che vi sono estrapolazioni, sospetti ed ipotesi sperimentali che invitano all’attenzione; allo stato attuale delle conoscenze scientifiche i dati in questo senso sono però considerati insufficienti dall’Unione Europea”. Da rilevare tuttavia che “numerosi composti del nichel sono cancerogeni riconosciuti. Si cita infine il Berillio, agente cancerogeno e mutageno (R49, R46), presente nei sistemi di saldatura a resistenza sotto forma di leghe con il rame”.
 
Riguardo a questi rischi il datore di lavoro, una volta che abbia valutato le possibilità di sostituzione e la fattibilità con buoni risultati di un “ciclo chiuso”, deve “provvedere affinché il livello d’esposizione dei lavoratori sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile.
Tutto ciò non può prescindere dalla valutazione dei risch i.
 
Con riferimento anche a una serie di indagini su circa 1.500 aziende nel settore della saldatura dell’acciaio inossidabile (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali della Regione Lombardia), il vademecum presenta  precise indicazioni relative alle misure tecniche di prevenzione del rischio chimico e cancerogeno.
 
I principi di prevenzione cui deve attenersi il datore di lavoro nella programmazione degli interventi di miglioramento “sono quelli di prevenzione primaria ovvero:
- la sostituzione, quando possibile, di una sostanza o preparato con uno a minore tossicità;
- minimizzare la formazione dei fumi che si possono originare durante le lavorazioni”.
 
In particolare i “seguenti accorgimenti pratici ed organizzativi (misure collettive) possono essere un ottimo sistema di prevenzione del rischio legato ad agenti chimici:
- utilizzare opportuni sistemi di estrazione (aspirazione) o di diluizione dell’aria (ventilazione forzata);
- utilizzare sempre, in abbinamento ad estrazione/diluizione, impianti di aspirazione localizzata in prossimità del punto di saldatura adeguati a ridurre la dispersione di aerosol nell’ambiente (ideale ‘ciclo chiuso’, ecc.).
 
 La ventilazione generale deve essere realizzata rispettando i seguenti principi:
- “l’estrazione dell’aria deve avvenire esclusivamente per via meccanica e non essere inferiore a 6 ricambi/ora;
- le bocchette di estrazione devono essere preferibilmente collocate in alto mentre quelle di mandata in basso, in questo modo si riesce ad utilizzare al meglio il movimento ascensionale degli aeriformi caldi (gas/vapori derivati dalla saldatura e dall’aria in contatto con le parti calde);
- l’aria in uscita deve essere compensata con uguali volumi di aria in entrata;
- la compensazione può essere naturale se le aperture hanno una superficie adeguata (1/12 della superficie di calpestio) e una sufficiente distanza dalle aperture per l’estrazione”.
 
Durante le fasi di saldatura va “sempre prevista l’ aspirazione localizzata, con l’elemento di captazione posizionato presso la zona operativa”.
Questi i requisiti minimi degli impianti di aspirazione localizzata (rif.: Industrial Ventilation ACGIH 2007 26th Edition e altre pubblicazioni):
- “corretto posizionamento del terminale di captazione, racchiudendo la sorgente inquiniante o avvicinando il più possibile la faccia della cappa alla sorgente stessa, che consenta però la possibilità di effettuare agevolmente operazioni di attrezzaggio e manutenzione;
-  velocità di cattura dei fumi compresa tra 0,25 e 0,50 m/s con inquinante emesso senza velocità in aria quieta;
-  velocità di cattura compresa tra 0,50 e 1,00 m/s per emissioni a bassa velocità in aria quasi quieta;
-  distribuzione omogenea della velocità di ingresso dell’aria sul fronte della cappa (plenum posto posteriormente all’ingresso della cappa);
-  possibilità di sezionare l’impianto escludendo le diramazioni asservite a presse al momento non funzionanti;
-  corretto reintegro dell’aria aspirata, evitando formazioni di turbolenze e correnti interferenti;
-   manutenzione e pulizia periodica stabilita da un protocollo tecnico di manutenzione predittiva;
-  verifica periodica, ad esempio annuale, delle velocità di cattura”.
 
Concludiamo segnalando che, come rilevato dallo studio PPTP-Inox della Regione Lombardia, “in numerose aziende sono installati impianti di aspirazione localizzata per proteggere la salute dei lavoratori, ma in molti casi tali presidi di prevenzione collettiva, a fronte di spese di installazione e gestione elevati, non lavorano correttamente”.
Per avere il massimo beneficio da un impianto di aspirazione localizzata è necessario che il datore di lavoro, in fase di richiesta di progetto e fornitura, “specifichi chiaramente di cosa ha bisogno e fornire adeguate informazioni sui processi lavorativi, i pericoli che ne derivano e le sorgenti inquinanti che si vogliono controllare”.
   
 
 

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