News
"RSPP interno obbligatorio anche nelle attività commerciali?"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
14/03/2013 - L’art. 31 del D.Lgs. n. 81/2008 al comma 6 prevede
la obbligatorietà di un servizio di prevenzione e protezione interno e quindi
di un RSPP interno
“
nelle
aziende industriali
sopra i 200 lavoratori”.
Ci si è posti il problema di come si debba
interpretare
la definizione di “impresa industriale” e se tale misura
numerica riferita ai lavoratori si debba applicare solo ad alcune imprese e non
ad altre (agricole, commerciali, di servizi…).
La risposta della dottrina e della giurisprudenza non appare,
a un approfondimento, univoca
.
Infatti nelle definizioni
classiche di economia aziendale
l’impresa industriale è intesa
come “un’azienda di produzione diretta che attua
la trasformazione fisico tecnica di materie prime o semi lavorate in
prodotti finiti, attraverso due tipi fondamentali di processi: la produzione
in senso stretto, il montaggio o assemblaggio”
E sempre in dottrina troviamo definizioni del tipo:
“per Lavorazione industriale o artigianale”: si intende
qualsiasi attività di
produzione di beni, anche condotta all'interno di un'unità locale
avente carattere prevalentemente commerciale o di Servizio, purché tale
lavorazione sia identificabile in modo autonomo e non sia finalizzata esclusivamente
allo svolgimento dell'attività commerciale o di servizio”.
Tale lettura della dottrina sembra essere
confortata da alcune disposizioni di legge tra le quali quelle richiamate dalla
legge n. 49 del 1989 che all’articolo 49
disciplina la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali ed assistenziali
indicando i seguenti criteri:.
a)
settore industria, per le attività:
manifatturiere, estrattive, impiantistiche; di produzione e distribuzione
dell'energia, gas ed acqua; dell'edilizia; dei trasporti e comunicazioni; della
pesca; dello spettacolo;
nonché per le relative attività ausiliarie;
b)
settore artigianato, per le attività di
cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443;
c) settore agricoltura, per le attività di cui
all'art. 2135 del codice civile ed all'art. 1 della legge 20 novembre 1986, n.
778;
d)
settore terziario, per le attività:
commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e
prestazione dei servizi anche finanziari; per le attività professionali ed
artistiche; nonché per le relative attività ausiliarie;
e)
credito, assicurazione e tributi, per le
attività: bancarie e di credito; assicurative; esattoriale, relativamente ai
servizi tributari appaltati.
O ancora, sembra confortare questa interpretazione
la
Circolare
del Ministero del Lavoro n. 89 del 27 giugno del 1996 (“con
l’aggettivo industriale si è voluto escludere le aziende agricole e si è voluto
fare riferimento esclusivo a tutte le attività dirette alla produzione di beni
materiali”, escludendo così “le attività dirette alla produzione di servizi
(amministrative, finanziarie, turistiche, di distribuzione, commerciale,
spettacolo, pulizia ecc.)”.
L’orientamento giurisprudenziale
prevalente dalla metà degli anni 90 non va tuttavia verso questa lettura univoca se si ragiona della materia della
sicurezza sul lavoro, come ha annotato anche il dott. Raffaele Guariniello, Procuratore
capo a Torino.
Infatti la
Cassazione
penale, sez Unite
nella sentenza n. 9616 del 14 settembre 1995 ha così sancito: “Secondo le nozioni
della scienza economica e quelle giuridico privatistiche (art. 2915 c.c.), le
attività industriali e quelle commerciali sono dirette rispettivamente alla
produzione e allo scambio di beni e servizi. Con il termine “servizi” in
economia si intendono tutte quelle utilità che non rientrano nella categoria
dei beni materiali ma concorrono a soddisfare i bisogni dell’uomo”. Tuttavia
una azienda che produce beni o servizi “può svolgere una
attività industriale o una terziaria ma è sempre una
azienda industriale”.
Vale a questo riguardo richiamare
la sentenza n.
21987 del 19 maggio 2003 della Cassazione, sez. III: “ai sensi
dell’art. 2195 comma 1 c.c.,
industriale deve ritenersi
qualsiasi
azienda imprenditoriale che abbia ad oggetto la produzione di beni o servizi”.
Infatti il codice civile nell’esplicitare l’obbligo di iscrizione nel Registro
delle imprese fa riferimento agli imprenditori che “
esercitano una attività
industriale diretta alla produzione di beni o servizi”.
La Cassazione, richiamando l’art. 2195 del Codice
civile, tende quindi a non distinguere tra impresa industriale ed impresa di
servizi. Ciò sembra quindi spingere ad una lettura estensiva dell’art. 31 comma
6 del D.Lgs. n. 81/2008,
ovvero che è
obbligatorio avere un RSPP interno
anche per le imprese commerciali, in quanto “industriali” in senso esteso.
Con tutta evidenza è quindi
difficile dare una indicazione
netta ed esaustiva giacché entrambe le letture (dottrina e legislatore
assicurativo da una parte e giurisprudenza dall’altra) sono confortate da
valide argomentazioni, anche se la lettura giurisprudenziale pare assai più
estensiva e in apparente contraddizione con quanto la legislazione speciale è
andata producendo di altro e di oltre al codice civile.
Non risultano, inoltre a riguardo, indicazioni precise
ed univoche da parte degli organi di controllo come le ASL.
Sarebbe quindi opportuno o un pronunciamento del
legislatore o in subordine una interpretazione da parte della Commissione
permanente per la salute e sicurezza sul lavoro presso il Ministero del lavoro,
investita dal legislatore del D.Lgs. n. 81/2008 (art. 6), proprio del ruolo di
soggetto che può dirimere letture controverse per portare unità ed armonia nel
corpo normativo.
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1065 volte.
Pubblicità