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"Sulla verifica tecnico-professionale da parte del committente DDL"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
15/04/2013 -
Viene ribadito in questa sentenza un principio che discende dall’ex
articolo 7 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 attualmente sostituito con
l’art. 26 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i. contenente il Testo Unico
in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, e cioè che il datore di lavoro committente deve
prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche
di prevenzione adottate possano causare rischi per la sicurezza e la
salute oltre che dei lavoratori dipendenti anche di tutti coloro che
vengono a trovarsi legalmente nei luoghi di lavoro. Le disposizioni
prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate, secondo la suprema
Corte, nell’interesse di tutti e anche quindi degli estranei al rapporto
di lavoro occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo a
prescindere quindi dal rapporto di dipendenza con il titolare
dell’impresa.
Il caso
La Corte di Appello, concedendo il beneficio della non menzione
della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ha confermata
la sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei confronti del
dirigente e di un funzionario di una Amministrazione pubblica tratti a
giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo perché in
cooperazione fra loro, dovendo effettuare il trasferimento di 20 travi,
10 tavole e 45 listoni di abete di m. 4 di lunghezza ciascuno e del peso
complessivo di 9 quintali fino ad un sito archeologico di proprietà
dell’Amministrazione di appartenenza lungo una strada sterrata boschiva
ed in pendenza, avevano affidata l'esecuzione del lavoro ad "factotum"
dell’Amministrazione senza verificarne il possesso della necessaria idoneità tecnico-professionale ed
avevano pertanto consentito, per colpa generica consistita in
negligenza, imprudenza, imperizia e per colpa specifica consistita nella
violazione degli obblighi imposti dall’articolo 7 del D. Lgs. n.
626/1994, che il lavoratore effettuasse il suddetto trasferimento
utilizzando inadeguatamente la sua moto agricola su cui caricava
l'intero tavolato, poggiandone una estremità sulla sponda metallica
saldata artigianalmente sul cassone dietro il posto di guida, cagionando
quindi il cedimento della sponda medesima e la caduta del tavolato
contro il lavoratore stesso che veniva travolto e decedeva per le
gravissime lesioni cervicali e per asfissia da compressione.
Il ricorso e le decisioni della Corte di
Cassazione
Avverso
la decisione della Corte d’Appello hanno proposto ricorso entrambi gli imputati
a mezzo dei rispettivi difensori lamentando una erronea applicazione
dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 626/1994 per quanto riguarda la valutazione della idoneità tecnica e
professionale del lavoratore infortunato. I ricorsi non sono
stati accolti dalla Corte di Cassazione in quanto infondati. La stessa,
conformemente ai giudici di primo e secondo grado, ha invece ritenuto che fosse
stato correttamente applicato l’articolo 7 del D. Lgs. n. 626/1994 ed ha
ritenuto altresì la decisione dei giudici di merito conforme ai principi più
volte enunciati dalla Corte di Cassazione medesima. Secondo quest’ultima,
infatti, “
in materia di normativa
antinfortunistica, il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia
e di controllo della integrità fisica anche dei lavoratori dipendenti
dell'appaltatore e dei lavoratori autonomi operanti nell'impresa poiché ai
sensi del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 è tenuto tra l'altro
a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a
fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate
informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro”.
Nel
caso in esame, ha proseguito la Sez. IV, entrambe le sentenze di merito,
contrariamente a quanto sostenuto dagli imputati, avevano chiarito che
l'attività di trasporto posta in essere dal lavoratore dovesse qualificarsi,
esulando dalle prestazioni previste dal contratto concluso con la pubblica
Amministrazione dalla quale dipendeva, come contratto d'opera ai sensi
dell'articolo 2222 c.c.. La stessa ha inoltre precisato che “
in materia di normativa antinfortunistica,
l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si
estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in
via autonoma” ed inoltre “
se è
indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei
presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è
altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale
di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire
le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene
prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti
alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera
dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro”.
”
E’ di decisivo rilievo, in particolare”,
ha proseguito la Sez. IV, “
il disposto
dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di
là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità
fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro
opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi
all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in
forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2”. “
Tale obbligo” ha sostenuto ancora la
suprema Corte, “
è di così ampia portata
che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore
subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. Decreto del Presidente
della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 3, comma 2) o, anche, di persona
estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale
tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza”.
La
Corte di Cassazione ha quindi concluso ribadendo che “
secondo un assunto pacifico e condivisibile, le norme
antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori,
ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni
nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi,
cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove
vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla
legge, possono essere causa di eventi dannosi” ed ha fatto presente infine
che quanto sopra detto è da “
desumere dal
Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera n), che,
ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro ‘prende
appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano
causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente
esterno’, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare
emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro,
occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere,
quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa”.
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