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"Fattori di rischio e idoneità per le attività di lavoro in alta quota"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
10/05/2013 - Sia la permanenza che, ancora di più, lo svolgimento di un’
attività di lavoro in alta quota (intesa come altitudine
pari o superiore a 3000 m sopra il livello del mare)
comportano un necessario e fisiologico adattamento dell’organismo umano
alle mutate condizioni ambientali. E il principale problema legato
all’altitudine è sicuramente rappresentato dalla riduzione della
pressione parziale di ossigeno (
ipossia) che si verifica proporzionalmente alla riduzione della pressione barometrica.
Per affrontare il tema delle attività ad alta quota è stato pubblicato sul numero di aprile/giugno 2012 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia un
corposo intervento a cura di Giuseppe Taino, Guido Giardini, Oriana
Pecchio, Marco Brevi, Marco Giorgi, Marina Giulia Verardo, Enrico
Detragiache e Marcello Imbriani.
In
“
Il lavoro in alta quota: nozioni di
fisiopatologia, fattori di rischio, sorveglianza sanitaria e criteri per
l’elaborazione del giudizio di idoneità” si indica che la riduzione della
pressione parziale dell’ ossigeno
atmosferico
“scatena una serie di meccanismi di adattamento funzionale che, nel loro
complesso, costituiscono il
processo di
acclimatazione”. E questo studio, “partendo dall’analisi della fisiologica
risposta acuta dell’organismo umano alle condizioni di ipossia e arrivando
all’acclimatamento vero e proprio per permanenze protratte, prende in esame
tutti i
fattori di rischio correlati
allo svolgimento di una attività lavorativa in alta quota”.
Gli
autori presentano le
principali
patologie caratteristiche dell’alta quota: mal di montagna acuto (AMS
acronimo per Acute Mountain Sickness), edema cerebrale da alta quota (HACE
acronimo per High Altitude Cerebral Edema) ed edema polmonare da alta quota
(HAPE acronimo per High Altitude Pulmonary Edema). Patologie che “possono avere
conseguenze anche gravi sulla salute di soggetti che si recano in alta quota
per ragioni di lavoro o per motivi ricreazionali”.
Vengono
presentate anche “altre patologie, meno gravi, secondarie all’ipossia: la
cefalea da alta quota (HAH acronimo per high altitude headache), la retinopatia
e la tosse da alta quota”.
Nel
documento sono identificati inoltre:
-
i
fattori fisici di rischio correlati
all’ambiente dell’alta quota, rappresentati da temperatura, umidità,
latitudine, velocità dell’aria, pressione atmosferica e ipossia;
-
i
fattori di rischio correlati al
lavoratore e rappresentati da età, sesso, stato di salute e suscettibilità
individuale, grado di allenamento.
Ad
esempio riguardo all’
età si segnala
che se “non è possibile definire una precisa età che predisponga a patologie in
alta quota”, l’ età avanzata in generale
“rappresenta un fattore di rischio perché caratterizzata da uno scadimento
delle condizioni generali di salute”.
Con
riferimento allo stato di salute del lavoratore sono state prese in esame “le
principali
condizioni fisiopatologiche
in grado di creare situazioni di ipersuscettibilità all’alta quota nei
lavoratori esposti al rischio”. Ad esempio con riferimento a diabete, obesità e sindrome
metabolica,
ipertensione, cardiopatie, patologie oculari, broncopneumopatie, malattie
renali, malattie dell’apparato digerente, malattie del sangue e malattie
neurologiche.
Successivamente
il documento prende in considerazione i
fattori
si rischio che riguardano più strettamente le attività e le mansioni lavorative
svolte in quota, fattori che sono “rappresentati dal grado di impegno
fisico e di dispendio energetico richiesto, dai dispositivi di protezione
individuali (DPI) utilizzati e dalla concomitante esposizione ad altri fattori
di rischio di natura fisica e/o chimica”.
Riguardo
ai
criteri di valutazione dell’attività
fisica e del grado di dispendio energetico richiesto si segnala che
“l’elaborazione del giudizio di idoneità alla mansione in un lavoratore non può
prescindere dalla conoscenza di alcune nozioni basilari che rientrano nella
definizione della capacità lavorativa di un soggetto da un lato e nella
conoscenza del dispendio energetico di un’attività di lavoro dall’altro”. Ad
esempio si fa riferimento ad alcune unità di misura ed espressioni di
riferimento come:
- il
MET:
“è l’unità di misura dell’intensità assoluta di un esercizio fisico e viene
espresso come consumo energetico di una qualsiasi attività o meglio, come
impegno metabolico”;
-
la
VO2 max: “è
l’espressione della massima potenza aerobica dell’individuo, ossia della
massima quantità di energia” prodotta “attraverso l’ossidazione di differenti
substrati (carboidrati, lipidi ed eventualmente proteine) nell’unità di tempo.
La VO2 max rappresenta la capacità massima di lavoro aerobico
eseguibile da un dato soggetto”.
Riguardo
ai
dispositivi di protezione individuale
(DPI) respiratori e all’attività lavorativa in alta quota il documento riporta
una classificazione degli apparecchi di
protezione delle vie respiratorie (APVR) con riferimento a:
-
requisiti e criteri di scelta degli APVR;
-
effetti di un apparecchio di protezione delle
vie respiratorie
(APVR) sull’utilizzatore.
Come
preannunciato vengono poi analizzati specifici fattori occupazionali di rischio
che possono avere influenza sull’attività di lavoro (“con ripercussioni
soprattutto sugli apparati respiratorio, cardiocircolatorio ed emopoietico”).
Per
concludere è affrontato il processo decisionale “legato alla
formulazione del giudizio di idoneità allo
svolgimento di attività di lavoro in alta quota” e proposto “un
protocollo sanitario che necessità
primariamente di un accurata indagine anamnestica finalizzata ad acquisire
informazioni in merito a condizioni fisiopatologiche preesistenti che
necessitano, una volta individuate, di percorsi decisionali e di
approfondimenti clinici e strumentali specifici e mirati”.
Nel
documento sono dunque analizzati e proposti protocolli clinici e strumentali
“per le principali situazioni fisiopatologiche di rischio per lo svolgimento di
una attività di lavoro in alta quota”. E per i lavoratori, nei quali l’indagine
clinica ed anamnestica non abbia evidenziato condizioni fisiopatologiche di
rilievo, “viene proposto un
protocollo
sanitario di base, comprendente accertamenti clinici e strumentali,
modulato in relazione all’età del lavoratore”.
In
particolare “fra gli accertamenti strumentali specifici, che possono diventare
fondamentali per potere esprimere un giudizio di idoneità nei casi complessi
e/o selezionati, è stato preso in esame il
test
ergospirometrico eseguito in condizioni di ipossia che rappresenta
l’accertamento dirimente per lo studio dei principali parametri predittivi per
valutare la permanenza e il lavoro in alta quota. Il test prevede la misura di
tre parametri fondamentali (frequenza cardiaca, saturazione d’ossigeno, ventilazione)
che vengono successivamente integrati per la costruzione delle variabili utili
all’interpretazione del test: risposta ventilatoria e cardiaca all’ipossia,
desaturazione a riposo e all’esercizio, frequenza respiratoria”.
“ Il
lavoro in alta quota: nozioni di fisiopatologia, fattori di rischio,
sorveglianza sanitaria e criteri per l’elaborazione del giudizio di idoneità”, a cura di Giuseppe Taino (Unità Operativa Ospedaliera di Medicina
del lavoro - IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri), Guido Giardini (Società
Italiana di Medicina di Montagna - Azienda Ospedaliera di Aosta), Oriana
Pecchio (Società Italiana di Medicina di Montagna), Marco Brevi e Marco Giorgi
(Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli Studi di
Pavia), Marina Giulia Verardo e Enrico Detragiache (Medicina del Lavoro - AUSL
di Aosta), e Marcello Imbriani (Dipartimento di Sanità Pubblica, Neuroscienze,
Medicina Sperimentale e Forense - Università degli Studi di Pavia - Unità
Operativa Ospedaliera di Medicina del lavoro - IRCCS Fondazione Salvatore
Maugeri, Pavia), in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed
Ergonomia, volume XXXIV - n. 2 - aprile/giugno 2012 (formato PDF, 750 kB).
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