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"Il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa del lavoratore infortunato per ottenere la riduzione del risarcimento"
fonte Nicola Pignatelli, avvocato in Barletta / Sicurezza sul lavoro
03/01/2014 -
È
quanto ha affermato, in una sentenza del dicembre 2013, la Sezione
Lavoro della Cassazione civile, in un procedimento instaurato da un
lavoratore che, nell'eseguire la sostituzione di una lampada di
emergenza di un mezzo compattatore, si era avvalso di una scala normale
(non dotata di dispositivi antiscivolo ed inidonea all'uso) ed era
caduto dall'altezza di circa 3,5 metri, riportando gravi lesioni.
Sia in primo che in secondo grado, i giudici avevano riconosciuto al lavoratore un risarcimento per danno biologico e danno morale, in misura ridotta rispetto a quanto spettantegli, avendo "attribuito" a quest'ultimo un concorso di colpa.
In definitiva, in entrambi i giudizi di merito era stato attribuito rilievo al fatto che il lavoratore fosse un lavoratore esperto, il quale ben avrebbe potuto/dovuto far uso di una scala più sicura, presente nel magazzino dell'azienda.
La Cassazione ha "invalidato" il ragionamento svolto dai giudici del primo e del secondo grado e ha affermato, in sequenza logica, i seguenti principi di diritto:
-- le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso;
-- il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente;
-- non può attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore;
-- l'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.
A questi principi (peraltro enunciati anche in precedenti sentenze di legittimità) non si erano adeguati i giudici di merito, i quali, pur avendo dato atto che il lavoratore, per un verso, era stato adibito ad una operazione pericolosa, ad una altezza di circa 3-4 metri e con una scala inidonea all'uso, senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone e, per di più, senza che sull'esecuzione di tale prestazione vi fosse stata alcuna vigilanza e, per altro verso, il comportamento del lavoratore non poteva certo definirsi come "abnorme", avevano tuttavia finito col riconoscere al lavoratore medesimo un risarcimento inferiore al "dovuto", in virtù di un preteso suo concorso di colpa che, nel caso concreto, doveva senz'altro ritenersi insussistente.
Di qui la decisione della Cassazione, di rinviare ad altro giudice, per la "nuova" determinazione del quantum risarcitorio, nel rispetto dei principi dalla stessa ribaditi.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-12-2013, n. 27127
[a cura di Nicola Pignatelli, avvocato in Barletta - avvocatonicolapignatelli@gmail.com]
Sia in primo che in secondo grado, i giudici avevano riconosciuto al lavoratore un risarcimento per danno biologico e danno morale, in misura ridotta rispetto a quanto spettantegli, avendo "attribuito" a quest'ultimo un concorso di colpa.
In definitiva, in entrambi i giudizi di merito era stato attribuito rilievo al fatto che il lavoratore fosse un lavoratore esperto, il quale ben avrebbe potuto/dovuto far uso di una scala più sicura, presente nel magazzino dell'azienda.
La Cassazione ha "invalidato" il ragionamento svolto dai giudici del primo e del secondo grado e ha affermato, in sequenza logica, i seguenti principi di diritto:
-- le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso;
-- il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente;
-- non può attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore;
-- l'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.
A questi principi (peraltro enunciati anche in precedenti sentenze di legittimità) non si erano adeguati i giudici di merito, i quali, pur avendo dato atto che il lavoratore, per un verso, era stato adibito ad una operazione pericolosa, ad una altezza di circa 3-4 metri e con una scala inidonea all'uso, senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone e, per di più, senza che sull'esecuzione di tale prestazione vi fosse stata alcuna vigilanza e, per altro verso, il comportamento del lavoratore non poteva certo definirsi come "abnorme", avevano tuttavia finito col riconoscere al lavoratore medesimo un risarcimento inferiore al "dovuto", in virtù di un preteso suo concorso di colpa che, nel caso concreto, doveva senz'altro ritenersi insussistente.
Di qui la decisione della Cassazione, di rinviare ad altro giudice, per la "nuova" determinazione del quantum risarcitorio, nel rispetto dei principi dalla stessa ribaditi.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-12-2013, n. 27127
[a cura di Nicola Pignatelli, avvocato in Barletta - avvocatonicolapignatelli@gmail.com]
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