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"Uso di sigarette elettroniche sul lavoro: le responsabilità del DDL"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
27/02/2014 -
Ospitiamo un articolo tratto da
PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente
, che analizza il
quadro
della normativa che, di fatto, sancisce la sostanziale proibizione
dell’utilizzo della sigaretta elettronica nei luoghi di lavoro.
FUMO NEGLI OCCHI
L’art. 51 della L.3 del gennaio
2003 (legge Sirchia) aveva stabilito il divieto di fumo nei luoghi chiusi, per
la tutela della salute dei non fumatori, in applicazione della normativa
europea (2001/37/CE) concernente il tabacco e la difesa dal fumo passivo.
Per quanto riguarda la sigaretta
elettronica (e-cig), in un primo tempo (decreto “Iva Lavoro”, Decreto Legge
n.76 del giugno 2013, che aggiunge un comma “10 bis” alla legge Sirchia) è
stata approvata una norma che la equiparava alla sigaretta tradizionale
(t-cig), facendo un riferimento esplicito ai luoghi pubblici e alle scuole; in
un secondo tempo (L. 128 del 8/11/2013, di conversione del decreto legge) la
norma è stata abolita per quanto riguarda i luoghi pubblici (il divieto permane
nelle scuole).
L’Istituto Superiore di Sanità il
26/09/2012 ha espresso il parere che le sigarette elettroniche, non utilizzando
tabacco, non rientrino nel campo di applicazione della normativa europea.
A molti è venuto conseguentemente
il dubbio che il divieto sia decaduto anche per quel che riguarda i luoghi di
lavoro.
In questo senso si è mossa
l’Associazione Bancaria Italiana, che ha posto un quesito (“Interpello”)
all’apposita Commissione per gli Interpelli del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali prevista dal D.Lgs. 81/2008, e quindi in relazione ai luoghi
di lavoro, chiedendo se ai sensi della norma del 2003, il divieto di fumo della
legge Sirchia debba essere esteso anche ai dispositivi elettronici.
La Commissione ha dato una
risposta (Interpello n. 15 del 24/10/2013 ) che prende atto del parere
dell’Istituto Superiore di Sanità, afferma che non c’è più una normativa
di divieto e “scarica” sul Datore di Lavoro ogni responsabilità sul dare o
meno il permesso di utilizzare la sigaretta elettronica nel luogo di lavoro.
“Ferma restando la possibilità del Datore di Lavoro, nell’ambito della propria
organizzazione, di vietare l’uso della sigaretta elettronica in azienda, nel
caso ciò non avvenga, ne potrà essere consentito l’uso solo previa valutazione
dei rischi, ai sensi delle disposizioni vigenti. La suddetta valutazione dovrà
tener conto del rischio cui l’utilizzazione della sigaretta elettronica può
esporre i lavoratori, in ragione delle sostanze che possono essere inalate, a
seguito del processo di vaporizzazione (nicotina e sostanze associate)”.
Ossia, se il Datore di Lavoro non
decide di vietare l’uso della sigaretta elettronica, oggi permessa nei luoghi
aperti al pubblico, deve dimostrare con la valutazione
dei rischi che non c’è pericolo per i lavoratori.
Prendiamo ad esempio un piccolo
ristorante in cui ci sia un dipendente.
In quanto luogo aperto al pubblico, i clienti possono utilizzare la sigaretta
elettronica, visto le disposizioni recenti. Immaginiamo che il Datore di Lavoro
abbia effettivamente clienti che fumano e-cig. In quanto luogo di lavoro, cosa
fa il Datore di Lavoro rispetto alla salute del suo dipendente? O vieta a tutti
di fumare, oppure fa la valutazione dei rischi (sulla cui complessità torneremo
dopo) per dimostrare che non c'è rischio per il lavoratore.
E' evidente che questa è una
strada senza via di uscita in moltissime situazioni.
La valutazione deve prendere in
esame tutti i pericoli, per stimare il rischio.
In proposito, c'è un contributo
illuminante da richiamare, rappresentato da una
lettera aperta del 03/12/2013 a cura di 4 società scientifiche di
sanità pubblica quali AIE (associazione italiana di epidemiologia), SITI
(società Italiana di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica) FIP
(Federazione italiana della pneumologia) e SITAB (Società italiana di
tabaccologia). Sottolineamo alcune affermazioni:
“la ricerca scientifica sugli
effetti della e-cig è solo in fase iniziale, tuttavia si conosce che:
la e-cig caricata con nicotina, confrontata alla
t-cig, è meno dannosa perché non contiene prodotti di combustione, portatori di
tutta la carica cancerogena dei prodotti del tabacco;
l’assorbimento di nicotina dalle e-cig comporta
comunque un aumento del rischio di eventi cardiovascolari, uno dei rischi
rilevanti per la salute legati al tabacco, anche per inalazione passiva nei
luoghi chiusi;
anche se si può presumere che i rischi legati
all’uso della e-cig non siano comparabili a quelli della combustione del
tabacco, non sappiamo quale sia l’effetto dell’esposizione alle componenti non
nicotiniche delle e-cig (in particolare anche se il consumo orale di glicole
propilenico è considerato non dannoso, devono essere ancora valutati i
possibili rischi associati alla sua inalazione prolungata)”.
L'eventuale valutazione del
rischio che un Datore di Lavoro deve fare riguarda certamente l'esposizione
passiva a nicotina, perché, come indicato dalla Lettera aperta, è possibile un
rischio cardiovascolare per le persone presenti nell'ambiente, tanto più se non
è nota la carica di nicotina che il fumatore e-cig / i fumatori e-cig
utilizzano.
Gli altri componenti allo stato
attuale non solo sono poco noti (glicole propilenico, metalli, aromi), ma sono
molto variabili, a quel che si conosce, a seconda del produttore e delle
opzioni possibili.
Rispetto a un processo
produttivo, la produzione di “fumo”, legato alla presenza di uno o più fumatori
e-cig, di uno o più episodi, crea una variabilità di condizioni ambientali che
rendono impossibile qualunque assennata valutazione anche sotto il profilo
quantitativo.
Ne deduciamo che il Datore di
Lavoro non ha vie di uscita, se non quella di proibire.
Questo ragionamento però non
inficia alcuni
pregi delle sigarette
elettroniche.
Usciamo dagli ambienti chiusi,
nei quali entrano in gioco il problema dell’esposizione passiva di altri, che
hanno diritto di essere preservati da ogni possibile rischio, e in particolare
usciamo dagli ambienti di lavoro, dove la valutazione dei rischi è a nostro
avviso improponibile.
E' possibile che il fumo delle
e-cig sia meno nocivo del fumo di tabacco,
perché non contiene tutti i prodotti di combustione che sono responsabili dei
danni a carico dell'apparato respiratorio (tumore polmonare e bronchite cronica
da prodotti della combustione) e del cuore (limitatamente al rischio d’infarto
legato alla presenza di ossido di carbonio). Per un accanito fumatore, il danno
globale da e-cig potrebbe essere inferiore a quello derivante dall'uso di
t-cig. Quindi, se fuma all'aperto, dove non fa danni ad altri, per lui potrebbe
essere meglio.
La composizione del vapore
tuttavia non è omogenea né verificata da organismi imparziali e competenti in
tema di sanità. Questa preoccupazione nasce anche da una segnalazione del Fud
and Drug Administration statunitense, che ha rintracciato in alcuni campioni di
cartucce insieme al dietilenglicole, composti cancerogeni come le nitrosamine.
Non essendo un prodotto sottoposto a controlli, può succedere di tutto.
Ancora, i firmatari della lettera
aperta sopra ricordata affermano che “ il primo studio rigoroso recentemente
pubblicato mette
in dubbio che la e-cig
possa essere un presidio efficace per smettere di fumare”.
C'è inoltre la preoccupazione che
la sigaretta elettronica possa essere un’iniziazione ai giovani rispetto al
fumo di tabacco. E' notorio che la nicotina crea dipendenza, ed è su questa
base che si sviluppa la preoccupazione del possibile passaggio alla dipendenza
dal tabacco. Tuttavia anche questo non è ancora stato studiato a sufficienza,
perché questo tipo di studi richiede anni di follow up e l’introduzione della
e-cig è ancora recente.
In
conclusione, l'introduzione della e-cig è troppo recente per avere
studi scientifici su vantaggi e svantaggi. La mancanza di norme e controlli
(ricordiamo che non c'è nessuna scheda tecnica di prodotto) sulla composizione
rende problematica la certezza dei rischi attesi da studiare. Il riflesso
socio-educativo è ancora completamente ignoto, forse ancora di più della
incerta composizione chimica. Come affermare un principio di prudenza senza
ostacolare il percorso di chi utilizza la e-cig perché ha (già) deciso di
smettere di fumare?
A mio avviso deve tornare a
valere la regola del
divieto di utilizzo
negli ambienti chiusi.
Emanuela Bellotto
Medico specialista in medicina del lavoro
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