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"D.Lgs. 231/2001: la struttura del modello di organizzazione"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
28/03/2014 -
L’avvocato Rolando Dubini ha realizzato per PuntoSicuro in questi
anni molti articoli di analisi e commento relativi ai vari aspetti del
D.Lgs. n. 231/2001 “Disciplina
della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle
società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a
norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000,n. 300”.Torniamo
oggi a parlarne con riferimento alla
struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo 231.
Le disposizioni del D.Lgs. n. 231/2001 non prevedono uno schema aprioristico di modello di organizzazione, gestione e controllo 231. D'altra parte è fortemente evidenziata l'esigenza (art. 7, comma 3) di realizzare un modello coerente e correlato con la natura e le dimensioni della struttura organizzativa, nonché con le peculiarità dell'attività svolta: detto articolo difatti prevede che il modello sia relazionato “ alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta”, e includa tutte le “ misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”.
Le disposizioni del D.Lgs. n. 231/2001 non prevedono uno schema aprioristico di modello di organizzazione, gestione e controllo 231. D'altra parte è fortemente evidenziata l'esigenza (art. 7, comma 3) di realizzare un modello coerente e correlato con la natura e le dimensioni della struttura organizzativa, nonché con le peculiarità dell'attività svolta: detto articolo difatti prevede che il modello sia relazionato “ alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta”, e includa tutte le “ misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”.
Per
quel che attiene la dimensione, che è spesso direttamente proporzionale al
grado di complessità aziendale, solitamente in una grande azienda il modello
231 dovrà essere maggiormente articolato e prevedere una maggiore
formalizzazione al fine di favorire la corretta implementazione e applicazione
dello stesso a tutti i livelli dell'organizzazione; mentre la peculiarità
dell'attività svolta incide sulla tipologia di reati-presupposto da prevenire.
Non è quindi ipotizzabile un modello
unico, idoneo per ogni tipologia di realtà aziendale: questo significa che la forma del
modello è libera, non essendo previsti modelli legali prefissati. Il modello
231 può definirsi “il compendio, diverso e personalizzato in ogni persona
giuridica, del sistema di prevenzione che, rispondendo al decreto, è necessario
precostituire onde non subire gli effetti automatici negativi della normativa
in oggetto” [Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012].
L'ente
può, perciò, predisporre il proprio modello
organizzativo 231 in piena autonomia, e/oppure utilizzare i modelli redatti
dalle associazioni di categoria alle quali è riconosciuto dalla legge il potere
di redigere codici di comportamento di portata generale.
L'idoneità
dei citati
codici di comportamento di
categoria, ex art. 6 comma 3, deve essere valutata, preventivamente, dal
Ministero della giustizia, cui devono essere preventivamente inviati, di
concerto con i Ministeri competenti, che, entro trenta giorni, devono formulare
le proprie osservazioni. Il Ministero con il D.M. n. 201/2003 ha emanato il
c.d. Regolamento, destinato alla fattispecie delle “Linee guida
interassociative”, per l'emissione coordinata di modelli delle aziende riunite
in associazioni. Nella relazione illustrativa si legge che tale previsione
normativa (elaborazione delle linee guida), suscettibile di fornire al giudice
un prezioso termine di confronto per la valutazione dell'idoneità dei singoli
programmi, consente la formalizzazione dell'idoneità tecnico-operativa dei modelli
organizzativi predisposti dalle citate associazioni di categoria (evitando in
tal modo la proliferazione di codici “di comodo” o di “mera facciata”) e, nel
contempo, assolvere ad una importante funzione di orientamento degli enti. Va
però sottolineato che la mera validazione dell'idoneità tecnico-operativa dei
modelli organizzativi da parte del Ministero della giustizia non attribuisce
ex se, in caso di adozione da parte
degli enti, la completa esenzione da responsabilità, posto che competerà
comunque alla competente Autorità Giudiziaria valutare la congruità del modello
rispetto alle previsioni normative, non potendosi riconoscere efficaci a
scusante a quei codici di comportamento che, anche se non hanno ricevuto
osservazioni critiche, deviano dall'impronta, strutturale e funzionale, che la
legge assegna ai modelli.
Se
è vero che la positiva valutazione ministeriale dei codici di comportamento, ai
quali si fossero ispirate le società e gli enti nella costruzione dei loro
modelli di prevenzione, non è affatto vincolante per il giudice, è altrettanto
vero, però, che nell'attività di valutazione da parte dell'Autorità Giudiziaria
(A.G.) la validazione ministeriale, sulla cui base il modello è stato
costruito, rappresenta un'autorevole opinione, che potrà anche essere
disattesa, ma in presenza di valide motivazioni.
Pertanto,
fatta salva l'utilità di fare riferimento a dette linee guida di portata
generale, non può non sottolinearsi l'esigenza di adottare e predisporre
protocolli 231 originali, aderenti alla singola realtà organizzativa. Ciò
consente l'adozione di modelli più adeguati, efficienti, efficaci ed idonei a
prevenire i reati e a tutelare la società: difatti, affinché il modello di
organizzazione e gestione possa dispiegare efficacemente i propri effetti, è
necessario che venga specificatamente pensato e progettato, secondo un
approccio “su misura”, per quel determinato ente nel quale dovrà trovare
applicazione.
I contenuti fondamentali
I
componenti essenziali del modello 231 risultano da una combinazione di
elementi:
1-
descrizione introduttiva della struttura
organizzativa della società e delle sue principali attività svolte;
2-
“
mappatura oggettiva” preventiva,
detta di “identificazione dei rischi”, ossia l'analisi descrittiva delle
aree funzionali interne esposte, per ciò
che in esse avviene in concreto, al rischio di commissione, da parte degli
appartenenti alla persona giuridica, di uno o più dei reati responsabilizzanti,
con annessa la specificazione preventiva delle potenziali modalità di
commissione dei reati stessi;
La
giurisprudenza ha evidenziato che “
il
modello deve rappresentare l’esito di una efficace analisi di rischio e di una
corretta individuazione delle vulnerabilità oggettive dell’ente in rapporto
alla sua organizzazione ed alla sua attività” (cfr. G.I.P. presso il
Tribunale di Napoli, ordinanza in data 26.06.2007), e deve, altresì, tener
conto delle caratteristiche degli altri soggetti operanti nel settore nonché
della storia, anche giudiziaria, dell'ente (G.I.P. presso il Tribunale di
Milano, ordinanza in data 09.11.2004). Il Tribunale di Milano, Sezione XI, con
l'ordinanza di riesame in data 28 ottobre 2004, ha statuito che “non può essere
considerato idoneo a prevenire i reati e ad escludere la responsabilità
amministrativa dell’ente un modello aziendale di organizzazione e gestione,
adottato ai sensi degli artt. 6 e 7 D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che non
preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell’attività della
società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti,
quali la presenza di conti correnti riservati all’estero, l’utilizzazione di
intermediari esteri al fine di rendere più difficoltosa la scoperta della
provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle
scadenze delle gare di appalto indette dalla società”.
3-
“
mappatura normativa”, attraverso la
definizione del sistema implicito di prevenzione/ contenimento dei rischi e
delle conseguenti modalità operative interne (i protocolli di contromisure
esplicite) istituite, più o meno appositamente in rapporto al D.Lgs.
n. 231/2001, per l'efficace prevenzione della suddetta commissione
potenziale di reati, comprensive delle misure in tema di informazione
permanente nei confronti dell' ODV interno
e di gestione delle risorse finanziarie.
La
polizia giudiziaria “dovrà verificare che i processi a rischio siano presidiati
da una adeguata
separazione dei compiti
impedendo che un'unica funzione possieda capacità decisionale autonoma in
ordine ai processi a rischio” [Circolare della Guardia di Finanza n.
83607/2012];
4-
approntamento, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lettera d), di un
adeguato sistema disciplinare -
sanzionatorio interno per le violazioni dei precetti contenuti nel modello,
volto a punire la mancata osservanza dei protocolli ivi previsti nonché delle
norme del codice (etico) interno, che esprime i principi di “deontologia
aziendale” che l'ente riconosce come suoi propri ed ai quali deve essere
informato il comportamento di tutti i suoi appartenenti.
La
predisposizione di un adeguato sistema sanzionatorio per la violazione delle
regole di condotta imposte ai fini della prevenzione dei reati presupposto di
cui al decreto in commento, e, in generale, delle procedure interne previste
dal modello
organizzativo stesso costituisce elemento essenziale per la sua
effettività.
L'attività
della
polizia giudiziaria “sarà sempre
rivolta ad accertare che
l'adozione
delle regole del modello e di quelle di condotta non si risolva in una mera
clausola di stile,
ma rifletta
un'attenzione costante dell'ente verso la verifica dei comportamenti dei suoi
componenti” [Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012]. La
giurisprudenza ha chiarito che la progettazione di un adeguato sistema
disciplinare non si può fondare su un richiamo a clausole di ordine generale
rispetto al rapporto tra violazione e sanzione, essendo necessaria, invece, una
specificazione del tipo di omissione o violazione rispetto alla sanzione che
troverà applicazione. Se l'organizzazione scopre una violazione è necessario
che sia condotta, nei modi dovuti, una vera e propria indagine interna,
possibilmente documentata in tutti i suoi passaggi e che sia in grado,
attraverso un'approfondita analisi delle cause, di suggerire ai vertici
dell'ente le azioni correttive da assumere allo scopo di evitare il ripetersi
di casi della specie.
La sua efficace attuazione
Il
sistema di controlli preventivi, cui si deve pervenire esaurita la
realizzazione delle fasi descritte nel precedente paragrafo, deve prevedere una
serie di protocolli (cioè, di regole interne) diretti a programmare la
formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in senso, ovviamente,
ostativo ai reati da prevenire, in modo da
garantire
che i rischi di commissione dei reati siano ridotti ad un livello accettabile.
Ad
esempio, secondo le indicazioni operative contenute nel
documento elaborato da Confindustria, le componenti (i protocolli)
di un sistema di controllo preventivo, che dovranno essere attuate a livello
aziendale per garantire l'efficacia del modello possono generalmente essere
individuate come segue:
1-
con riguardo ai reati presupposto dolosi:
-
1a sistema organizzativo
sufficientemente formalizzato e chiaro, con particolare riguardo
all'attribuzione di responsabilità, alle linee di dipendenza gerarchica ed alla
descrizione dei compiti, con specifica previsione di principi di controllo quali,
ad esempio, la contrapposizione di funzioni;
-
1b procedure manuali ed informatiche
(sistemi informativi) tali da regolamentare lo svolgimento delle attività,
prevedendo gli opportuni punti di controllo, come, ad esempio, la “separazione
di compiti” tra coloro che svolgono fasi (attività) cruciali di un processo a
rischio;
-
1c sistema di controllo di gestione
in grado di fornire tempestiva segnalazione dell'esistenza e dell'insorgere di
situazioni di criticità generale e/o particolare;
2-
con riguardo ai reati presupposto
colposi, oltre alle indicazioni di cui sopra:
-
2a struttura organizzativa con
compiti e responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro definiti
formalmente in coerenza con lo schema organizzativo e funzionale dell'azienda,
dando particolare attenzione alle figure operative, dirigenti, preposti,
lavoratori, ma anche rspp, medico competente, coordinatori
di cantiere, imprese appaltatrici, subappalti, imprese affidatarie, medico
competente ecc.;
-
2b formazione e addestramento, da
assicurare secondo fabbisogni rilevati periodicamente, finalizzati ad
assicurare che tutto il personale, ad ogni livello, sia consapevole
dell'importanza della conformità delle proprie azioni rispetto al modello
organizzativo e delle possibili conseguenze dovute a comportamenti che si
discostino dalle regole dettate dal modello;
-
2c coinvolgimento degli interessati,
da realizzare attraverso consultazioni preventive ovvero riunioni periodiche in
merito all'individuazione e valutazione dei rischi ed alla definizione delle
misure preventive;
-
2d sistema di monitoraggio della
sicurezza, attraverso cui verificare il mantenimento delle misure di
prevenzione e protezione dei rischi adottate e valutate idonee ed efficaci.
E'
nell'interesse dell'ente prevedere che il sistema di controllo documenti (anche
attraverso la redazione di verbali) l'effettuazione dei controlli, anche di
supervisione.
Affinché
possa dirsi “
efficacemente attuato” il modello 231 dovrà essere, altresì,
integrato con i protocolli che seguono,
i quali consentono di caratterizzarlo in termini di “idoneità” ed “efficacia”:
a-
costituzione effettiva (nomina,
investitura e assegnazione effettiva di poteri adeguati) di un apposito organismo
di vigilanza sul fenomeno complessivo in oggetto e redazione del
regolamento operativo del suo funzionamento, che costituiscono certamente uno
dei passi più visibili dell'intero processo attuativo dello “scudo” protettivo
di cui l'ente può beneficiare;
b-
la
previsione di un sistema di
aggiornamento continuo del modello: tra i compiti dell'ODV vi è quello di
valutare se il modello sia strutturato in maniera tale da poter mantenere nel
tempo i requisiti propri di solidità e funzionalità in nome dei quali è stato
costituito.
Nell'ipotesi
in cui dall'analisi condotta emerga la necessità di un adeguamento o correzione
del modello, il citato ODV dovrà:
-
b1 curarne l'aggiornamento, mediante
la predisposizione e la presentazione di apposite note di adeguamento agli
organi aziendali che si adoperano per la sua concreta attuazione nell'ambito
dell'organizzazione aziendale;
-
b2 assicurare il cosiddetto
follow-up, che si concretizza nella verifica costante dell'effettiva attuazione
ed efficacia delle soluzioni proposte;
-
b3 organizzazione di un piano di:
-
b3.1
formazione del personale aziendale (in particolare quello delle
aree a rischio), allo scopo di illustrare le ragioni di opportunità, a fianco a
quelle giuridiche, che ispirano le regole e la loro portata concreta; sulla
rilevanza della formazione e dell'informazione quali elementi caratterizzanti
un “idoneo” ed “efficace” modello organizzativo, G.I.P. presso il Tribunale di
Napoli, ordinanza in data 26.06.2007, e G.I.P. presso il Tribunale di Milano,
ordinanza in data 20.09.2004 [che ad un certo punto così recita: “In ordine
alla formazione - il cui compito è quello di assicurare una adeguata
conoscenza, comprensione ed applicazione del modello da parte dei dipendenti e
dei dirigenti - le <precisazioni finali> contenute nel modello VCM sono
assolutamente generiche: non si differenzia la formazione a seconda che la
stessa si rivolga ai dipendenti nella loro generalità, ai dipendenti che
operino in specifiche aree di rischio, all’organo di vigilanza ed ai preposti
al controllo interno; non si prevede il contenuto dei corsi, la loro frequenza,
l’obbligatorietà della partecipazione ai programmi di formazione; non si
prevedono controlli di frequenza e di qualità sul contenuto dei programmi di
formazione”].
-
b3.2
comunicazione interna sui contenuti del D.Lgs.
n. 231/2001 e del modello, ritenuto necessario ai fini di un buon
funzionamento dei
compliance programs,
in modo tale da non consentire ad alcuno di giustificare il reato-presupposto
adducendo l'ignoranza delle direttive aziendali o l'errore nelle loro
valutazioni. La comunicazione dovrà essere capillare, efficace ed autorevole,
ossia promanante da un livello adeguato, nonché chiara, dettagliata, e
periodicamente ripetuta.
Una
effettiva
e concreta formazione ed informazione
sono assolutamente centrali rispetto all'efficace attuazione del
modello organizzativo: infatti, il modello potrà esplicare concretamente la
propria funzione preventiva solo nel caso in cui ogni suo destinatario sappia
esattamente quale condotta tenere in presenza di una determinata situazione.
Conseguentemente, assumeranno specifica rilevanza sul punto le previsioni circa
il contenuto dei corsi, la loro frequenza, l'obbligatorietà della
partecipazione degli interessati ai programmi di formazione, nonché l'attività
di controllo sulla frequenza sulla qualità dei contenuti;
-
b4 predisposizione di un formale
codice etico di condotta (corpo
normativo interno) per tutti gli appartenenti alla persona giuridica, che pur
non costituendo un adempimento con conseguenze prestabilite, nel quadro del D.
Lgs. n. 231/2001 può ben riflettere una dimostrazione tangibile e molto
evidente (testimonianza positiva) della determinazione dell'ente in favore del
rispetto dei valori di legalità applicata, cui è ispirata la normativa in
oggetto.
La
polizia giudiziaria “verificherà che
il
codice etico sia supportato da misure organizzative tali da facilitarne
l'adozione ed il rispetto (adeguata divulgazione a soggetti interni ed esterni;
attribuzione ad un organo ad hoc del potere decisionale in caso di violazioni,
ecc.)” [Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012].
Una
definizione di codice etico di condotta è contenuta nelle Linee Guida elaborate
da Confindustria (che ne riportano anche i contenuti minimi), ove si legge che
trattasi di documento ufficiale dell'ente contenente “l’insieme dei diritti,
dei doveri e delle responsabilità dell’ente nei confronti dei portatori di
interesse (dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica Amministrazione, azionisti,
mercato finanziario, eccetera)”.
I
modelli organizzativi “devono, di fatto, essere “costruiti” in modo tale da
rivestire la funzione di improntare a trasparenza, correttezza, lealtà,
integrità e credibilità i rapporti tra la società ed i suoi “portatori di
interessi”, intesi internamente quali amministratori, soci, dipendenti e
collaboratori ed esternamente come Pubblica Amministrazione, clienti, cittadini
e, in generale, verso l'intero contesto civile ed economico nel quale l'ente
opera” [Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012].
L'attività investigativa
Le
attività investigative, condotte sfruttando i poteri della polizia giudiziaria,
“dovranno, pertanto, essere tra l'altro orientate ad appurare l'effettiva
rispondenza dei modelli di prevenzione ai parametri sopra indicati, tenendo
presente che un modello di prevenzione potrà ritenersi sostanzialmente adeguato
se lo stesso non può essere eluso, se non intenzionalmente (con raggiri)”
[Circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012].
Ciò
comporta che:
1-
non è possibile addurre la mera ignoranza delle direttive e delle procedure
aziendali;
2-
il semplice errore umano non può essere considerato una valida giustificazione;
3-
la possibilità di frodi deve, comunque, trovare un serio argine nel modello di
prevenzione.
Va
sottolineato, come avviene in ogni giudizio penale sull'idoneità di un atto,
che “la valutazione del giudice dovrà fondarsi su un giudizio
ex ante (la cosiddetta prognosi postuma)
che prescinde dal risultato concreto della mancata prevenzione del reato, ma
che dovrà tener conto delle risultanze dell'attività investigativa in punto di
verifica dei requisiti di idoneità ed efficace attuazione del modello
organizzativo, come più sopra delineati” [Circolare della Guardia di Finanza n.
83607/2012].
Rolando Dubini, avvocato in
Milano
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