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"Imparare dagli errori: gli incidenti con l’acido solfidrico"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
03/04/2014 - “Imparare dagli errori” continua il suo viaggio sul rischio chimico e sulle sostanze inquinanti nei luoghi di lavoro confinati
con
l’obiettivo di migliorare la consapevolezza, tra i lavoratori, dei
pericoli correlati al contatto con alcuni agenti chimici pericolosi.
E nel viaggio ci affidiamo ad un documento - correlato ad una
campagna di prevenzione del rischio chimico negli ambienti confinati
promossa dall’ ULSS 5 dell’Ovest vicentino - dal titolo “
La
valutazione e la prevenzione del rischio chimico negli ambienti
confinati: un caso storico di rischio chimico per la sicurezza”
a cura di Lucio Ros (SPISAL ULSS 9), Alberto Brocco (SPISAL ULSS 21),
Celestino Piz (SPISAL ULSS 6) e Franco Zanin (SPISAL ULSS 6).
Nelle precedenti puntate della rubrica abbiamo presentato i problemi dell’impiego dell’azoto e i pericoli dell’esposizione ad anidride carbonica e monossido di carbonio, mentre oggi ci soffermiamo su un’altra sostanza a cui sono collegati diversi incidenti con esiti mortali: l’
acido solfidrico.
Gli incidenti
Il documento riporta una breve casistica
esemplificativa di incidenti relativi all’
acido
solfidrico:
- nel
primo caso “durante le operazioni di
bonifica di un’autocisterna un operaio rimane vittima delle
esalazioni di idrogeno
solforato. In sequenza 4 colleghi vengono coinvolti durante i tentativi di
soccorso. L’autocisterna era adibita al trasporto di zolfo; l’idrogeno
solforato era un sottoprodotto del processo industriale di produzione dello
zolfo”;
- nel
secondo caso “in una
conceria,
a seguito di un travaso errato di solfato basico di cromo in soluzione nella
cisterna dei solfuri, si sviluppa una nube di acido
solfidrico che si accumula nello spogliatoio all’ora di uscita provocando
la morte di alcuni lavoratori”.
Ad alcuni incidenti fa
riferimento anche il “ Manuale
illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi
dell’art. 3 comma 3 del dpr 177/2011”, incidenti riproposti nell’allegato 6
“
Sostanze tossiche e asfissianti e
incidenti tipo”.
Ad esempio si fa riferimento ad
un
intervento in un depuratore comunale.
L’acqua a pressione per liberare
il pozzetto crea un movimento dei fanghi che sprigiona grandi quantità di H2S.
Muoiono 6 operatori (di cui 4 soccorritori).
Un caso è relativo a un
intervento in una raffineria di petrolio.
Gli operai vengono investiti da
un getto di H2S: 1 morto e due feriti.
L’ultimo caso è relativo alla
manutenzione dell’impianto di
desolforazione.
Durante l’attività 3 lavoratori
(2 soccorritori) muoiono per la presenza di H2S.
La sostanza
L’
acido solfidrico (H2S), chiamato anche idrogeno
solforato o solfuro di idrogeno, è un gas incolore più pesante nell’aria “dal
caratteristico odore di uova marce, estremamente infiammabile”. In realtà –
come riportato nel documento “La valutazione e la prevenzione del rischio
chimico negli ambienti confinati: un caso storico di rischio chimico per la
sicurezza” – “la sensazione olfattiva non aumenta con la concentrazione del gas
nell’aria; può accadere che l’odore, percepibile a bassissime concentrazioni
(0,0081 ppm), si attenui o sparisca alle alte concentrazioni per esaurimento
funzionale dei recettori”.
Il gas è ad esempio utilizzato
“nel ciclo produttivo in metallurgia per eliminare impurità. Si produce anche
per reazione tra solfuri e acidi, da reazioni anaerobiche, in attività di
depurazione, bonifiche industriali, produzione biogas e agricoltura”. E ci sono
casi di infortuni mortali causati dall’esposizione indebita ad acido solfidrico
in operazioni di pulizia.
Nell’allegato 6 del “ Manuale
illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi
dell’art. 3 comma 3 del dpr 177/2011” si sottolineano alcuni
effetti del gas: “vertigine, mal di
testa, tosse, mal di gola, nausea, difficoltà respiratoria, stato
d’incoscienza, morte”.
La prevenzione
In merito alla prevenzione
torniamo al documento “
La valutazione e
la prevenzione del rischio chimico negli ambienti confinati: un caso storico di
rischio chimico per la sicurezza”.
Il documento ricorda che la
presenza in questi ambienti di gas o di altre sostanze pericolose “impone al
datore di lavoro di
valutare il rischio
di incidenti/infortuni determinati da agenti chimici, quali asfissia,
intossicazione acuta, investimento di sostanze ustionanti, corrosive, incendio,
esplosione (art. 223 del D.Lgs. 81/08)”. Rischio che “trova un concorso rilevante
nel volume ridotto, nella scarsa ventilazione e nella calma d’aria presente in
un ambiente
confinato”: “l'immissione in questo spazio anche di piccole quantità di
sostanza può comportare il raggiungimento rapido di concentrazioni elevate e di
rischio con effetti acuti”.
Il primo passo nella valutazione è
“individuare l’agente – o gli agenti chimici – la cui presenza possa essere
ipotizzata e le sue proprietà chimico-fisiche, ai fini della necessità di
monitorare l’atmosfera presente prima di accedere nell’ambiente confinato, di
ventilarlo e/o di individuare i DPI necessari al personale.
Sarà quindi importante redigere
anche un elenco dei materiali che è necessario introdurre nell’ambiente per
l’attività oggetto della valutazione e delle altre sostanze che possono essere
state presenti, o esserlo ancora, volontariamente o accidentalmente”.
Con l’aiuto delle Schede
dei Dati di Sicurezza “è abbastanza agevole individuare i possibili agenti
inquinanti quando vengono utilizzati per esigenze produttive o che si formano
dai prodotti (vernici, solventi, resine, acidi, basi, estinguenti, ecc.) o dai
processi (saldatura, combustioni, criogenesi, inertizzazione, ecc.) utilizzati
per l’attività da svolgere e quindi adottare le attenzioni e le misure di prevenzione
e protezione necessarie”.
Invece più complessa “è
l’individuazione degli agenti chimici pericolosi generati da reazioni
indesiderate (es. acidi + ipocloriti) o da reazioni spontanee (fermentazione)
magari in spazi diversi ma collegati con quello confinato, o dal rilascio di
gas dal terreno stesso”.
Una volta formulata correttamente
l'ipotesi di rischio “il processo valutativo si risolve nella
verifica dell'adozione completa delle
misure per evitare la formazione o la permanenza di atmosfere pericolose e
nella
predisposizione delle misure di
emergenza. Questa verifica può essere fatta tramite check-list calibrata
sul particolare ambiente in esame e sulle proprietà dei gas di cui è ipotizzata
la presenza (es.: accumulo verso il basso o l'alto)”.
Link relativo allo spazio web dell’ULSS 5 con i materiali per la prevenzione negli
ambienti confinati.
Tiziano Menduto
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