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"Le responsabilità del datore di lavoro per infortuni e malattie"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
18/04/2014 - Spesso le parti sociali sono una fonte molto ricca di
elaborazione di documenti non solo in materia di prescrizioni per la
prevenzione, ma anche di principi e esperienze giurisprudenziali
relativi alla tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.
Riportiamo dunque un documento pubblicato sul sito della Unione Italiana Lavoratori Turismo Commercio e Servizi ( UILTuCS)
dell’Abruzzo che affronta il tema della responsabilità del datore di
lavoro per infortuni sul lavoro e malattie professionali soffermandosi
non solo sulla normativa e sulla responsabilità (civile, penale e
amministrativa), ma anche sulla possibilità di costituzione di parte
civile nei confronti del datore di lavoro.
Responsabilità
del datore di lavoro per infortuni sul lavoro e malattie professionali
Parte Prima
1.
Premesse
storico giuridiche – normativa nazionale e comunitaria
Che il lavoratore dovesse essere assistito è principio
antico e costituisce un sentimento fondamentale del vivere in un contesto
sociale. Già infatti durante la rivoluzione francese si affermava che la
società è tenuta a provvedere alla sussistenza di tutti i suoi membri.
A queste premesse, per altro verso, corrisponde il
principio, anch’esso risalente al diciannovesimo secolo e tuttora valido, per
cui chi si giova del lavoro di un soggetto, deve anche assumersi i correlativi
doveri ed obblighi intesi a garantire la suddetta assistenza e sicurezza in
caso di infortuni o malattie
professionali.
Il soggetto che deve garantire il lavoratore è, quindi,
il suo datore di lavoro, sia esso individuo o persona giuridica.
La responsabilità
del datore di lavoro nasce dalla necessità di attuare i suddetti principi
riconosciuti dalla nostra Costituzione vedi: art. 32 (tutela della salute nei
luoghi di lavoro), art. 35 (tutela del lavoro), art.38 (tutela del lavoratore
in caso di infortunio, malattia), art. 41 (l’iniziativa economica privata non
può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza alla libertà, alla
dignità umana), nonché ribaditi dalle norme dell’ordinamento dello Stato
Italiano.
Nell’ambito del nostro ordinamento già la lontana legge
n. 80 del 17 marzo 1898 costituisce la prima normativa nella materia prevedendo
una assicurazione obbligatoria a carico del datore di lavoro contro gli
infortuni per le industrie più pericolose; il primo Testo Unico di legge per
gli infortuni degli operai sul lavoro viene successivamente emesso con R.D. n.
51 del 31.1.1904; la legge n. 1765 del 17.8.1935 riconfermava ancora la tutela
del lavoratore ed i conseguenti obblighi del datore di lavoro, ed infine, il TU
1124 del 1965 , il D.Lgs. n. 38 del 2000 costituiscono l’attuale normativa speciale
di riferimento.
A parte, ma considerata norma fondamentale, deve essere
citata la disposizione di cui all’articolo 2087 del Codice Civile della quale
si dirà ed alla quale va affiancata la norma di cui all’art.2049 del medesimo
Codice Civile.
In sede penale dobbiamo, inoltre tenere presenti altre
disposizioni che prevedono, parimenti, la responsabilità del datore di lavoro
per particolari fattispecie criminose (art. 437 c.p. art. 451 c.p.) per non
parlare di tutti i reati contravvenzionali per omissione di misure di sicurezza
previsti dal D.Lgs. 626/94 e successivamente dal citato D.lgs n. 81/2008.
Sono citazioni in sintesi di norme che poi in prosieguo
vedremo più in particolare valutando come la normativa abbia via via previsto i
modi e le condizioni per il sorgere di una responsabilità del datore di lavoro
nei casi di cui si discute.
Altrettanti riconoscimenti del diritto alla salute e
sicurezza del lavoratore con conseguenti obblighi per chi ne è datore di
lavoro, sono chiaramente previsti dal
diritto
comunitario.
Già il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 all’art.118
prevedeva la protezione del soggetto contro gli infortuni sul lavoro.
Nel diritto comunitario , ricordiamo il Regolamento CEE
14 giugno 1971 n. 1408 che afferma il diritto di rivalsa degli Enti
assicuratori nei confronti del responsabile dell’infortunio, ma, in
particolare, va ricordata la Direttiva 39/391 art.5 che riconosce l’obbligo del
datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti
gli aspetti connessi con il lavoro. Le Direttive devono, comunque essere
recepite dallo Stato Membro con apposita legge, peraltro, ricordiamo che la
stessa Costituzione, all’articolo 10 impone di uniformarsi alle norme del
diritto internazionale.
La responsabilità del datore
di lavoro per inosservanza dei suddetti principi è, dunque, riconosciuta
anche in sede di diritto comunitario, con la conseguenza che una eventuale
normativa interna di uno Stato membro non potrebbe escludere tale
responsabilità in quanto contraria a norme comunitarie prevalenti sulla
normativa nazionale.
Si aggiunga che la Costituzione Europea medesima ha
ribadito il diritto a condizioni di lavoro sane e sicure (art. II -91), il
diritto ad un livello elevato di protezione della salute umana (art. II-95)
2.
I tipi di
responsabilità
Dopo tali premesse, passiamo ad osservare da vicino
quale e quando vi sia responsabilità del datore di lavoro per i casi di
infortuni o malattie professionali.
La responsabilità
del datore di lavoro, ovviamente, sorge quando questi non ha osservato gli
obblighi a lui imposti per la tutela del lavoratore.
In sintesi, al datore di lavoro possono essere
riconosciute tre tipi di responsabilità:
- responsabilità civile
- responsabilità penale
- responsabilità amministrativa
a)
Responsabilità
civile
Come accennato in precedenza, norma basilare per il
riconoscimento della responsabilità è l’
articolo
2087 del Codice civile che impone al datore di lavoro di adottare le misure
atte a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro.
Sul contenuto di detta norma si è molto parlato e molto
discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza. Si è detto che in tale
disposizione trovano giustificazione ed origine le successive speciali norme
che prevedono misure di sicurezza sul luogo di lavoro, che da tale norma trae
anche origine la responsabilità penale del datore di lavoro in base all’art. 40
codice Penale per non aver impedito l’evento; si è, inoltre, detto che in base
ai principi in tale norma enunciati, è giustificata l’azione di regresso
dell’ente assicuratore nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Basti
ora dire che la norma appare, per così dire, a contenuto aperto. Infatti, la
citata disposizione del Codice Civile si riporta solo in via generica ad alcuni
parametri quali la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per
imporre, poi, al datore di lavoro le misure di sicurezza da adottare.
Ne consegue che vi è ampio margine per riconoscere la
responsabilità del datore di lavoro, posto che questi si deve sempre adeguare
alla evoluzione della tecnica e della esperienza per ritenersi in regola con le
misure di sicurezza adottate.
Altra disposizione del codice civile da esaminare è
quella di cui all’
articolo 2049 c.c.
In base a tale norma il datore di lavoro è responsabile
anche quando l’omissione delle misure di sicurezza sia stata direttamente
effettuata da altra persona da lui incaricata nell’ambito delle mansioni a lui
conferite. In altri termini, il datore di lavoro risponde dei danni causati da
violazione di misure di sicurezza compiuti dai suoi preposti o sorveglianti.
Sulla natura di tale responsabilità si è ugualmente
discusso, ma è prevalente la tesi che trattasi di responsabilità oggettiva come
è stato anche recentemente ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 6
marzo 2008 n. 6033; Cass. 12 marzo 2008 n. 6632) che ha affermato la
configurabilità della responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. allorché tra
l’evento illecito e le mansioni affidate sussista un RAPPORTO DI OCCASIONALITA’
NECESSARIA.
È quest’ultimo uno dei pochi casi di responsabilità che
la legge prevede senza indagare sul comportamento del soggetto, responsabilità
che nasce sol che il preposto abbia commesso l’illecito nello svolgimento delle
incombenze a lui attribuite dal datore di lavoro.
Da tanto detto, si può notare l’importanza che il
legislatore attribuisce alla tutela del lavoratore.
Il principio della
responsabilità
oggettiva del datore di lavoro viene anche ripreso dalle norme speciali
contro gli infortuni e le malattie professionali di cui al TU 1965/1124 che la
prevede all’art. 10 come presupposto della azione di regresso dell’INAIL.
Ciò posto, il riconoscimento di responsabilità civile
del datore di lavoro comporta l’obbligo di risarcire i danni causati al
lavoratore a seguito del fatto lesivo verificatosi.
Vedremo successivamente quanto in definitiva viene
risarcito direttamente dal DL e quanto invece indennizzato dall’Ente
assicuratore.
In sostanza, il lavoratore deve, per legge, essere
interamente indennizzato dei danni subiti a causa del lavoro, e se vi è colpa
del DL deve essere da lui risarcito direttamente (vedi danno differenziale) o
tramite l’ente assicuratore pubblico INAIL.
Un commento a parte. merita l’
assicurazione obbligatoria Inail ed i suoi riflessi sulla
responsabilità civile del DL.
Dice l’art. 10 del TU 1965 n. 1124 che la”responsabilità
civile del DL per gli infortuni sul lavoro è esonerata, cioè esclusa, dalla
assicurazione obbligatoria prevista dal citato TU, ovvero dalla assicurazione
INAIL. Ne consegue che il Datore
di lavoro non risponde dei fatti che hanno determinato l’infortunio, purché
non si tratti di aver commesso reato per il quale il DL ha riportato condanna
penale. In altri termini, la responsabilità civile del DL permane, nonostante
la suddetta assicurazione, quando abbia avuto condanna penale per il fatto dal
quale è derivato l’infortunio.
Permane la responsabilità civile del DL, nonostante l’assicurazione
INAIL, anche quando vi sia sentenza penale a carico del preposto alla direzione
o sorveglianza del lavoro ritenuto direttamente colpevole dell’infortunio.
È questo il caso di responsabilità oggettiva del Dl ex art.
2049 c.c. di cui si è detto.
b)
Responsabilità
penale
A questo punto occorre parlare della già menzionata
responsabilità penale del DL.
Le norme che impongono l’osservanza di misure di
sicurezza nello svolgimento del lavoro, sono norme di rilevanza penale la cui
inosservanza comporta commissione di reato, passibile di sanzione.
Le norme di tale natura sono innanzi tutto quelle
previste dal Codice Penale (
art. 437 cp)
che stabilisce la responsabilità di chiunque omette di collocare impianti, apparecchi
o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro ovvero li
rimuove o li danneggia è punito con la reclusione… con l’aggravante specifica
se dal fatto deriva un disastro o un infortunio.
Questo è un reato che ha una ampia formulazione e perciò
possiamo ritenere ricompreso nelle norme speciali di sicurezza emanate
successivamente. Con qualche importante differenza. L’art. 437 cp tuttora in
vigore non si rivolge solo al DL , ma a chiunque compia quei fatti illeciti, e
quindi anche ad estranei alla organizzazione del lavoro.
Inoltre l’art. 437 cp prevede come sanzione la
reclusione. Dal che si deduce che il reato è classificabile come “delitto” e
non semplicemente “contravvenzione” e come tale, deve essere provato il dolo o
la colpa del soggetto.
In sostanza il suddetto reato, seppure consiste in una
omissione, si differenzia dalle contravvenzioni dove la colpa non deve essere
specificamente provata ma è insita nella omissione stessa.
Altro reato previsto dal Codice Penale di cui può essere
imputato il DL è quello previsto dall’
art.
451 cp.
Anche questo reato è un delitto determinato da omissione,
delitto che interessa sia il DL sia altri che lo abbiano compiuto. Anche per
tale reato occorre provare la colpa (omissione o rimozione di apparecchi
destinati alla estinzione di un incendio al salvataggio al soccorso contro disastri
o infortuni sul lavoro).
Più specifiche le norme previste dal D.Lgs. 626/1994 che
innanzi tutto si rivolgono direttamente al DL e che impongono determinati
comportamenti la cui inosservanza determina responsabilità penale del DL
medesimo.
Il successivo
D.Lgs.
n. 81 del 2008 ha ripreso ed ampliato le norme di sicurezza già previste
nelle vecchie leggi di cui in particolare le norme di sicurezza previste dal
D.P.R. 27 aprile 1955 n.547 ed ha reso ancor più incisivi gli obblighi del DL
di quanto non fossero già indicati nel D.Lgs. 626/1994 che non aveva avuto, in
effetti, piena osservanza .
Infortuni eclatanti, (vedi quello presso
la Thyssen Group) e malattie professionali altrettanto dilaganti in
conseguenza soprattutto dell’uso di amianto, hanno portato il legislatore ad
inasprire le sanzioni per i DL inadempienti .
Si tratta, dunque di norme di rilevanza penale la cui
inosservanza da parte del DL o dei suoi preposti, comporta la esclusione
dell’esonero previsto dalla assicurazione INAIL e sanzioni penali. Si tratta,
peraltro, di responsabilità penale per reati contravvenzionali per i quali è
previsto l’arresto o l’ammenda. Ciò vuol dire che per le omissioni commesse dal
DL la colpa è insita nella omissione stessa senza doverla provare
specificatamente.
c)
Responsabilità
amministrativa
Responsabilità
della società datrice di lavoro.
Il Decreto legislativo 8 giugno
2001 n. 231 ha riconosciuto la responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, siano esse società o associazioni anche prive di personalità
giuridica. In effetti, questa responsabilità viene rilevata in sede penale, e
si aggiunge a quella della persona fisica che materialmente ha realizzato
l’illecito. Per la prima volta nel nostro ordinamento, viene rilevata in sede
penale la responsabilità
degli enti .
Poiché, comunque, è principio fondamentale che la
responsabilità penale è personale, si è continuato ad affermare che, seppure
rilevabile in sede penale, trattasi di responsabilità per così dire
amministrativa. In sostanza, l’ampliamento della responsabilità degli Enti
tende a coinvolgere nella punizione di alcuni illeciti penali il patrimonio
degli enti stessi e, quindi, tende a coinvolgere gli interessi economici dei
soci i quali, prima di tale normativa, non subivano nessuna conseguenza dall’accertamento
di reati commessi dagli amministratori o dipendenti, con conseguente vantaggio
della società.
Si tratta di una grande innovazione normativa in quanto
ora l’ente o la società datrice di lavoro ed i soci, non possono considerarsi
estranei al procedimento penale per i reati commessi violando norme di
sicurezza a vantaggio o nell’interesse dell’ente.
I reati presi in considerazione sono l’omicidio colposo
o le lesioni gravi e gravissime commesse con violazione degli obblighi non
delegabili del datore di lavoro.
(...)
3.
Copertura
assicurativa Inail
Dopo aver indicato quale sia la responsabilità del
datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,
occorre brevemente accennare alla copertura assicurativa che l’INAIL, ente di
assicurazione pubblica, dà al datore di lavoro in caso di evento lesivo occorso
ad un suo dipendente che possa classificarsi infortunio sul lavoro o malattia
professionale.
La normativa di riferimento è il
TU n.1124 del 1965 e successive norme integrative come in
particolare il D.Lgs. n. 38 del 2000.
Secondo la citata normativa, dicesi infortunio sul
lavoro quello avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro da cui sia
derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro assoluta o parziale o
una inabilità assoluta temporanea.
Dicesi malattia
professionale quelle indicate nella tabella le quali che siano contratte
nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella e quelle
non indicate in tabella e non causate da una lavorazione specificata in tabella
purchè comunque sia provata la causa di lavoro. Tale ultima definizione è il
risultato degli interventi della Corte Costituzionale per cui la copertura
sussiste anche se le malattie non siano previste nella tabella , ma si dia la
prova della causa di lavoro.
Detto ciò, l’assicurazione che copre tali eventi lesivi
esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile, permane, invece, se vi
sia stata condanna penale del datore di lavoro o dei suoi preposti di cui
risponde ex art. 2049 c.c.
All’infortunato beneficiario della assicurazione l’Ente
corrisponde l’indennizzo al posto del datore di lavoro. Ovviamente, se
l’indennizzo dell’Inail non copre l’intero risarcimento civilmente dovuto
all’infortunato, il datore di lavoro risultato penalmente responsabile deve
risarcire al proprio dipendente quella parte di danno non coperta dalla
assicurazione (danno differenziale). In sostanza, se non vi è responsabilità
penale del datore di lavoro, l’assicurazione Inail indennizza direttamente
l’infortunato e come detto, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità
civile derivante dal fatto lesivo subito dal lavoratore.
Parte seconda
1.
Costituzione
di parte civile nei confronti del datore di lavoro
Come è noto le persone danneggiate dal reato possono
costituirsi parte civile nel procedimento penale instaurato contro il
responsabile dell’illecito penale che viene a lui imputato.
Detto questo in via generale ne consegue, per quanto
riguarda l’argomento di cui stiamo parlando, che contro il datore di lavoro
imputato di reato di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime per
omissione di misure di sicurezza sul lavoro, la parte lesa può costituirsi
parte civile. Quando parliamo di parte danneggiata ci riferiamo, innanzitutto,
sia allo stesso infortunato, sia ai congiunti dello stesso.
Per molto tempo, si è anche parlato di costituzione di
parte civile dell’Inail quale ente assicuratore dell’infortunato. Vi è chi
sosteneva la impossibilità di costituzione dell’ente non essendo esso
direttamente danneggiato. A questo proposito occorre far cenno al perché l’Inail
potrebbe partecipare al processo penale e costituirsi parte civile.
L’interesse potrebbe ritenersi derivante dal diritto di
regresso riconosciuto all’Inail nei confronti del datore di lavoro penalmente
responsabile per ottenere il rimborso delle prestazioni erogate all’infortunato.
In ogni caso, si è subito sentita l’esigenza di un intervento dell’Inail nei
procedimenti penali per infortuni e malattie professionali in quanto ritenuto
utile ad incentivare le aziende alla prevenzione e si sono formulate varie
ipotesi per giustificare tale intervento.
Si è sostenuto che l’Inail può ritenersi quanto meno
ente rappresentativo di interessi lesi dal reato e quindi, come tale,
intervenire. Il bene leso sarebbe quello della
integrità fisica del lavoratore cui l’Inail per legge è preposto
alla tutela, infatti l’ente svolge una funzione anche di prevenzione; di
conseguenza ad esso si dovrebbe riconoscere la legittimazione all’intervento
ad adiuvandum della pubblica accusa,
collaborando nell’istruttoria.
La tesi appare interessante, ma va detto che i giudici
non la seguirono e la Corte di cassazione con una sentenza del 24 novembre 1997
affermava che l’assicuratore non è legittimato neppure alla costituzione di
parte civile in quanto non può essere considerato né offeso né danneggiato dal
reato; altra sentenza della Cassazione è quella del 15 dicembre 2000 n. 2952
che parimenti escludeva l’ammissibilità della costituzione di parte civile
dell’Inail.
Peraltro, va ricordato che i giudici di merito alcune
volte furono di diverso avviso rispetto alla Cassazione, ammettendo la
costituzione di parte civile dell’Inail. Ricordiamo il Tribunale di Ravenna
investito a seguito di un terribile plurimo incidente di lavoro che ammise
l’Inail il 28 marzo 1990, il Tribunale di Siracusa nel 1999, il Tribunale di
Ascoli Piceno nel 2002.
Tutte le questioni sono state eliminate allorché è stata
emanata la
legge n. 123 del 2007.
Infatti, l’articolo 2 della citata legge impone al
Pubblico Ministero di informare l’Inail quando eserciti l’azione penale per
omicidio colposo o lesioni gravi commesse con violazione di norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini della eventuale costituzione di
parte civile.
Dunque l’Inail è riconosciuto dal legislatore
legittimato ad essere parte civile nel processo penale, sarà poi l’ente a
decidere se costituirsi o meno.
Il diritto è stato ribadito all’articolo 61 del
successivo D.lgs. n.81 del 2008.
In conclusione l’Inail è ora legittimato a costituirsi
parte civile nel procedimento penale contro il datore di lavoro imputato di omicidio
colposo o lesioni personali gravi e gravissime per chiedere il rimborso
delle prestazioni erogate all’infortunato in virtù del diritto di regresso
riconosciuto dall’art. 10 del TU 1124 del 1965 nei confronti del datore di
lavoro penalmente responsabile.
A questo proposito ricordiamo una sentenza della
Cassazione Penale del 9 ottobre 2008 che prende atto di quanto statuito per
legge .
Si conclude, quindi, il cerchio delle responsabilità in
caso di infortuni sul lavoro riconosciute in capo al datore di lavoro
dell’infortunato.
(...)
Fonte: UILTuCS Abruzzo
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