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"La responsabilità del datore e i ritmi di lavoro del lavoratore"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
19/05/2014 -
Commento
La circostanza che un datore di lavoro non sia quasi mai presente
sul luogo di lavoro non vale ad escludere la sua responsabilità nel caso
di un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente a causa del
sovraccarico dell’attività lavorativa e dei ritmi di lavoro al
quale lo stesso è stato sottoposto. E’ questa la conclusione alla quale
è pervenuta la Corte di Cassazione in questa sentenza nell’esaminare il
caso del
manovratore di un convoglio che si è
infortunato durante la sua attività per motivi ritenuti legati alle
eccessive ore di lavoro svolte. Il datore di lavoro ha sostenuto infatti
la suprema Corte, pur se non presente, è tenuto a conoscere l’ organizzazione del lavoro della propria azienda nonché i turni di lavoro svolti dai propri dipendenti.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il legale rappresentante di una
società e il direttore di uno stabilimento della società stessa sono stati
tratti a giudizio avanti il Tribunale per rispondere del reato previsto dagli
artt. 113 e 590 cod. pen. per aver creato, nelle rispettive qualità, un
antecedente causale all'infortunio di un lavoratore dipendente impiegato nella
movimentazione di un convoglio composto da 30 carri merci proveniente dallo
stabilimento e diretto allo scalo. L’infortunio era accaduto in quanto il
lavoratore, scivolando dal predellino, è finito nei binari sbattendo la testa e
procurandosi una lesione personale consistita nella frattura della seconda
vertebra cervicale e nella lussazione della quarta vertebra cervicale con
postumi invalidanti nella misura del 18%. Agli imputati era stato contestato di
avere violato le norme poste a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro
consentendo che il lavoratore svolgesse la propria attività di manovratore pur
essendo privo del prescritto patentino e inoltre lavorasse in
condizioni di estremo sovraccarico
venendo impiegato in attività lavorativa sino a 300 ore mensili (rispetto alle
168 ore mensili previste) e per 14 ore nella giornata precedente l'infortunio,
in violazione del D.
Lgs. 8/4/2003 n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE
concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro).
La Corte di Appello ha successivamente
riconosciuta la responsabilità penale di entrambi gli imputati e ha confermata
la sentenza di primo grado e, in accoglimento della richiesta fatta dal
procuratore generale distrettuale, ha aumentata la pena inflitta al
responsabile legale della società revocando nei suoi confronti la sostituzione
della pena detentiva con quella pecuniaria.
Il ricorso alla Corte di Cassazione
Avverso la sentenza della Corte di
Appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati contestando
il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui essi dovevano
ritenersi perfettamente consapevoli della situazione di rischio in cui versava
il lavoratore. Il legale rappresentante ha messo in evidenza di avere ottemperato
regolarmente a quanto previsto dall' art.
2087 c.c. ed alle prescrizioni in materia di sicurezza e prevenzione e di
non essere presente nell'unità produttiva locale in quanto la stessa era
autonomamente gestita. Il direttore di quest’ultima, dal canto suo, ha fatto
presente anche lui di non essere sempre presente presso lo stabilimento e che
soprattutto non lo era il giorno del sinistro. Entrambi hanno lamentato,
altresì, che nella sentenza di condanna non era stato indicato come essi
avrebbero potuto impedire che il lavoratore manovrasse e che non erano state
altresì tenute in considerazione le dichiarazioni dell’infortunato che ha
affermato di essere
scivolato nonché di avere sempre avuto a disposizione i presidi
antinfortunistici e di non aver mai parlato di stanchezza.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato
ritenuto infondato dalla Corte di
Cassazione. Secondo la stessa la Corte di Appello nella sua sentenza aveva
adeguatamente evidenziato il rilevante eccesso di ore lavorate e l'assenza di
giorni di riposo nonché l’elevato numero di ore di lavoro svolte nel giorno
precedente quello dell'infortunio. La circostanza che il legale rappresentante
della società, ha sostenuto la suprema Corte, non era quasi mai presente nell'unità
locale e si limitava a compiti meramente amministrativi “
non vale ad escluderne la responsabilità, discendendo essa dalla sua
qualifica di datore di lavoro come tale certamente tenuto a conoscere e
governare l'organizzazione del lavoro e dei turni dei dipendenti, tanto più
considerando che la predetta era perfettamente a conoscenza del dato di causa
più rilevante, e cioè del numero esorbitante di ore lavorate dai dipendenti, se
non anche delle loro specifiche funzioni, posto che i dati le erano direttamente
comunicati dall'impiegata amministrativa e che sulla base di tali dati erano
anche predisposti i pagamenti dei lavoratori”.
Altrettanto è da affermarsi, secondo
la suprema Corte, per quanto riguarda la posizione del direttore dello
stabilimento atteso che era proprio lui che impartiva materialmente le
istruzioni ai dipendenti e che aveva incaricato la persona offesa di svolgere
quei compiti di manovratore per i quali non era abilitato. “
A maggior ragione, dunque, non giova
all'imputato”, ha così concluso la Sez. IV, “
la presunta, sua, saltuaria presenza in azienda
non essendo pensabile che una decisione strategica, quale quella di far
lavorare i dipendenti un numero esorbitante di ore e di non concedere riposi
non fosse riconducibile alla società, al datore di lavoro e al di lei padre e
direttore di stabilimento”.
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