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"Applicazione delle norme di prevenzione ai terzi esposti al rischio"

fonte www.puntosicuro.it / Sentenze

17/11/2014 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
 
È un principio abbastanza consolidato quello che emerge da questa sentenza della Corte di Cassazione alla quale è stato sottoposto il caso di un lavoratore che si è infortunato in una azienda pur non essendo dipendente dell’azienda medesima mentre utilizzava una macchina non rispondente alle disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro. Anche i  soggetti terzi, ha sostenuto la Corte suprema, devono ritenersi destinatari delle norme di sicurezza se sono esposti a pericoli derivanti dall’attività lavorativa svolta in una azienda in quanto sussiste il cosiddetto “ rischio aziendale”  connesso all’ambiente.

  Il caso e il ricorso in Cassazione.
 
La Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale nei confronti del datore di lavoro di una azienda agricola, sentenza appellata dall'imputato, ha sostituita la pena della detenzione allo stesso inflitta in quella di euro 418 disponendo la revoca della sospensione condizionale della pena. L’imputato era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di lesioni colpose gravissime, aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di un dipendente dell’azienda medesima. Questi, mentre all’interno dell'azienda agricola stava lavorando alla macchina "pompa per mosti", spingendo con le mani l'uva dallo scivolo di metallo verso la tramoggia della pompa, veniva afferrato dall'organo lavoratore della pompa (coclea) al braccio destro, riportando gravi lesioni consistite in una frattura all'avambraccio destro con ampia ferita lacero contusa, con conseguente amputazione dello stesso avambraccio. La macchina all'atto dell'infortunio era risultata priva della griglia di protezione e, al fine di permetterne il funzionamento in assenza di tale dispositivo di sicurezza, erano risultate inserite due chiavi supplementari (non solidali ad alcuna parte della macchina) atte ad escludere i dispositivi elettrici di sicurezza della macchina.
 Dagli atti era emerso che la macchina "pompa per mosti" era stata installata nel piazzale dell’azienda agricola da due dipendenti della stessa sin dalla mattina per le operazioni di vendemmia e che il lavoratore infortunato, giunto in azienda intorno alle ore 16.00, aveva chiesto se vi fosse bisogno di aiuto per la vendemmia iniziando subito dopo ad operare alla pompa e spingendo con le mani l'uva dallo scivolo di metallo verso la tramoggia.
 Il giudice di primo grado, disattese le prospettazioni difensive relative alla mancata qualifica di "lavoratore" dell’infortunato ed alla delega di funzioni organizzative che il datore di lavoro ha sostenuto di avere assegnata al preposto, dichiarava quest’ultimo colpevole del reato ascrittogli. La Corte territoriale ha successivamente confermato il giudizio di responsabilità già espresso dal Tribunale.
Avverso la decisione della Corte di Appello il datore di lavoro ha proposto ricorso a mezzo del proprio difensore deducendo la violazione di legge in relazione al principio di effettività (D. Lgs. n. 242 del 1996, art. 2, e D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 299) e la manifesta illogicità della motivazione.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione.
 
 Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione infondato e quindi rigettato. La suprema Corte in merito alla tesi difensiva secondo la quale l’infortunato era stato assunto da soggetti diversi da lui e nella sua totale inconsapevolezza, ha fatto osservare sul punto che la Corte territoriale, poiché nessuno dei lavoratori presenti era risultato titolare di delega all'assunzione anche temporanea di lavoratori e tanto meno di autonomia di spesa al fine di erogare il dovuto corrispettivo, aveva ritenuto che l’imputato non solo fosse a conoscenza della presenza del lavoratore ma che avesse necessariamente autorizzato lo svolgimento della sua attività lavorativa.  La Corte di Cassazione ha altresì osservato che “ secondo un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, anche i terzi, quando si trovano esposti ai rischi di un'attività lavorativa, devono ritenersi destinatari delle norme di prevenzione per cui non rileva che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto rischio aziendale connesso all'ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro”.
 
Secondo quanto sostenuto dal ricorrente, ha ricordato la Sez. IV, nulla gli era da addebitare in quanto aveva affidato ai suoi dipendenti una macchina perfettamente funzionante e sicura né lo stesso era a conoscenza che la macchina venisse fatta funzionare senza la cautela imposta. Nello specifico era stato invece accertato che la macchina stessa utilizzata dal lavoratore era priva della griglia di protezione e che, al fine di permetterne il funzionamento, venivano utilizzate delle chiavi supplementari atte ad escludere i dispositivi di sicurezza, circostanza che è risultata determinante nella causazione dell'infortunio.
 
Nel caso sottoposto al suo esame, ha fatto presente la Corte di Cassazione, non può porsi in dubbio che l’imputato, per il ruolo rivestito di datore di lavoro, avesse una posizione di garanzia che gli imponeva di adottare, o controllare che fossero adottate le cautele la cui mancanza ha determinato l'evento. “ In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha proseguito la Sez. IV, “ la posizione di garanzia del datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa"
 
Nel caso in esame l’imputato aveva sostenuto che tali poteri erano stati trasferiti ad altro soggetto avente la qualifica di preposto ma l’attribuzione di tali poteri, secondo la suprema Corte, non aveva in effetti determinata la assunzione da parte dello stesso della qualità di datore di lavoro, né in capo ad esso sono stati trasferiti i relativi obblighi di sicurezza. A tal fine infatti, ha aggiunto la Sez. IV, sarebbe stato necessario conferirgli una specifica "delega" che, nel caso di specie, non risulta provata. " In materia di infortuni sul lavoro”, secondo quanto stabilito dalla Corte di legittimità ancor prima della codificazione prevista dall’art. 16 del D. Lgs. n. 81/2008, “ sebbene gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive”. 
Nel caso in questione, ha concluso la suprema Corte, nessuna inequivoca delega di funzioni antinfortunistiche è risultata essere stata affidata né l’imputato ha documentato che fosse stata conferita una delega di fatto non avendolo efficacemente documentato. Di conseguenza l’imputato, quale datore di lavoro, aveva intatta la sua posizione di garanzia al momento dei fatti, ai sensi degli artt. 4 e 7 del D. Lgs. n. 626/1994, per cui era comunque tenuto a sorvegliare circa le attività che si svolgevano presso il luogo di lavoro, quali quelle avvenute in occasione dell'incidente a parte il fatto che le omissioni relative alle dotazioni di sicurezza erano riferite a presidi da attuare in epoca precedente al giorno dell'infortunio e, quindi, rientranti nella sfera di controllo del datore di lavoro stesso.
 
 

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