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"La valutazione del rischio biologico nella bonifica dei siti contaminati "
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
19/12/2014 - Nei mesi scorsi PuntoSicuro si è soffermata su un rischio spesso sottovalutato
o non considerato nelle attività
di bonifica dei siti contaminati, ad esempio in relazione all’inquinamento
di suoli e di falde: il
rischio
biologico.
Ne abbiamo parlato attraverso una
pubblicazione - “ Il
rischio biologico nel settore della bonifica dei siti contaminati”,
realizzata da INAIL Settore Ricerca, Certificazione e Verifica, Dipartimento
Processi Organizzativi –che si pone l’obiettivo di aumentare la consapevolezza
del rischio biologico in queste attività e che fornisce indicazioni in materia
di valutazione e controllo del rischio durante le diverse fasi operative.
Dopo aver parlato della normativa
vigente, di esposizione dei lavoratori, di classificazione degli agenti biologici,
della mancanza di valori limite, dei sopralluoghi conoscitivi e della fase di
allestimento del cantiere, ci soffermiamo oggi proprio sulla
fase di valutazione del rischio biologico
connesso alle operazioni di bonifica.
Il documento ricorda innanzitutto
che la valutazione del rischio biologico è una “procedura complessa che deve
prendere in considerazione i pericoli, ossia gli agenti biologici
potenzialmente presenti nell’ambiente lavorativo ed il rischio, ossia la
probabilità statistica che l’evento dannoso si realizzi in quelle specifiche
condizioni di esposizione”.
Per poter operare la valutazione,
il
Titolo X (Esposizione ad agenti
biologici) del D.Lgs. 81/2008 dispone che il datore di lavoro “consideri tutte
le informazioni disponibili relative alle caratteristiche degli agenti
biologici utilizzati o potenzialmente presenti nel materiale trattato e
delle modalità operative in cui essi vengono coinvolti ed in particolare:
a) della classificazione in
termini di pericolosità degli agenti biologici che presentano o possono
presentare un pericolo per la salute umana (come dall’Allegato XLVI del D.Lgs.
81/2008);
b) dell’informazione sulle
malattie che possono essere contratte a seguito dell’esposizione lavorativa;
c) dei potenziali effetti
allergici e tossici dei microorganismi e/o loro parti;
d) della conoscenza di una
patologia della quale sia affetto un lavoratore, correlabile all’attività
lavorativa svolta”.
Abbiamo già parlato, nel
precedente articolo di presentazione della monografia, del fatto che tale
valutazione può risultare “seriamente compromessa dalla
mancanza di valori limite di esposizione (Occupational Exposure
Levels, OELs) agli agenti biologici che possano essere da riferimento nella
interpretazione delle dosi espositive in termini di frequenza attesa delle
diverse manifestazioni patologiche a carico del lavoratore, siano esse di
natura infettiva che allergica o tossica”.
La disponibilità di dati sulle
relazioni dose-effetto degli agenti biologici “permetterebbe la definizione dei
valori limite dell’esposizione al fine di garantire una corretta
interpretazione dei risultati ottenuti attraverso le misurazioni effettuate nel
corso del procedimento di valutazione del rischio”. Ma ad oggi, non esistendo relazioni
dose-effetto e valori limite dell’esposizione professionale (OEL) agli agenti
biologici, la normativa vigente “definisce i valori limite dell’esposizione
agli agenti biologici solo con riferimento ad alcuni tipi di tossine, o per
agenti quali la polvere
di legno, la subtilisina e la polvere di farina”. Anche i valori limite
dell’esposizione alle endotossine batteriche “sono stati per il momento
proposti ma non ancora definiti con certezza, anche a causa della mancanza di
univoche metodologie di valutazione quantitativa dell’esposizione”.
E non bisogna dimenticare altre
importanti
limitazioni alla definizione
di relazioni dose-effetto. Ad esempio:
- “il ruolo ricoperto dagli
agenti biologici nell’evolversi o nell’aggravarsi dei sintomi e delle malattie
è stato per ora compreso solo in minima parte”;
- i microrganismi sono
caratterizzati “dalla costante capacità di reagire e interagire con l’ambiente
circostante e risultano in grado di modificare velocemente la loro espressione
genica in risposta ai diversi segnali ambientali”;
- scarse sono le “informazioni
relative alle dosi infettanti dei microrganismi: alcuni possono risultare
patogeni in quantità estremamente ridotte, mentre altri organismi possono
costituire un importante rischio per la salute solamente quando raggiungono
concentrazioni più elevate”;
- “la valutazione delle relazioni
dose-risposta è inficiata ulteriormente dall’estrema variabilità della risposta
umana all’esposizione agli agenti biologici. Esiste infatti una notevole
diversità fra le varie forme di predisposizione individuale a infezioni e
allergie”.
Per la valutazione “la rilevanza
della stima dell’entità dell’esposizione, attraverso ad esempio il monitoraggio
microbiologico ambientale, è limitata per le difficoltà connesse alla
interpretazione delle dosi espositive. Quindi
se l’identificazione dei pericoli può essere effettuata valutando la
presenza anche solo presunta di agenti biologici durante le attività
lavorative, la valutazione del rischio biologico si basa sulla casistica
epidemiologica, cioè verificando in letteratura quali patologie sono state
messe in correlazione con determinate tipologie espositive e sull’osservazione
dello stato di salute del lavoratore”.
Dunque è responsabilità
dell’azienda, riguardo alla
casistica epidemiologica,
“utilizzare tutte le fonti scientifiche informative con particolare riguardo a
quelle che si riferiscono al comparto di specifico interesse”. E se nel settore
delle bonifiche non sono disponibili in letteratura molti dati epidemiologici (infezioni,
sintomatologie, malattie osservate, ...) – dove certamente il rischio
prevalente è quello di natura chimica - è possibile fare riferimento alla
casistica epidemiologica esistente per settori occupazionali equiparabili, ad
esempio “quelli del settore dell’edilizia, dell’agricoltura e dello smaltimento
acque reflue”.
A questo proposito il documento,
che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma sulla casistica
epidemiologica di questi tre settori lavorativi.
Concludiamo questo breve percorso
relativo alla valutazione del rischio biologico connesso alle operazioni di
bonifica affrontando il tema del
monitoraggio
microbiologico ambientale.
Il documento sottolinea che tale monitoraggio
microbiologico ambientale non è obbligatorio ai sensi del D.Lgs. 81/2008 al
fine della valutazione del rischio biologico. E inoltre “tali monitoraggi
risultano complessi e spesso non esaustivi, considerata l’impossibilita di rilevare tutti
gli agenti
biologici che possono essere presenti nelle diverse matrici dalle quali
dipende l’esposizione”. E bisogna
anche sottolineare “che il non rilevamento di uno specifico agente
biologico nella matrice monitorata, non permette di escluderne la presenza, sia
perche i metodi colturali routinariamente adottati non sono in grado di mettere
in evidenza tutti i microrganismi potenzialmente presenti, sia perche non si
può escludere che un determinato patogeno possa essere presente in quella
stessa matrice anche solo poco tempo dopo aver effettuato il campionamento, in
seguito all’instaurarsi delle condizioni
ambientali più favorevoli ad una sua sopravvivenza e successiva moltiplicazione”.
E il monitoraggio dei bioaerosol “risulta particolarmente complesso per la
molteplicità di agenti biologici che esso può contenere: batteri, funghi,
virus, allergeni, endotossine batteriche, micotossine, peptidoglicani, pollini,
fibre vegetali, etc. Non esistono metodi di campionamento ed analisi dell’aria
per la quantificazione dell’esposizione a bioaerosol che siano universalmente
riconosciuti e questo rende complicato stabilire le relazioni causa effetto tra
gli specifici parametri microbiologici e problemi di salute e, quindi, la
definizione di limiti di accettabilità dell’esposizione professionale”.
In ogni caso nei casi in cui si
proceda al monitoraggio microbiologico ambientale è “opportuno definire a
priori la gestione dei risultati del monitoraggio”.
E per la la sorveglianza
routinaria dell’aria dell’ambiente lavorativo “può essere utile procedere a
monitoraggi per valutare se le concentrazioni microbiche rilevate nelle aree di
lavoro durante le diverse attività (scavi, carico/scarico di terreno,
rivoltamento dei cumuli, etc.) risultino superiori a quelle di aree esterne
all’impianto, utilizzando come indicatori le conte batteriche totali, ossia
quelle dei microrganismi vitali e non vitali, dal momento che anche questi
ultimi sono da considerarsi un pericolo espositivo per il lavoratore”.
Il documento sottolinea infine
che
l’approccio più corretto per il
controllo del rischio biologico connesso alle operazioni di bonifica è quello
“preventivo attraverso la riduzione al più basso livello possibile dell’entità
dell’esposizione individuale”: dopo l’individuazione delle
lavorazioni/operazioni/fasi in cui può determinarsi l’esposizione biologica, si
procede alla definizione delle misure di contenimento e/o delle modalità
operative, tanto più restrittive quanto maggiore è il rischio di contaminazione
presente”.
“ Il rischio biologico nel settore della bonifica dei siti
contaminati”, pubblicazione realizzata da INAIL Settore Ricerca,
Certificazione e Verifica, Dipartimento Processi Organizzativi, U.F.
Comunicazione – Redazione, autori: Biancamaria Pietrangeli e Domenico Davolos,
pubblicazione maggio 2013 (formato PDF, 4.0 MB).
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dedicata a “ Il rischio biologico e la bonifica dei siti contaminati”.
RTM
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