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"Sui limiti delle responsabilità fra il committente e l’appaltatore"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
02/03/2015 -
Commento a cura di Gerardo Porreca
E’ importante questa sentenza della Corte di Cassazione in quanto,
nell’annullare una sentenza della Corte di Appello con la quale erano
stati condannati un datore di lavoro committente ed un coordinatore per l’esecuzione per
carenza di motivazioni con riguardo alla posizione delle loro
responsabilità, ha trovato l’occasione per fornire dei precisi
indirizzi
utili per una corretta applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. 9/4/2008
n. 81 e s.m.i. che riguarda la sicurezza sul lavoro negli appalti e
subappalti e per fare il punto sui
limiti dell’obbligo di cooperazione che
tale articolo impone a carico del datore di lavoro committente nei
confronti del datore di lavoro appaltatore. La cooperazione tra
committente e appaltatore, ha sostenuto nella sentenza la suprema Corte,
è da ritenersi doverosa per eliminare o ridurre al minimo i “rischi
comuni” per i lavoratori delle due parti mentre per il resto ciascun
datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri
prestatori d’opera subordinati assumendosene la relativa responsabilità.
La Corte di Cassazione ha inteso infatti mettere in evidenza che il
dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un
contratto di appalto o di prestazione d’opera, è da riferire oltre che
al datore di lavoro appaltatore, primo destinatario delle disposizioni
antinfortunistiche, anche al datore di lavoro committente e
che detto principio, però, non può applicarsi autonomamente, non
potendosi esigere dal committente un controllo pressante, continuo e
capillare sulla organizzazione e sull’andamento dei lavori. La stessa
Corte suprema ha sottolineato altresì che, ai fini della configurazione
della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto
quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia
dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta
per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori
da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta
dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza
nell'esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto o del contratto di
prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da
parte del committente delle situazioni di pericolo.
Il fatto, l’iter
giudiziario e il ricorso in Cassazione
La Corte di Appello ha confermato una
sentenza di primo grado con la quale un committente datore di lavoro ed il coordinatore
per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) di un cantiere edile erano
stati condannati per il reato di omicidio colposo nei confronti di un
lavoratore di una ditta subappaltatrice, riformando in melius la pena,
esclusivamente nei confronti del secondo, previa concessione delle circostanze
attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante. Le imputazioni
erano state riferite ad un infortunio sul lavoro occorso all'interno di un
cantiere edile, a seguito del quale era deceduto un lavoratore durante alcune operazioni
di scavo. Dagli accertamenti svolti a seguito dell'infortunio era emerso che
l’infortunato era stato colpito dalla benna
dell'escavatrice, condotta dal padre, pensionato e non assunto regolarmente
in assenza di sbarramenti e segnaletica di sicurezza intorno all'area di azione
della escavatrice.
A carico del committente datore di
lavoro erano stati ravvisati profili di colpa, sia generica, per imprudenza e
negligenza, che specifica. Quanto al primo profilo della colpa specifica
fondati sulla violazione dell’art. 93 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 avendo lo
stesso omesso di verificare l'osservanza degli obblighi da parte del direttore
dei lavori e del coordinatore per l'esecuzione. A quest’ultimo, invece, è stato
contestato di avere colposamente cooperato nella causazione dell'evento,
consentendo che il padre dell’infortunato, pensionato e non assunto, eseguisse
quel tipo di operazioni in assenza di sbarramenti e segnaletica di sicurezza
intorno all'area di azione della escavatrice.
Avverso la predetta decisione gli
imputati hanno proposto
ricorso per
cassazione articolato con diverse motivazioni. Quanto al committente datore
di lavoro lo stesso ha sostenuto che i giudici di merito avevano fatto ricadere
sullo stesso la responsabilità dell'evento erroneamente in quanto non rivestiva
la posizione di committente ed era estraneo alla situazione di rischio posta in
essere dalla stessa vittima. In ogni caso, ha sostenuto ancora, eventuali
irregolarità durante le lavorazioni avrebbero dovuto essere segnalate dal coordinatore
per l'esecuzione al quale spettava la verifica e l'adeguamento del POS in fase
di avanzamento dei lavori, nonché l'eventuale esercizio di poteri impeditivi in
situazioni di pericolo grave ed imminente e la segnalazione a lui di tale
situazione, mai effettuata. Il CSE, da parte sua, ha lamentato una violazione
del principio di correlazione dell'accusa essendogli stata attribuita
erroneamente, in assenza di elementi probatori emergenti in tal senso, la
qualifica di preposto, modificando quella contenuta nel capo di imputazione.
Le decisioni
della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati
ritenuti
fondati dalla Corte di Cassazione che ha giudicato assolutamente carente la
sentenza impugnata essendosi il giudicante limitato ad affermare in via apodittica
la responsabilità del committente e del preposto sulla base di mere
affermazioni di principio, svincolate dal contesto in cui l'evento letale si
era realizzato. Secondo la Corte suprema, infatti, la responsabilità del
committente era stata fondata sulla posizione di garanzia dallo stesso assunta,
nella qualità di datore di lavoro, e sulla omessa vigilanza concretizzatasi nel
consentire l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose e
quella del CSE era stata, invece, ricondotta alla posizione di garanzia
rivestita dal medesimo nella qualità di preposto, modificando così
l'attribuzione allo stesso della qualifica contenuta nel capo di imputazione.
L'unico dato emerso con certezza nella sentenza impugnata, ha fatto osservare
la Sez. IV, è stato che l'evento letale era stato determinato da una manovra
errata, pericolosa e non conforme alle prescrizioni di sicurezza, del conducente
della escavatrice, padre della vittima, la cui posizione era irregolare nel
cantiere, in quanto non risultava ritualmente assunto. Del tutto incerta è
rimasta poi, ha precisato la Sez. IV, la situazione dei rapporti tra le ditte
presenti nel cantiere e quella committente per cui tale situazione di
incertezza ha reso la motivazione della sentenza del tutto carente.
Nel ribadire, inoltre, che nel caso di contratto di appalto
non può essere posta in dubbio la posizione di garanzia del committente il
quale ha l'obbligo di accertare la "idoneità tecnico professionale"
dell'impresa appaltatrice, quello di fornire alla stessa dettagliate
informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui questa è
destinata ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in
relazione alla propria attività, nonché l'ulteriore obbligo di promuovere la "
cooperazione" ed il "
coordinamento" ai fini
dell'attuazione delle misure precauzionali, attraverso l'elaborazione di un
unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per
eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da
interferenze, la Corte suprema ha fatto presente che “
la violazione dei suindicati obblighi comportamentali può fondare una
(cor)responsabilità (anche) del datore di lavoro/committente per infortuni che
abbiano riguardato i lavoratori dipendenti dell'appaltatore, purché non si
verta in ipotesi di "rischi specifici" propri dell'attività
dell'appaltatore (cfr. D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 3, ultimo
periodo)”
Ha altresì ricordato la Sez. IV, a dimostrazione del più
impegnativo ruolo di garanzia posto a carico del datore di lavoro/committente,
anche la disciplina dettata dal art. 26, comma 4, laddove, dopo essere stata
richiamata la responsabilità solidale del datore di lavoro/committente per il
mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e
assicurativi, è stata prevista la responsabilità del datore di
lavoro/committente "in solido" con l'appaltatore, per tutti i danni
per i quali il lavoratore dipendente dall'appaltatore non risultasse
indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore
marittimo (IPSEMA) ma che anche in questo caso però, ovviamente, la
responsabilità solidale non è senza limiti in quanto non opera rispetto ai danni
subiti in conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività dell'impresa
appaltatrice. Si tratta, come si vede, ha così proseguito la Sez. IV, di una
normativa molto rigorosa che dimostra con chiarezza l'intendimento di
assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente
"estensione" dei soggetti onerati della relativa "posizione di
garanzia" nella materia prevenzionale allorquando l'omessa adozione delle
misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso
coordinamento.
“
Deve, pertanto,
affermarsi”, ha così proseguito la Sez. IV, “
il principio di diritto secondo il quale il committente è
corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa
omissione ed in quei casi in cui l'omessa adozione delle misure di prevenzione
prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia
in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari
indagini; in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente,
non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a
tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente
e continua diligenza, la puntuale osservanza”.
Il tema più delicato che emerge dalla lettura dell’art. 26,
comma 2, lett. a), del D. Lgs. n. 81/2008 e rilevante ai fini della decisione,
ha osservato la Corte suprema, è certamente quello della
delimitazione dell'"obbligo di coordinamento" imposto al
datore di lavoro/committente, tema sul quale la Corte è intervenuta in più
occasioni, precisando che “
la
cooperazione - da intendere nel senso che ciascuno deve contribuire
attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure
di prevenzione e protezione necessarie - non può interpretarsi come obbligo per
il committente di ‘intervenire in supplenza’ dell'appaltatore tutte le volte in
cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare le misure di prevenzione
prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, poiché la cooperazione, se
così la si intendesse, si risolverebbe in un'inammissibile ‘ingerenza’ del
committente nell'attività propria dell'appaltatore al punto di stravolgere
completamente la figura dell'appalto”
La Corte di Cassazione ha inoltre precisato che “
il dovere di sicurezza, con riguardo ai
lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione
d'opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore,
destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente.
Detto principio non può, però, applicarsi automaticamente, non potendo esigersi
dal committente un controllo pressante, continuo e capillare
sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della
configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in
concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia
dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per
l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da
eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta
dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione
dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché
alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni
di pericolo”.
In conclusione, secondo la Sez. IV, il
rapporto tra committente e appaltatore va apprezzato tenendo conto
dell'indicazione legislativa secondo cui "
i datori di lavoro cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione
e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto
dell'appalto" per cui l'obbligo della cooperazione tra committente ed
appaltatore è limitato all'attuazione delle misure prevenzionali rivolte ad
eliminare i pericoli che, per effetto dell'esecuzione delle opere appaltate,
vanno ad incidere sia sui dipendenti dell'appaltante/committente che su quelli
dell'appaltatore.”In altri termini”, ha così concluso, “
la cooperazione deve ritenersi doverosa per eliminare o ridurre i
‘rischi comuni’ ai lavoratori delle due parti, mentre, per il resto, ciascun
datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri
prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità”.
D’altro canto dalla lettura degli atti è risultato che il committente, in
conformità alla normativa vigente, aveva proceduto alla nomina del coordinatore
per l'esecuzione dei lavori, il quale dovrebbe assicurare, durante
l’effettuazione dei lavori, il collegamento tra impresa appaltatrice e
committente al fine di realizzare la migliore organizzazione ed avrebbe il
compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei
lavori, di vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di
pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni, segnalando al committente
o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni di cui al
citato decreto.
Per quanto riguarda, infine, il ricorso proposto dal coordinatore per
l’esecuzione la suprema Corte ha ritenuto del tutto indimostrata la qualità
di preposto allo stesso attribuita, ruolo
diverso da quello indicato nel capo di imputazione. Tale valutazione non
è stata, infatti, supportata da congrua motivazione e si è posta quindi in
evidente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, così
come correttamente sostenuto dall’imputato fra le motivazioni del ricorso. La
Corte di Cassazione, in definitiva, ha giudicata carente la motivazione addotta
dalla Corte di Appello nella sentenza impugnata, laddove non ha affrontato il
problema delle ingerenze della ditta committente nelle competenze specifiche di
altri e nella parte in cui ha attribuito al CSE la qualifica di preposto, in
contrasto con gli elementi probatori agli atti ed in violazione del principio
di correlazione, non risultando che nel corso del giudizio l'imputato abbia
avuto la possibilità di difendersi sul punto, per cui ha annullata la sentenza
impugnata con rinvio della stessa alla Corte di Appello di provenienza per
nuovo esame, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati.
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