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"Sul contenuto del Duvri nel caso di un appalto interno di lavori edili "
fonte www.puntosicuro.it / D.U.V.R.I.
09/03/2015 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Vengono
forniti dalla Corte di Cassazione in questa interessante sentenza delle utili
precisazioni che attengono specificatamente alla natura dei rischi
interferenziali ed all’applicazione corretta dell’art. 26 del D. Lgs. n.
81/2008 e s.m.i. e più in particolare alla elaborazione del documento
unico di valutazione dei rischi interferenti (Duvri). Quando il legislatore, ha sostenuto la suprema
Corte, con l’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 ha imposto al datore di lavoro
committente di fornire agli appaltatori “dettagliate informazioni sui rischi
specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle
misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria
attività” ha voluto fare riferimento non soltanto alla organizzazione facente
capo allo stesso datore di lavoro committente ma anche ad ogni altro fattore di
rischio presente nell’ambiente di lavoro entro il quale l’appaltatore si
troverà ad operare pertanto, ove in tale ambiente si preveda la presenza di una
terza impresa alla quale sia stato affidato un altro appalto interno, dovranno
essere valutati e segnalati anche i rischi che possono derivare dalla sua
presenza. In altre parole, ha sostenuto la Corte di Cassazione, in tema di
valutazione dei rischi interferenziali di cui all’art. 26 del D. Lgs. n.
81/2008 e s.m.i. il datore di lavoro committente deve tenere conto della
presenza di ditte o di lavoratori
autonomi terzi, operanti
all’interno dell’ambiente di lavoro in concomitanza dell’espletamento dei
lavori affidati in appalto, i quali possono verosimilmente arrecare rischi
persino più elevati rispetto a quelli legati alla organizzazione del datore di
lavoro committente e dell’appaltatore.
Il fatto e i ricorsi in Cassazione
La Corte di Appello, in riforma della
pronuncia di assoluzione emessa dal Tribunale, ha giudicato il dirigente
responsabile della produzione di una società e il coordinatore per l'esecuzione di alcuni lavori edili realizzati dalla
stessa responsabili dell'infortunio occorso a due lavoratori elettricisti
dipendenti di due ditte appaltatrici alle quali erano stati commissionati
lavori di impiantistica nel capannone della società medesima i quali, secondo
l'accertamento condotto nei gradi di merito, stavano operando su una
piattaforma aerea all'interno del predetto capannone allorquando un carroponte
avviato da un carpentiere di una terza ditta operante nel cantiere, alla quale
erano stati appaltati lavori correlati al processo produttivo della società era
andato a toccare la piattaforma medesima, facendola rovinare a terra e così
cagionando la caduta al suolo dei due lavoratori, che nell’incidente
riportavano lesioni dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in
più di quaranta giorni.
Al dirigente responsabile della produzione era
stato rimproverato di aver redatto un piano di valutazione dei rischi da
interferenze con i lavori delle imprese terze rispetto alle due legate da
rapporto di appalto inadeguato perché non precludeva l'utilizzo del carroponte
nella campata in cui operava il personale di quelle imprese mentre al
coordinatore per l’esecuzione è stato contestato di non aver adeguato il
piano di sicurezza e di coordinamento
al rischio derivante dalla compresenza di più squadre di lavoratori di diversa
estrazione e di non avere altresì adottato le relative misure di sicurezza.
Avverso la decisione della Corte di Appello hanno
ricorso cassazione gli imputati a mezzo di un comune difensore di fiducia. Il
dirigente responsabile della produzione, come primo motivo di difesa, ha
sostenuto che la Corte di Appello era pervenuta ad affermare la sua
responsabilità senza accertare se la condotta doverosa, ove tenuta, avesse
impedito l'infortunio, avendo il giudice di primo grado escluso specificamente
che la correttezza della valutazione dei rischi e del piano di sicurezza
avrebbe evitato il sinistro, dovuto invece alla avventata movimentazione del
carroponte ad opera del dipendente di una ditta appaltatrice e che era rimasta
estranea alla imputazione l'eventuale omessa formazione del manovratore del carroponte e
l'ipotetica mancata supervisione del suo operato da parte dei responsabili.
Come secondo motivo il dirigente responsabile della produzione si è lamentato
che la Corte di Appello aveva confuso i contenuti del documento unico di
valutazione dei rischi con quelli del piano di sicurezza e di coordinamento,
attribuendogli così una violazione che era riferibile solo al coordinatore per
l’esecuzione perché concernente l'adeguamento del piano. Lo stesso ha messo in
evidenza, altresì, che la sentenza della Corte di Appello aveva interpretato
erroneamente le norme prevenzionistiche in quanto il
capannone della società rappresentava nella circostanza un
cantiere edile e l'infortunio aveva riguardato gli elettricisti nel corso dei
lavori edili per cui, non riguardando il DVR i cantieri edili, le misure di
prevenzione relative a questi ultimi erano da prevedersi solo con il piano di
sicurezza, fermo restando che anche nel DVR erano previsti i rischi di
interferenza tra le lavorazioni e le relative misure di sicurezza.
Le
decisioni della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti infondati dalla
Corte di Cassazione e quindi rigettati. La stessa ha posto in evidenza che
all'interno del capannone della società committente operavano diverse
compagini, quella del committente stesso, quella della ditta alla quale questa
aveva commissionato particolari lavorazioni del proprio processo produttivo e
quelle delle due ditte alle quali erano stati appaltati i lavori edili per la
ristrutturazione del capannone. Tale
situazione, ha sostenuto la suprema Corte, implicava per la pluri-committente
di provvedere sia agli adempimenti previsti dall'art. 26 del D. Lgs. 9.4.2008
n. 81 per l'ipotesi di un appalto cosiddetto interno al processo produttivo
dell'appaltante, sia agli adempimenti previsti dagli artt. 88 e seguenti del
medesimo decreto legislativo per il fatto che era attivato un cantiere edile.
Con riferimento alla difesa del dirigente
della società committente secondo la quale la manchevolezza che aveva portato
all’infortunio occorso ai due elettricisti era da ascrivere al PSC e non al Duvri perché l'infortunio aveva riguardato
lavoratori impegnati nei lavori edili la Corte di Cassazione ha ritenuto
opportuno svolgere in merito alcune precisazioni, che attengono specificamente
alla materia dei rischi interferenziali. La tesi sostenuta dal dirigente è stata
basata, secondo la stessa Corte, su di una concezione riduttiva delle
funzionalità del Duvri nel senso che alla valutazione dei rischi
interferenziali è da assegnare il compito di prendere in considerazione le
ricadute della compresenza sui lavoratori dell'una e dell'altra organizzazione,
risultando quindi esclusi dalla rilevazione e dalla programmazione i rischi
derivanti a soggetti terzi, pur presenti ed operanti sul medesimo luogo di
lavoro. Una simile concezione, secondo la Corte ancora, non trova però conforto
nel dato normativo e in un principio reiteratamente espresso dalla
giurisprudenza di legittimità. “Il
primo
elemento da prendere in esame”, ha precisato in merito la suprema Corte, “
è la previsione dell'art. 26 d.lgs. n.
81/2008, per la quale il datore di lavoro che affida un appalto cd. interno
deve fornire agli appaltatori ‘dettagliate informazioni sui rischi specifici
esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di
prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività’".
Vi sono quindi nella norma riferimenti all'intero ambiente di lavoro e
all'intera attività del datore di lavoro committente. Se ne ricava che
l'obbligo informativo non riguarda soltanto l'organizzazione facente capo al datore
di lavoro committente ma ogni fattore di rischio presente nell'ambiente di
lavoro entro il quale l'appaltatore si troverà ad operare. Pertanto, ove
l'ambiente di lavoro entro il quale l'appaltatore dovrà eseguire la prestazione
concordata preveda la presenza di una terza compagine - ad esempio un
lavoratore autonomo al quale sia affidato un diverso appalto interno o lavori
edili -, dovranno essere valutati e regolati i rischi che da quella presenza
derivano”.
“
D'altro
canto”, ha proseguito la stessa, “
sarebbe
irragionevole ritenere che possa essere ignorato un fattore di rischio persino
più elevato rispetto a quello determinato dalla compresenza delle
organizzazioni del datore di lavoro committente e dell'appaltatore; entrambi,
infatti, hanno conoscenza della propria organizzazione e possibilità di
conoscere dell'altrui, mentre della ditta estranea all'appalto non è nota che
la presenza.
Non si può fare a meno
di notare, al riguardo, che l'art. 26 non impone alle parti dell'appalto - e
segnatamente al datore di lavoro committente – di adempiere agli obblighi
informativi, cooperativi e coordinativi anche nel confronti della ditta terza,
comunque interferente”
Secondo una consolidata giurisprudenza, ha
fatto notare la Corte, la cerchia dei destinatari della tutela prevenzionistica
che il datore di lavoro deve apprestare include tutti i soggetti che prestano
la loro opera nell'impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e
persone estranee all'ambito imprenditoriale.
L’imprenditore assume, infatti, una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei
soggetti a questi equiparati, ma altresì nel riguardi di tutti coloro che
possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area della loro
operatività per cui la posizione di garanzia sussiste anche nei confronti di
coloro che, pur estranei all'ambito imprenditoriale, vengano comunque ad
operare nel campo funzionale dell’imprenditore medesimo. Può quindi, ha
proseguito la Corte, formularsi il principio di diritto secondo il quale "
in tema di valutazione del rischio di cui
alt'art, 26 d.lgs. n, 81/2008, il datore di lavoro committente deve tener conto
della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi operanti all'interna
dell'ambiente di lavoro in concomitanza dell'espletamento dei lavori affidati
in appalto”.
Infondata quindi è risultata, secondo la
Corte di Cassazione, la tesi secondo la quale il dirigente non era tenuto a
prendere in considerazione, nella elaborazione e nella redazione del Duvri il
rischio interferente con l'esecuzione dell'appalto interno derivante dalla
presenza delle ditte edili. Si trattava, infatti, di un rischio attinente
all'ambiente di lavoro entro il quale si sarebbe trovata ad operare la ditta
appaltatrice, in grado di generare pericoli tanto per i lavoratori dipendenti
dal datore di
lavoro committente che per i
lavoratori della ditta appaltatrice nonché, infine, per i lavoratori dipendenti
della terza ditta esecutrice.
Con riferimento infine alla posizione del coordinatore
secondo il quale il PSC era completo di ogni previsione necessaria e secondo il
quale la Corte di Appello avrebbe confuso le previsioni del Duvri e quelle del
PSC, la Corte suprema ha fatto notare che, così come sostenuto dalla Corte
distrettuale, era "rimasto sulla carta" e che la sua previsione
principale consistente nella differenziazione nel tempo dei vari interventi
nelle aree comuni era in realtà indeterminata perché rinviato all'effettivo
avanzamento dei lavori, la necessità di sviluppare le linee guida per il
coordinamento". Per tali ultimi motivi, ha così concluso la Corte di
Cassazione, è risultato non scalfito l'addebito a carico del coordinatore di
non aver previsto e attuato idonei accorgimenti organizzativi o tecnici.
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