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"Il nesso di causalità tra la condotta e infortunio sul lavoro"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
29/07/2015 -
Pubblichiamo un estratto
dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa
negli infortuni sul lavoro” - Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana
“Antonio Pognici”, per il sito internet
www.camerapenaleveneziana.it
IL NESSO DI CAUSALITÀ TRA LA
CONDOTTA E L'EVENTO IN GENERALE
Le norme dettate in tema di
prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di apprestare una
tutela ferma e completa al lavoratore. La normativa affronta infatti con
particolare rigore il nodo della responsabilità del datore di lavoro; questi
deve non solo predisporre le misure di sicurezza idonee e impartire le
direttive atte al perseguimento di questo scopo, ma deve altresì costantemente
controllarne il rispetto da parte dei lavoratori.
Tale rigore ispira tutta la
normativa antinfortunistica e, conseguentemente, esso permea anche il tema del
nesso di causalità tra la condotta e l'infortunio.
Proprio per tale motivo, la giurisprudenza
di legittimità si è sforzata di focalizzare il giusto punto di equilibrio
tra esigenze di prevenzione, a tutela dei beni primari della vita e della
salute dei lavoratori, ed i principi costituzionali che impongono una
responsabilità penale sorretta da colpevolezza.
A tal fine, per poter
formalizzare l'addebito colposo è necessario primariamente verificare la
sussistenza del rapporto di causalità materiale tra il lavoro ed il verificarsi
del rischio. Come infatti ha insegnato Carnelutti, l'infortunio può ritenersi
avvenuto in occasione del lavoro quando sia stato il lavoro a determinare il
rischio di cui è conseguenza l'infortunio stesso.
Non è quindi né necessario né
sufficiente che l'infortunio sia avvenuto durante l'orario di lavoro e sul
luogo di lavoro, ma è invece fondamentale che il rischio del verificarsi
dell'evento dannoso sia stato posto in essere dal lavoro.
Tante pronunce, in punto di nesso
causale, hanno infatti riconosciuto che ove sussista un nesso eziologico tra
prestazione lavorativa ed evento lesivo, la responsabilità del datore di lavoro
sia configurabile anche qualora l'infortunio non sia ascrivibile ad un rischio
tipico della prestazione lavorativa, con la conseguenza che anche il rischio
generico collegato allo svolgimento di una determinata attività è addebitabile
al datore di lavoro.
Sempre in ossequio al particolare
rigore cui sopra accennato, la Corte di Cassazione ha inoltreaffermato che per la sussistenza
del nesso eziologico tra la condotta e l'evento è necessario esufficiente che la condotta
del lavoratore sia comunque inerente all'esecuzione del lavoro e posta in
essere in connessione con lo svolgimento del medesimo.
In relazione all'estensione della
responsabilità del datore di lavoro e quindi alla sussistenza del nesso eziologico, la materia
infortunistica prevede che l'obbligo di questi di assicurare la sicurezza nel
luogo di lavoro si estenda anche ai soggetti che nell'impresa abbiano comunque
prestato la loro opera, indipendentemente dalla forma giuridico/contrattuale
utilizzata per lo svolgimento della prestazione [1]. Tale
obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi tra lavoratore
subordinato, altro soggetto a questo equiparato o anche persona estranea
all'ambito imprenditoriale, purché sussista il nesso causale tra l'infortunio e
la violazione della disciplina antinfortunistica.
Non spezzerà il nesso causale tra
condotta ed evento neppure la circostanza che l'infortunio siaavvenuto a danni di terzi: la
normativa prevede infatti che il datore di lavoro debba tutelare anche tutti
coloro che, per un qualsiasi legittimo motivo, accedano nell'ambiente
lavorativo, a prescindere da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare
dell'impresa. Fondamentale a tal fine è il dettato dell'art. 2087 c.c. in virtù
del quale il datore di lavoro è garante dell'incolumità fisica e della
salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera
nell'impresa; laddove egli non ottemperi a questo obbligo, l'evento lesivo
verrà al medesimo ricondotto in forza del meccanismo previsto dall'art. 40
comma 2 c.p.
Sempre nel tentativo di
apprestare una tutela il più ampia possibile al lavoratore, le norme sul punto
prevedono l'estensione di responsabilità anche ai responsabili del
servizio di prevenzione e protezione i quali quindi svolgono all'interno
dell'impresa una funzione di mera consulenza. Avendo questi l'obbligo giuridico
di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi legati all'attività
lavorativa e fornendo le adeguate indicazioni tecniche per risolverli, essi
divengono garanti degli eventi che si verifichino in conseguenza della
violazione dei suddetti doveri [2].
Tanto detto in merito al
particolare rigore con il quale è stata affrontata la suddetta materia, è stato
da molti affermato che per far luce su un argomento così ricco di difficoltà e
purtroppo sempre più presente nelle aule di udienza sia necessario tenere ben
distinte le problematiche relative alla causalità da quelle relative alla
colpevolezza.
La vicenda che ha fatto da
scenario per profonde riflessioni anche e soprattutto in punto di nesso causale
è stata quella dell'amianto.
In relazione a tale problematica,
infatti, le numerose sentenze danno atto della mancanza di leggi scientifiche
sulle quali vi sia unanime consenso e tale deficit conduce a pronunce dagli
esiti spesso differenti.
Con riferimento al tema del nesso
causale, in molti hanno rilevato che pur essendo passati più di dieci anni
dalla sentenza Franzese, ancora regni qualche incertezza in ordine agli
orientamenti giurisprudenziali assunti sino ad oggi.
La giurisprudenza più recente si
riporta infatti alla sentenza Franzese allo scopo di utilizzare i rigorosi criteri
nell'accertamento del nesso causale che essa indica relativi al grado di
certezzaprobatoria che deve essere
raggiunto per addivenire ad una condanna.
In materia di causalità
dell'infortunio collegata all' esposizione
all'amianto, per lungo tempo la giurisprudenza si è basata sulla
teoria dell'aumento del rischio, ma tale criterio pare da ultimo essere
superato dal paradigma della spiegazione causale.
Il problema si manifesta in tutta
la sua pregnanza laddove vi siano due leggi scientifiche alternative ugualmente
valide, accreditate ed utilizzabili nel caso concreto.
La Corte Suprema di Cassazione
con la famosa sentenza Quaglierini [3] ha
ricordato come, mentre sono pacifici i nessi causali tra esposizione ad amianto
ed asbestosi, in relazione alle dinamiche causali del mesotelioma pleurico si
contrappongono due leggi scientifiche alternative: da un lato quella che
considera il mesotelioma come una patologia dose-dipendente, dall'altro quella
che lo considera come conseguenza di esposizioni anche di modestissima entità
al momento dell'innesco (dose – killer) e di fatto indifferente alle successive
esposizioni. In base alla prima teoria l'iter della malattia è condizionato
dall'incremento o dall'aggravarsi dell'esposizione; in virtù della seconda,
invece, una volta assunta la prima dose – killer divengono irrilevanti le
ulteriori esposizioni.
In ipotesi di tal fatta, la
decisione Quaglierini ricorda che, essendo il criterio principale
dell'accertamento causale quello dell'elevata credibilità logica e razionale,
il giudice è tenuto non solo a dare conto delle ragioni per le quali ha
ritenuto di accogliere quella determinata legge scientifica, ma deve anche
escludere l'esistenza di possibili cause alternative nella produzione
dell'evento.
Pertanto, laddove non esista una
legge universale che consenta di stabilire con certezza le cause di un
determinato evento, inevitabilmente si apre il ricorso alle leggi statistiche e
(come nel caso dell'amianto) alle rilevazioni epidemiologiche. Molto si è
discusso sull'utilizzabilità di queste applicazioni ai fini dell'accertamento
del nesso causale. Invero, le leggi statistiche non sono in grado di “spiegare”
un fenomeno, ma solo di “enumerarlo”; le rivelazioni epidemiologiche, altresì,
sono utili per lo studio dei fenomeni patologici, ma certo non contribuiscono a
individuare i possibili nessi causali.
Date quindi queste difficoltà
nell'accertamento del nesso causale, molte pronunce hanno dato riscontro di come l'utilizzo di
tali leggi scientifiche determina la violazione del principio della personalità
della responsabilità penale perché, appunto, non dà risposte univoche alla
questione sull'accertamento della causalità individuale del singolo caso.
Sempre in tema di morti per
amianto, il filo rosso del particolare rigore si palesa ancor più laddove si
ritiene dimostrato il nesso causale tra esposizione ed evento infausto ove, pur
non risultando in concreto possibile determinare con esattezza il momento di
insorgenza della malattia, si raggiunga comunque la prova che la condotta
doverosa omessa avrebbe potuto incidere anche soltanto sul tempo di latenza o
sul decorso della malattia [4].
In altre pronunce, sempre
relative a casi di omicidio colposo per esposizione del lavoratore ad amianto poi deceduto per
mesotelioma pleurico, pur in assenza di dati certi sull'epoca di maturazione
della malattia, è stato ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta
omissiva dei responsabili aziendali e la malattia anche nel caso in cui tale
condotta sia intervenuta per una parte soltanto del periodo di esposizione ad
amianto del lavoratore poi deceduto, in quanto anche in caso di malattia già
insorta l'omissione del datore di lavoro ne riduce i tempi di latenza o, in
caso di malattia insorta successivamente, ne accelera i tempi di insorgenza [5].
Di rilevante importanza, ai fini
dell'accertamento della sussistenza del nesso causale, è anche la tematica
relativa alla ricorrenza dell'elemento causale alternativo. Laddove infatti si
sia in presenza di patologie neoplastiche multifattoriali, la sussistenza del
nesso causale non può essere esclusa sulla base di un ragionamento astratto di
tipo deduttivo che si limiti a riconoscere la ricorrenza di un elemento causale
alternativo di innesco della malattia, dovendosi invece procedere ad una
puntuale verifica – da svolgersi in concreto ed in relazione alle peculiarità
di ogni singola fattispecie – relativa all'efficienza determinante
dell'esposizione dei lavoratori a specifici fattori di rischio nel contesto
lavorativo nella produzione dell'evento fatale (nella fattispecie il nesso
causale era stato ritenuto sussistente tra l'esposizione dei lavoratori al
cromo esavalente ed il loro decesso, pur avendo alcune vittime l'abitudine al fumo di
sigaretta, di per sé fattore causale alternativo di potenziale innesco del
tumore polmonare) [6].
Come quindi analizzato in questa
breve disamina, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per
organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione
da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per
ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa. Una recente
pronuncia ha riconosciuto la sussistenza del nesso causale tra l'omissione del
datore di lavoro e la morte del lavoratore allorquando risulti provato che se
il primo avesse fornito al secondo per lo svolgimento dell'attività lavorativa
un macchinario di ultima generazione, diverso ed efficiente, l'evento morte non
si sarebbe verificato [7].
La giurisprudenza ritiene altresì
irrilevante l'errore del datore di lavoro sulla legittima aspettativa che non
si verifichino condotte
imprudenti dei lavoratori [8].
Invero, anche in caso di condotte
errate poste in essere dal lavoratore medesimo, la giurisprudenza ritiene
sussistente il nesso causale, in quanto al datore di lavoro è imposto anche di
esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore. In tal
senso il datore diviene “garante” anche della correttezza dell'agire del
lavoratore [9].
In ossequio all'opera
interpretativa della Suprema Corte di Cassazione, non esclude il nesso di causalità tra la condotta
omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal
lavoratore neanche il compimento
da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente,
non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate
nell'ambito del ciclo produttivo [10].
Da ultimo, ma non di minore
importanza, è da registrare come sia irrilevante la colpa del lavoratore,
eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica
addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni [11].
Il nesso causale, infatti, va
ravvisato indipendentemente dal fatto che l'infortunio avrebbe potuto essere
evitato o ridotto nelle conseguenze da una maggiore diligenza, attenzione e
prudenza del lavoratore. In altre parole, la responsabilità del datore di
lavoro non viene meno in caso di colpa del lavoratore; l'infortunio viene infatti
imputato al datore di lavoro in forza della posizione di garanzia rivestita,
sulla base del principio dell'equivalenza delle cause ex art. 41 comma 1 c.p.
Data l'importanza del bene della
vita e della salute del lavoratore tutelati, l'orientamento consolidato dei
giudici di merito e di legittimità ritiene che il nesso causale tra la condotta
e l'evento possa e debba ritenersi insussistente solo in caso di condotte
assolutamente abnormi del lavoratore in ossequio al dettato dell'art. 41
comma 2 c.p., come di seguito verrà analizzato. [Paola Loprieno]
[1] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 10.7.2014, n. 30483
[2] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 21.12.2012, n. 49821.
[3] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 4.11.2010, n. 38991
[4] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 24.5.2012, n. 33311
[5] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 22.3.2012, n. 24997
[6] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 21.6.2013, n. 37762
[7] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 21.2.2012, n. 6854
[8] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 14.3.2012, n. 16890
[9] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 19.3.2013, n. 10712
[10] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 10.10.2013, n. 7955
[11] Vedasi
Cassazione Penale, Sezione IV, 6.6.2013, n. 35115
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