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"Sulla posizione di garanzia del preposto a tutela dei lavoratori"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
09/05/2016 - Pone la Corte di Cassazione in questa sentenza la
propria attenzione sulla posizione di garanzia ricoperta dal preposto
nella organizzazione della sicurezza nell’ambito di una azienda e sulla sua
responsabilità per un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente. Le
disposizioni in materia di salute e sicurezza su lavoro, ha infatti evidenziato
la suprema Corte, riconoscono una specifica posizione di garanzia in capo al
preposto che è tenuto a rispettarle nell’ambito delle proprie attribuzioni e
competenze. Il preposto, in pratica, quale titolare di una posizione di
garanzia a tutela della incolumità dei lavoratori, deve vigilare sull’operato
dei lavoratori sottoposti alla propria sorveglianza e risponde degli infortuni
loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da tale posizione di
garanzia purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo
in concreto verificatosi.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha dichiarato un capo
reparto di una azienda responsabile del reato di cui agli artt. 590 comma 2 e
3, 583 comma 1 e 2 c.p. perché nella sua qualità di preposto,
per negligenza, imprudenza, imperizia nonché in violazione delle norme inerenti
la prevenzione degli infortuni, ed in particolare dell'art. 2087 c.c., non
aveva adottato le misure idonee a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed
a ridurre i rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi cagionando
ad un lavoratore dipendente dell’azienda una lombalgia dalla quale è derivata
l’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per 126 giorni.
Concesse le attenuanti generiche, valutate prevalenti sulla contestata
aggravante, il Tribunale lo ha quindi condannato alla pena di mesi 2 di
reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, pena condizionalmente
sospesa, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte
civile, da liquidarsi in separato giudizio, assegnando alla parte civile una
provvisionale di 5.000,00 euro.
Successivamente, la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di
primo grado, ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell’imputato
per essersi il reato estinto per prescrizione e, confermata nel resto
l’impugnata sentenza, lo ha condannato alla rifusione delle spese di giudizio
della parte civile. I giudici di merito, in particolare, hanno ritenuto provata
la penale responsabilità dell’imputato sulla base di una serie di risultanze
documentali e testimoniali (in particolare le dichiarazioni della persona
offesa ma anche quelle di altri dipendenti sentiti come testi) dalle quali era emerso
infatti che l’imputato, figlio del titolare, rivestiva all’interno della ditta la carica di responsabile del settore
ricambi e che era quindi il responsabile del reparto ove il lavoratore
infortunato svolgeva la propria attività, essendo lo stesso addetto alle
etichettature dei ricambi, e come tale rivestiva una posizione sovraordinata
rispetto allo stesso. Lo stesso, in altri termini, si doveva considerare
preposto e, quindi, destinatario di una posizione di garanzia e di conseguenza
avrebbe dovuto, nello specifico, vigilare sulla movimentazione dei carichi
manuali al fine di evitare o, comunque, ridurre il rischio di lesioni dorso
lombari anche tenuto conto dei fattori individuali di rischio così come
previsto dall’art. 48 comma 4 lett. b) del D. Lgs 626/94 allora vigente. Al
contrario era risultato che lo stesso aveva chiesto al lavoratore infortunato
di aiutare un collega a portare in magazzino “un pezzo grande”, un pezzo con
tutta probabilità del peso di 60-70 kg, poiché secondo le testimonianze degli
altri dipendenti della ditta, il peso medio dei pezzi movimentati era di circa
40 kg. Comunque, anche partendo da tale valore, ha sostenuto la Sez. IV, il
peso diviso per i due trasportatori superava la soglia di 15 kg che il
lavoratore infortunato, secondo quanto stabilito dalla Commissione Medica, poteva
trasportare.
Era risultato, altresì, che al rifiuto del lavoratore perché le condizioni
di salute non glielo consentivano l’imputato aveva minacciato il lavoratore di
licenziarlo se non avesse svolto il lavoro richiesto per cui lo stesso ha dovuto
trasportare il pezzo indicatogli assieme al collega riportando la suddetta
lesione lombare così come è risultato anche dal certificato INAIL nel quale
veniva evidenziato che il lavoratore ha dovuto abbandonare il lavoro perché
colto da un violento dolore lombare mentre sollevava il pezzo.
Il ricorso in Cassazione e le
motivazione
Avverso la pronuncia della Corte di Appello il difensore dell’imputato ha
proposto ricorso per cassazione adducendo diverse motivazioni. Innanzitutto la
difesa ha sostenuto che la Corte territoriale avesse fondata la ritenuta
responsabilità dell’imputato su elementi fallaci a cominciare dalle
dichiarazioni rese dalla persona offesa. La Corte di appello, ha fatto notare
la difesa, ha ritenuto credibile il lavoratore infortunato perché le sue
affermazioni sarebbero state rese nell’immediatezza dei fatti, poi, confermate
in dibattimento, nonché per la presenza di riscontri e che mancava la prova che
il presunto infortunio fosse effettivamente conseguenza dell’evento. Quanto al
peso degli assali, la Corte di appello aveva fatto riferimento alla deposizione
di un teste dalla quale era emerso che gli assiali spostati pesavano in media
sui 40 kg mentre tale teste, secondo la difesa, non avrebbe mai affermato che
gli assiali pesavano in media 40 kg bensì 20-25 kg, peso che diviso per due non
superava la soglia consentita di 15 kg. La difesa ha affermato, altresì, che
anche qualora il lavoratore fosse effettivamente rimasto infortunato nelle
circostanze e secondo le modalità da lui descritte, le conseguenze dannose si dovevano
comunque legare al fatto che lo stesso non doveva essere adibito a quel posto
di lavoro perché a rischio in quanto portatore di una patologia pregressa e che
quindi era risultato ininfluente l’aver dato l’incarico di alzare l’assale non
dovendo in pratica il lavoratore trovarsi in quel posto di lavoro.
Dell’infortunio in definitiva, secondo il ricorrente, doveva non rispondere lui
ma il datore di lavoro.
Le considerazioni e le decisioni
della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione infondato nella
misura in cui il ricorrente, tramite la deduzione di vizi di legittimità, ha cercato
di ottenere dalla Corte stessa una valutazione degli elementi di prova
ulteriore e diversa rispetto a quella effettuata dai giudici di merito,
operazione, quest’ultima, come è noto preclusa al giudice di legittimità salvo
il caso in cui le argomentazioni impiegate nell’impugnata pronuncia risultino
del tutto illogiche e contraddittorie il che non è ricorso, però, nel caso di
specie.
Quanto alle osservazioni fatte dal ricorrente con riguardo al peso
dell’assiale spostato, la suprema Corte ha fatto osservare che la Corte di
appello ha fatto riferimento alla deposizione del teste dalla quale era emerso
che gli assiali stessi spostati pesavano in media sui 40 kg per cui con tutta
probabilità il pezzo effettivamente spostato era del peso di 60-70 kg, in
quanto il lavoratore infortunato ha parlato di un grosso pezzo, cioè di peso
superiore rispetto alla media dei pezzi normalmente movimentati. In ogni caso
secondo le testimonianze degli altri dipendenti, il peso medio dei pezzi
movimentati era di circa 40 kg e comunque anche partendo da tale valore il peso
diviso per i due trasportatori superava
la soglia di 15 kg che, secondo quanto stabilito dalla Commissione
Medica, il lavoratore infortunato poteva trasportare. La difesa d’altro canto
nell’affermare che gli assiali non pesavano in media 40 kg bensì 20-25 kg, peso
che diviso per due non avrebbero superata la soglia consentita di 15 kg, non ha
fornito prova di quanto sostenuto.
Al pari infondata è risultata essere, secondo la Sez. IV, la lamentela
relativa all’individuazione del soggetto responsabile. La Corte di Appello, ha
precisato in merito la stessa Sez. IV, contrariamente a quanto affermato dalla
difesa, nel ritenere l’imputato responsabile dell’infortunio verificatesi ha
fatto corretta applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Come è noto, ha sostenuto ancora la suprema Corte, tale normativa riconosce una
specifica posizione di garanzia nei confronti del lavoratore in capo al
preposto prevedendo infatti l'art. 1 comma 4 bis del D.lgs., allora vigente,
che siano obbligati all’osservanza delle norme in tema di sicurezza anche i preposti
nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze.
L’imputato, ha precisato la Sez. IV, rivestiva all’interno dell’azienda la
carica di responsabile del settore ricambi e quindi egli era il responsabile
del reparto ove il lavoratore svolgeva la propria attività, essendo lo stesso
addetto alle etichettature dei ricambi, e come tale rivestiva una posizione
sovraordinata rispetto allo stesso e rivestiva appunto di fatto la posizione di
preposto. Di conseguenza, nel caso in esame, l’imputato avrebbe dovuto vigilare
sulla movimentazione
dei carichi manuali al fine di evitare o, comunque, ridurre il rischio di
lesioni dorso lombari anche tenuto conto dei fattori individuali di rischio
(così come previsto dall’art. 48 comma 4 lett. b del D. Lgs 626/94. Al contrario,
invece, lo stesso ha chiesto al lavoratore di aiutare il collega a portare in
magazzino “un pezzo grande”, cioè di peso probabilmente superiore ai 40 kg.
E’ risultata evidente quindi, ha proseguito la suprema Corte, l’omissione
da parte dell’imputato delle cautele previste dalla legge, cautele che gli
avrebbero imposto di non adibire il lavoratore a tale tipo di operazione e ciò
anche in considerazione del fatto che lo stesso era stato assunto nella quota
riservata agli affetti da disabilità e che, proprio per tale motivo, era stato
destinato a mansioni di ufficio quali la etichettatura dei pezzi in magazzino.
Del resto, ha fatto infine osservare la Sez. IV, la conclusione alla quale è
pervenuta la Corte di Appello si è posta in linea con il costante orientamento
della Corte di Cassazione secondo il quale “
il
preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei
lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi
derivanti da detta posizione di garanzia purché, come nel caso di specie, sia
titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto
verificatosi”.
Tanto premesso la suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso ed
in conseguenza ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali
oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Gerardo Porreca
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