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"Stress: risposte adattative ed effetti sui sistemi biologici"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
13/05/2016 - “La globalizzazione tipica dell’odierno mercato del lavoro si
accompagna a deregulation e all’aumento della competizione”. E i
processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale “hanno teso
spesso a privilegiare soluzioni che prevedono contrazione dell’offerta
di impiego e contratti a termine”. E tutto questo ha evidenti ricadute
sul
livello di stress nei luoghi di lavoro.
In particolare da uno studio condotto in Europa emerge che
“l’insicurezza e la precarietà nel lavoro sono fattori che si associano
ad un incremento dello stress percepito e, parallelamente, al
deterioramento dello stato di salute riferito”. Senza tener conto anche
del carico aggiuntivo di stress di particolari categorie di lavoratori,
come i turnisti.
E lo “ stress cronico, fisico e psicosociale,
rappresenta un rischio per la nostra salute. Numerosi studi clinici ed
epidemiologici lo vanno dicendo ormai da tempo e il ventaglio di
patologie associate allo stress è divenuto oggi molto ampio, dalle
malattie infettive a quelle croniche metaboliche, fino ai tumori”.
A parlare in questi termini dello
stress, con riferimento a diversi studi e pubblicazioni, è un intervento al
convegno “
La prevenzione dei rischi da
stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione” (8
novembre 2013, Università degli studi di Urbino). Intervento che è stato
pubblicato, insieme agli altri atti del convegno, tra i “Working Papers” di Olympus, con il titolo “ La
prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche
di valutazione - Atti del Convegno Urbino - 8 novembre 2013”.
In “
Effetti dello stress sui sistemi biologici. Possiamo misurarli?”, a
cura di Andrea Minelli (professore associato di Fisiologia nell’Università di
Urbino Carlo Bo) e Roberta De Bellis (ricercatrice
di Biochimica nell’Università di Urbino Carlo Bo) si ricorda che gli animali,
uomo compreso, “sono sistemi biologici ‘aperti’ che interagiscono costantemente
con l’ambiente fisico e sociale che li circonda e che, a fronte delle
sollecitazioni sempre mutevoli che ricevono dall’ambiente, devono mantenere la
stabilità e l’efficienza dei parametri fisiologici adottando comportamenti
adeguati”. In definitiva lo stress è una “risposta di accomodazione
allostatica” (nel modello allostatico le funzioni mentali “vengono integrate
nei processi di regolazione degli stati fisiologici e corporei”), è una
risposta adattativa, “nella quale si
riconosce il ruolo dei fattori fisici, ma anche di quelli psico-cognitivi e
affettivi”.
E se lo stress acuto induce
risposte adattative vitali per l’organismo,
“quando lo stress diventa cronico, se gli eventi stressanti sono prolungati o
si ripetono frequentemente, allora le modificazioni fisiologiche divengono meno
‘elastiche’ e non più completamente reversibili”. Insomma lo stress cronico, “tramite
il graduale processo di accumulo di carico allostatico sui sistemi biologici,
va a costituire le basi fisiopatologiche comuni che contribuiscono allo
sviluppo di patologie croniche molto diverse fra loro, metaboliche e
neuro-psichiatriche, cardiovascolari e infettive, fino a quelle oncologiche”.
Rimandando ad una lettura
integrale dell’intervento, che si sofferma nel dettaglio sugli aspetti della
misura del carico allostatico e sugli indici correlati, l’intervento indica che
il modello allostatico “propone che, per avere un quadro accurato degli effetti
biologici e del rischio clinico correlati allo stress cronico, occorre valutare
la funzionalità dell’intero network nel suo complesso, misurando
‘collettivamente’, in fase sub-clinica, le disfunzioni dei mediatori primari
insieme ai loro effetti secondari. E la
valutazione
del carico allostatico “effettuata già in fase preclinica e asintomatica,
potrebbe rappresentare un obiettivo importante in ottica di screening e di
prevenzione dei rischi biologici associati allo stress”.
Ricordiamo che con “carico
allostatico” - descritto nell’intervento con riferimento a diversi studi - si
possono intendere quelle modifiche o, a lungo andare (specialmente se i
processi adattativi diventano cronici o inefficienti), quel prezzo che
l’organismo deve pagare per adattarsi alle condizioni mutevoli che affronta.
I relatori mostrano come l’
indice multi-sistemico di carico
allostatico possa rappresentare un “buon predittore di rischio clinico”. Ma
possiamo “utilizzare l’indice aggregato per misurare gli effetti biologici
dello stress cronico”? Nell’intervento vengono presentate varie evidenze che
possono essere addotte a sostegno della relazione fra stress cronico e carico
allostatico.
Veniamo infine a parlare di
carico allostatico e stress
lavoro-correlato.
L’utilità di avvalersi di un
indice aggregato multi-sistemico di carico allostatico è mostrato in vari
esempi.
Ne riprendiamo alcuni:
- “in Germania, operai anziani
con elevati carichi di lavoro mostravano livelli più alti di carico
allostatico, particolarmente nei parametri cardiovascolari e infiammatori
(Schnorpfeil, 2003);
- in un gruppo di lavoratrici
svedesi impiegate in sanità pubblica, i tempi di recupero dopo attività
lavorativa intensa erano positivamente correlati con il livello di carico
allostatico misurato prevalentemente su variabili metaboliche, cardiovascolari
ed antropometriche (Von Thiele, 2006)”.
Le evidenze riportate nell’intervento
incoraggiano “
l’impiego di un indice
multi-sistemico di carico allostatico al fine di valutare e monitorare nel
tempo gli effetti dello stress cronico in ambiente di lavoro. Istituti di
sorveglianza e prevenzione, avvalendosi di indici di questo tipo, potrebbero
identificare precocemente gruppi di lavoratori particolarmente vulnerabili a
subire le conseguenze fisiche e psicologiche dello stress cronico
lavoro-correlato, con conseguenze che ricadrebbero sulle loro capacità e
prestazioni professionali in primis, ma anche sulle loro traiettorie di salute”.
Senza dimenticare che il carico
allostatico può regredire. Infatti su lavoratori particolarmente vulnerabili, “identificati
in fase preclinica e ancora asintomatica, si potrebbero attuare strategie di
intervento mirate di riduzione dello stress, a beneficio del lavoratore stesso
del datore di lavo, nonché della comunità intera”.
Ad esempio alcuni dati mostrano
come “interventi mirati ad incrementare la flessibilità e il controllo dei
lavoratori sul proprio orario
di lavoro sembrano avere effetti molto positivi sugli end-point
considerati, sia quelli primari (pressione arteriosa e frequenza cardiaca,
qualità del sonno, fatica, benessere mentale, stato di salute percepita), che
quelli secondari (senso di comunità e di supporto dall’ambiente lavorativo)”.
Veniamo alle
conclusioni dei relatori.
L’indice aggregato di carico
allostatico fornisce un “utile strumento di previsione del rischio biologico,
diverso rispetto agli indici di rischio tradizionali, selezionati
essenzialmente in base al loro contributo specifico alle patologie per cui sono
usati quali predittori”. Un indice che, “incorporando informazioni riguardanti
una molteplicità di sistemi fisiologici diversi, coinvolti in maniera funzionalmente
intercorrelata nei processi allostatici di adattamento, è in grado infatti di
rispecchiare più compiutamente gli effetti cumulativi del carico allostatico
sul nostro organismo (Juster, 2010). Queste caratteristiche lo rendono uno
strumento particolarmente adatto a valutare gli effetti biologici dello stress
psico-sociale cronico, compreso quello che si verifica in ambiente
lavorativo”.
Olympus - Osservatorio per il
monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del
lavoro, “ La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili
normativi e metodiche di valutazione - Atti del Convegno Urbino - 8 novembre
2013”, a cura di Luciano Angelini (Professore aggregato di Diritto del
lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo e Condirettore di Olympus), Working
Paper di Olympus 31/2014 inserito nel sito di Olympus il 6 marzo 2014 (formato
PDF, 978 kB).
RTM
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