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"Sulla responsabilità del DDL per insufficiente valutazione dei rischi"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

17/12/2012 -
Commento a cura di G. Porreca.
 
In questa sentenza la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire quanto già in passato è stato dalla stessa messo in evidenza. L’oggetto della sentenza è la valutazione dei rischi che le disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro pongono indelegabilmente a carico del datore di lavoro il quale è tenuto alla individuazione ed alla catalogazione di tutti i rischi presenti nella propria azienda e che possono correre i lavoratori che operano nella stessa. In una mancata o insufficiente valutazione dei rischi fatta dal datore di lavoro, ha sostenuto la suprema Corte, si profila una precisa condotta omissiva da parte dello stesso per cui in caso di infortuni che risultino associabili all’assenza o carenza di tale valutazione si individua nel comportamento del datore di lavoro stesso una specifica colpa per quanto accaduto.
 
L’evento infortunistico e l’iter giudiziario
Il Tribunale, in composizione monocratica, ha assolto i soci accomandatari di una società dal reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di un lavoratore dipendente e dalla contravvenzione di cui al D. Lgs. n. 626/1994, articolo 4 e articolo 5, lettera f), comma 2, lettera b), quanto al primo perché il fatto non costituisce reato e quanto al secondo perché il fatto non sussiste. Ai due imputati era stato contestato il reato di cui all'articolo 589 cod. pen. aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica per aver cagionato la morte di un lavoratore avente la qualifica di gruista, il quale, mentre era impegnato in operazioni preliminari di scarico di rotoli di lamiere in acciaio e di perlustrazione dei luoghi nella stiva di una nave, all'interno della quale si accedeva per mezzo di una scala fissa con pioli di ferro alta circa m.5,35 formata da due tronconi in ferro sfalsati, con un piano intermedio posto a circa tre metri da terra, è caduto all'interno della stiva stessa mentre scendeva le scale decedendo per trauma cranico senza indossare il casco e senza avvalersi di una cintura di sicurezza.
 
Avverso la decisione del Tribunale sia il Procuratore della Repubblica che le parti civili costituite hanno proposto ricorso alla Corte di Appello che però ha confermata la sentenza emessa nel giudizio di primo grado. In particolare la Corte territoriale non ha ravvisato profili di colpa a carico dei due imputati, con riferimento in particolare al fatto di non aver preteso da parte del lavoratore infortunato l'uso dei mezzi di protezione personale, e cioè del casco e della cintura di sicurezza allorquando scendevano nella stiva nelle condizioni indicate nel capo di imputazione. Per la discesa nella stiva, ha sostenuto la Corte di Appello, non vi era nessun obbligo per gli operai di indossare un copricapo finalizzato a riparare dalla caduta di oggetti dall'alto e per quanto riguarda l’utilizzo della cintura di sicurezza la Corte territoriale ha osservato che gli imputati avevano previsto, nel caso di attività che comportassero rischi di caduta, l’uso di una apposita cintura di sicurezza tanto che le avevano acquistate e le avevano messe a disposizione dei lavoratori. La Corte stessa comunque aveva ritenuto che la discesa nella stiva di una nave attraverso un'apposita scala a pioli non era attività che comportasse il rischio di caduta dall'alto affidandosi anche al giudizio dell'ispettore del lavoro che ha svolto i sopralluoghi il quale non aveva avvertito la sensazione di pericolosità della manovra dal momento che anche lui era sceso nella stiva senza utilizzare alcuna imbracatura.
 
Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso tale sentenza della Corte di Appello le parti civili costituite hanno proposto ricorso per Cassazione chiedendo l'annullamento della stessa per quanto riguarda gli aspetti civilistici e, nell'ipotesi in cui il Procuratore Generale abbia proposto ricorso in cassazione, anche per quanto riguarda la responsabilità penale dell'imputato. Le parti civili ricorrenti ponevano in evidenza nel ricorso, in primo luogo, come la discesa nella stiva fosse una operazione ben più pericolosa di quanto ritenuto dalla Corte territoriale per la presenza di un boccaporto di circa cm. 60-65 (senza pioli), che bisognava scavalcare per entrare all'interno della stiva e per raggiungere i pioli posti sulla parete, operazione quest’ultima che richiedeva quindi l'utilizzo dei presidi di sicurezza. Le parti civili ricorrenti ravvisavano quindi la responsabilità degli imputati per aver fatto lavorare il dipendente  infortunato senza casco e senza cintura di sicurezza, pur essendo l'attività da lui espletata, e cioè l'accesso alla stiva, pericolosa, trattandosi di un luogo buio, non facilmente raggiungibile e tra l’altro con il primo piolo della scala che si trovava a circa 80 centimetri sotto il bordo del boccaporto.
 
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso perché lo ha ritenuto fondato e nel fare ciò ha formulato delle considerazioni sull’obbligo in generale della valutazione dei rischi. La stessa, dato per certo che il lavoratore deceduto stava scendendo nella stiva senza utilizzare né casco di protezione né cintura di sicurezza, ha osservato che la Corte di Appello aveva affermato in modo assolutamente apodittico che " la discesa nella stiva di una nave attraverso un'apposita scala a pioli fissata al muro non era attività che comportasse il rischio di caduta dall'alto". La stessa Corte di Cassazione ha posto in evidenza che “ il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 stabilisce che il datore di lavoro valuta tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e a tale fine elabora il Documento programmatico della Sicurezza, che contiene la relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa e l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale”. La stessa ha precisato ancora che “ ai sensi del sopra indicato articolo 4 il datore di lavoro deve adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, designando preventivamente, nell'affidare i compiti agli stessi, chi di essi abbia le capacità tecniche, fornendo loro i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, prendendo le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongano ad un rischio grave e specifico, e richiedendo l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”.
 
La Corte territoriale”, ha quindi concluso la Sez. IV, “ avrebbe pertanto dovuto considerare se, e in che modo, il datore di lavoro avesse dato osservanza alle norme cautelari fondamentali in tema di tutela della salute, prima fra tutte quella relativa alla valutazione dei rischi” per cui, alla luce delle considerazioni svolte, ha annullata la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
 
 

 

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