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" Garantire la sicurezza nei momenti di riposo e di sospensione dei lavori"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
27/01/2014 -
Il commento
Due i concetti ribaditi dalla Corte di Cassazione in questa
sentenza uno è quello relativo agli obblighi ed alle responsabilità in
materia di sicurezza sul lavoro del coordinatore per l'esecuzione il
quale è titolare di una autonoma posizione di garanzia che, nei limiti
degli obblighi specificamente individuati dalle disposizioni vigenti, si
affianca a quelli degli altri soggetti destinatari delle norme
antinfortunistiche e che ha il compito, oltre che di assicurare il
collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di
realizzare la migliore organizzazione, di vigilare sulla corretta
osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle
stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia
dell'incolumità dei lavoratori, con conseguente obbligo di sospendere,
in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni e l’altro è
che la sicurezza dell'ambiente di lavoro deve essere garantita
indipendentemente dalla attualità della attività e quindi anche in
momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la pronuncia di primo
grado con la quale il committente ed il coordinatore per l’esecuzione di un
cantiere edile erano stati assolti, perché il fatto non sussiste, dal delitto
di omicidio colposo in danno del datore di lavoro della ditta appaltatrice
rimasto infortunato nel corso di lavori, appaltati dal Comune all’impresa della
vittima, di scavo e di posa in opera di tubi di una fogna "bianca" da
installare in adiacenza ad una
fogna nera preesistente.
Agli imputati era stato addebitato che avevano consentito
che l’infortunato scendesse all'interno dello scavo senza che esso fosse
provvisto di pareti protettive, sicché lo stesso rimaneva travolto, a circa tre
metri di profondità, da un improvviso smottamento del terreno che lo seppelliva
cagionandone la morte. Secondo la corte di merito l'incidente era da ricondurre
alla mera imprudenza della vittima che era sceso nello scavo, senza alcuna
effettiva esigenza della lavorazione. Dall'istruttoria svolta ed in particolare
dalle deposizioni del C.T. del P.M. e del perito d'ufficio in appello era
emerso infatti che:
- l’infortunato era
il titolare della ditta che stava effettuando lo scavo ed era il dominus dei lavori
al momento dell'incidente;
- lo scavo era finalizzato alla posa di tubazioni di
fognatura;
- il lavoro veniva effettuato da un
escavatore e la necessità di entrare all’interno dello scavo vi era solo
dopo il posizionamento delle tubazioni, per procedere all'aggancio del nuovo
tubo a quello già posizionato;
- al momento dell'incidente, il tubo non era stato ancora
posizionato e quindi nessuna necessità tecnica imponeva al titolare della ditta
appaltatrice di scendere nello scavo;
- poco prima del fatto
la vittima aveva ordinato di sospendere il lavoro ed aveva detto ad un operaio
che andava giù per un bisogno fisiologico;
- tale condotta era
connotata da assoluta abnormità, considerato che la vittima era il titolare
della impresa e, quindi, aveva piena consapevolezza del rischio di scendere
nello scavo.
Alla luce di tali elementi emersi dall’istruttoria, la
Corte di Appello aveva quindi confermata l'assoluzione in ragione del fatto che
l'incidente era avvenuto esclusivamente per una abnorme condotta della vittima.
Il ricorso in
Cassazione e le motivazioni.
Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto
ricorso per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte di Appello
che il difensore della parte civile. Il Procuratore Generale in particolare ha
lamentato l’erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione laddove
il giudice di appello si era appiattito sulla motivazione del Tribunale, senza
tener conto o fraintendendo le conclusioni della perizia di ufficio, disposta
ai sensi dell'art. 603 c.p.p., che aveva certificato la insicurezza del
cantiere ed in particolare la necessità di effettuare lavori di contenimento in
quanto la presenza di operai all'interno dello scavo non era una remota
possibilità, ma rispondeva ad esigenze di normalità tecnica. La corte di merito
inoltre secondo il P.G. non aveva speso parole circa la possibilità di
configurare una corresponsabilità degli imputati, nonostante il comportamento
imprudente della vittima, essendo investiti questi, rispetto allo stesso di
un autonomo potere di controllo e verifica del rispetto della normativa
antinfortunistica.
La parte civile da parte sua ha lamentato l’erronea
applicazione della legge per avere il giudice di merito ritenuto abnorme ed
imprevedibile la condotta dell’infortunato laddove invece la discesa nello
scavo avveniva quotidianamente e non era solo una remota possibilità. Secondo
la stessa parte civile infatti la Corte di Appello non aveva tenuto conto degli
esiti della perizia di ufficio che aveva illustrato come la necessità di
discendere nello scavo era connessa a varie fasi della lavorazione e che, inoltre, la precauzione di porre il
cucchiaio della benna dell'escavatore sopra la testa del lavoratore era una
precauzione assolutamente insufficiente. La parte civile ha messo in evidenza
inoltre l’inosservanza delle norme di sicurezza di cui agli artt. 12,13 e 14
del D.P.R. n. 164 del 1956 che prevedono la necessità di approntare trincee
nelle ipotesi
di scavo ed a maggior ragione nel caso di specie ove il terreno appariva
ictu oculi friabile ed ha messo in
evidenza altresì che il rischio di smottamento era stato anche segnalato nel
piano di sicurezza redatto dallo stesso coordinatore che aveva il compito poi
in esecuzione dei lavori di controllare il rispetto del piano medesimo e di
provvedere al suo adeguamento. La parte civile ha dedotto, pertanto, che sia il
coordinatore che il committente erano titolari di autonome posizioni di
garanzia che si affiancavano e non erano comunque escluse da quella gravante
sullo stesso infortunato quale datore di lavoro appaltatore.
I difensori degli imputati con una propria memoria hanno
richiesto il rigetto del ricorso ed in particolare il coordinatore ha
evidenziato come il PSC ed il POS vietassero ai lavoratori di avvicinarsi allo
scavo e di scendere al suo interno e di non essere stato altresì avvisato della
necessità di deviazione di parte dello scavo in zona dove il terreno era più
friabile per la presenza di sottoservizi.
Le decisioni
della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione
ha
ritenuto fondato il ricorso presentato contro l’assoluzione del coordinatore
per la sicurezza ed ha invece rigettato quello presentato contro il committente.
In premessa la suprema Corte ha osservato che la perizia di ufficio, circa la
necessità di accesso allo scavo da parte dei lavoratori, aveva evidenziato come
ciò avvenisse con regolarità per livellare il piano della trincea, per
sganciare i tubi dalla loro imbracatura al momento della posa, per controllare
il loro posizionamento e per provvedere al raccordo dei vari tronconi. Aveva
fatto presente, altresì, che, benché il lavoro fosse stato avviato da tempo, lo
scavo non era provvisto di pareti laterali di sostegno mentre il primo comma
dell'art. 13 del D.P.R. n. 164 del 1956 (vigente all'epoca dei fatti) stabiliva
che "
Nello scavo di pozzi e di
trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia
sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle
pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, all'applicazione
delle necessarie armature di sostegno".
Con riferimento alla sentenza impugnata la suprema Corte ha
precisato che il giudice di appello, nel confermare l'assoluzione, nonostante
abbia rilevato che nei giorni antecedenti al fatto vi erano state persistenti
piogge, tali da rendere il terreno umido, scivoloso e "non compatto";
aveva ritenuto che in ogni caso le armature delle pareti non fossero state
necessarie, in considerazione del fatto che nello scavo la discesa di
lavoratori era occasionale e non era prevista la presenza stabile di persone.
Secondo la Sez. IV l’affermazione fatta dalla Corte di Appello si è posta in
contraddizione sia con le deposizioni raccolte, che con i chiari esiti della
perizia richiamata in sentenza, laddove è stato messo in evidenza che era
previsto che
la discesa dei lavoratori
avvenisse per una pluralità di operazioni da svolgere quali livellare il
piano della trincea, sganciare i tubi dalla loro imbracatura al momento della
posa, controllare il loro posizionamento, provvedere al raccordo dei vari
tronconi e non ha tenuto conto inoltre del fatto che l'adozione delle cautele
era indicata esplicitamente sia nel Piano di Sicurezza e coordinamento redatto
dallo stesso coordinatore che nel Piano Operativo di Sicurezza redatto
dall'appaltatore e sul cui rispetto il coordinatore per la sicurezza era tenuto
a vigilare, ai sensi dell'art. 5 lett. b) del D.P.R. n. 494 del 1996, anche in
relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute.
La Corte di Cassazione ha quindi messo in evidenza che le
censure dei ricorrenti avevano pertanto colto nel segno laddove avevano
lamentato la erronea applicazione della legge, in particolare dell'art. 13
D.P.R. n. 164 perché in realtà le norme di sicurezza, nel prevedere la
necessità di allestimento di pareti, non condiziona tale adempimento
all'ipotesi in cui all'interno dello scavo stazionino stabilmente lavoratori,
ma prevede tale presidio di sicurezza anche per le ipotesi in cui al suo interno
si debba scendere per un limitato periodo di tempo. Irrilevante inoltre, ha
ritenuto la suprema Corte, era il fatto che al momento dell'incidente non vi
fosse stato, nella parte interessata dal sinistro, il posizionamento delle
tubature perché, come più volte ha precisato la Corte di legittimità "
in tema di prevenzione infortuni sul lavoro
concernenti scavi di pozzi o trincee (art. 13 D.P.R. n. 164 del 1956),
l'obbligo di provvedere all'applicazione di armature di sostegno delle pareti,
quando la consistenza del terreno non dia sufficienti garanzia di stabilità,
sussiste a partire dal momento in cui lo scavo raggiunge la profondità di metri
uno e cinquanta e deve essere adempiuto prima di procedere oltre
nell'escavazione, occorrendo, inoltre, man mano che si procede nello scavo,
provvedere al contemporaneo armamento". Peraltro, ha quindi proseguito
la Sez. IV, l'assenza di armature aveva pacificamente interessato anche le
parti di scavo ove già era stata effettuata la posa delle tubazioni da cui si è
potuto dedurre che l'omissione delle protezioni era stato frutto di una precisa
scelta aziendale operata dalla stessa vittima in qualità di datore di lavoro
appaltatore.
Accertato il mancato rispetto dell'art. 13 relativo alle protezioni
dello scavo e del piano di sicurezza, la suprema Corte è entrata nel merito
se le stesse si sarebbero dovute porre per prevenire il rischio di smottamento
anche a fronte di una discesa della vittima nello scavo dettata non da esigenze
di lavoro ma per un bisogno fisiologico essendo stata sul punto lapidaria la
sentenza impugnata nel ritenere l'incidente non correlato alla violazione
considerato che il datore di lavoro era sceso nello scavo per motivi personali
e non di lavoro. In merito la suprema Corte ha posto in evidenza che la
circostanza che l'incidente fosse avvenuto non in un momento di posa delle
tubazioni non escludeva la causalità delle violazione delle norme di
prevenzione in quanto l'ambiente di lavoro era insicuro e solo il caso ha
determinato lo smottamento del terreno in un dato momento piuttosto che in una
altro. “
Del resto”, ha proseguito la
Sez. IV, “
questa Corte di legittimità ha
più volte ribadito la
necessità di
garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro, indipendentemente dalla
attualità della attività e, quindi, anche in momenti di pausa, riposo o
sospensione del lavoro”.
Passando all'analisi delle singole posizioni degli
imputati, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso proposto nei
confronti del coordinatore
per l’esecuzione ed ha ricordato in merito che secondo un consolidato
orientamento “
in materia di infortuni sul
lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ex art. 5 D. Lgs. n. 494
del 1996, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e
committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di
vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da
parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia
dell'incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in
relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in
caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni".
Nel caso in esame, ha sostenuto la suprema Corte, i lavori
erano in corso da circa due settimane e la circostanza dell'assenza delle
pareti dello scavo era visibile
ictu
oculi e pertanto il coordinatore
per l’esecuzione, nell'esercizio dei suoi poteri e nell'adempimento dei
suoi obblighi, avrebbe dovuto pretendere il rispetto delle misure di sicurezza,
eventualmente fino ad ordinare la sospensione dei lavori. Né può dirsi che
essendo la violazione delle norme di sicurezza frutto della condotta negligente
della stessa vittima, il verificarsi dell'evento fosse da attribuire esclusivamente
a quest'ultimo essendo infatti “
il
coordinatore per l'esecuzione, in materia di sicurezza sul lavoro, titolare di
una autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi
specificamente individuati dalle disposizioni vigenti, si affianca a quelle
degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche”. Per
quanto sopra detto, quindi, la Corte di Cassazione in relazione alla posizione
del coordinatore per l’esecuzione, ha
annullata
la sentenza di assoluzione con rinvio della sentenza stessa ad altra
sezione della Corte di Appello di provenienza affinché, nel rivedere la
sussistenza della responsabilità dell'imputato, si uniformasse ai principi di
diritto sopra illustrati.
Per quanto riguarda infine la
posizione del committente la Corte di Cassazione ha invece
rigettato il ricorso presentato nei suoi confronti perché ritenuto infondato.
Il committente infatti, secondo la Sez. IV, si era attenuto al rispetto delle
disposizioni del D. Lgs. n. 494 del 1996, vigente all'epoca dei fatti, avendo
nominato un coordinatore della progettazione ed esecuzione delle opere dotato
di specifica competenza tecnica. L’obbligo gravante sul committente, ha
concluso la suprema Corte, si concretizza nell’effettuare un "alta"
vigilanza che non può pretendere la presenza quotidiana sul cantiere,
soprattutto quando, come nel caso di specie, è stato nominato un coordinatore
per la esecuzione delle opere. L'assenza inoltre di informazioni di violazioni
alle norme di sicurezza da parte del coordinatore non aveva consentito di
attivare i suoi poteri di intervento.
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