News
"Spazi confinati: come identificarli?"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
27/03/2014 - A distanza di oltre un anno dalla sua entrata in vigore, è ancora molto
ampio il dibattito su quali ambiti possano essere considerati “ ambiente sospetto di inquinamento o confinato” e si evidenzia come ogni organizzazione interpreti quanto previsto dal D.P.R. 177/2011 secondo valutazioni più o meno restrittive.
Peraltro, più che la ricerca di
una classificazione dell’ambito operativo quale precondizione per applicare
adeguatamente qualsiasi misura di prevenzione e protezione, da individuarsi a
seguito di una corretta identificazione e valutazione dei rischi in molti casi,
quanto in corso, sembra assumere più che altro un modo per costituire una
posizione di tutela cautelare preventiva a prescindere dall’effettivo livello
di rischio presente o prevedibile.
D’altra parte proprio la
pedissequa applicazione di quanto previsto dal Decreto favorisce questa
posizione. Infatti, qual è la
definizione
di questi specifici luoghi di lavoro presente nell’ambito del Decreto la
cui identificazione fa scattare l’obbligo di qualificazione da parte di chi
deve accedervi per compiere delle attività?
Leggiamo: Art. 1 Finalità e
ambito di applicazione - 2. Il presente regolamento si applica ai lavori in
ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui
all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo …ovvero (art. 66) pozzi
neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e
recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas
deleteri (art. 121), pozzi, fogne, cunicoli, camini e fossero in genere (all.
IV), vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos e simili.
Da più parti si evidenzia come la
rigidità che è imposta dall’attuale testo normativo, ad esempio, potrebbe
facilmente portare a generalizzare l’ applicazione
del DPR 177/2011 a prescindere dall’effettivo livello di rischio e condurre
le aziende a predisporre misure di prevenzione eccessivamente rigorose, anche a
fronte di rischi di lieve entità.
Nel caso specifico, infatti, in
assenza di una puntuale e approfondita analisi differenziale del rischio, si
potrebbero creare le condizioni per cui diversi committenti (tanto per non
sbagliare) potrebbero applicare quanto previsto dal D.P.R. 177/2011 in modo fin
troppo restrittivo, con il pericolo di attivare scorciatoie o applicazioni
formali del disposto normativo, ritenuto troppo complesso e difficile da
attuare, da parte delle ditte incaricate dei lavori. Facendo riferimento a
quanto è possibile riscontrare nel web si nota come, per la classificazione del
luogo di lavoro, molti siti pongono l’accento in particolare sulle
caratteristiche geometriche di tali ambiti operativi (indicando come questi
siano dotati di limitate vie di accesso o uscita), ma questo concetto può
essere fuorviante e quindi sarebbe opportuno spiegare meglio a cosa ci si
riferisce. Ad esempio, considerato che una delle indicazioni per
l’identificazione di un ambiente sospetto di inquinamento o confinato è che sia
caratterizzato da “
limitate vie di
accesso o uscita”, in accordo con quanto indicato nei
Confined Spaces Programs, si potrebbe intendere la presenza di una
o più delle seguenti condizioni:
- aperture con diametro minore di
60 cm;
- difficoltà di accesso indossando
un autoprotettore o altro dispositivo di salvataggio;
- difficoltà di recupero di un
lavoratore caduto a terra che si trova in posizione rannicchiata;
- passaggio dalla via di
accesso/uscita reso difficoltoso dalla presenza di scale, paranchi, tubo
ventilazione, ecc...
Bisogna peraltro considerare che
le norme internazionali, più che a una rigida classificazione dei luoghi in base
alle caratteristiche geometriche, fissano l’attenzione sulla possibile
esistenza o generazione di una situazione di IMMEDIATELY DANGEROUS TO LIFE OR
HEALTH (
IDLH), in altre parole
qualsiasi condizione che può esporre il lavoratore a una minaccia immediata per
la sua vita o salute, o che può causare effetti negativi irreversibili sulla
salute, o che potrebbe interferire con la capacità di un individuo di fuggire
in modo autonomo da uno spazio confinato soggetto a permesso d’ingresso. A
questo concetto di IDLH varrebbe la pena di fare riferimento nell’applicazione
del Decreto e nella futura redazione di buone prassi.
L’eccessiva generalizzazione
nella definizione di ambiente confinato,
basata unicamente sulla possibile categorizzazione legata alla configurazione
geometrica dell’ambiente, infatti, potrebbe influire in modo negativo
sull’attenzione dedicata all’individuazione dei pericoli (presenti o
potenziali) e valutazione dei rischi.
A questo riguardo, se si volesse
fare riferimento alla
normativa statunitense,
che è certamente una tra le più articolate, è opportuno evidenziare che le
norme OSHA hanno oltre cinque definizioni diverse di
confined spaces a secondo del contesto in cui ci si trova a operare
(le definizioni si trovano nelle norme 29 CR OSHA 1910.146, 1926.21 1915 Subpart B, 1917, 1917 1917.2, 1918, 1918.2) e
anche le norme NFPA danno due diverse definizioni nelle norme 1670 e 1006.
La definizione più generale,
prevede che sia definito come
confined space uno spazio in cui si
può entrare completamente con il corpo e compiere un’operazione, che ha
limitate vie di accesso o uscita, e che non è progettato per essere occupato in
modo permanente. Ma questo non esaurisce il tema. Infatti, oltre
all’indicazione geometrico/spaziale dell’ambiente, la normativa statunitense
classifica i
confined spaces, anche
in funzione del loro livello di pericolo, secondo tre classi:
classe A = immediatamente pericolosi per la vita;
classe B = pericolosi per la vita, ma non immediatamente;
classe C = potenzialmente pericolosi per la vita.
Ad esempio, per quanto concerne
la concentrazione di ossigeno alla pressione atmosferica a livello del mare, si
ha:
classe A= concentrazione ≤ 16% e
≥ 25%;
classe B= concentrazione compresa
fra 16,1 e 19,4% o 21,5 e 25%;
classe C= concentrazione compresa
fra 19,5 e 21,4%.
Mentre per quanto riguarda la
concentrazione di un gas infiammabile, si ha:
classe A= concentrazione 20% del
limite inferiore di infiammabilità;
classe B= concentrazione compresa
fra 10 e 19% del limite inferiore di infiammabilità;
classe C= concentrazione ≤ 10%
del limite inferiore di infiammabilità.
Secondo la classificazione
attribuibile al
confined space, sono
previste una serie di prescrizioni (dal permesso di accesso obbligatorio, alla
ventilazione, al monitoraggio preliminare e/o continuo, ecc.) con l’unica nota
che quand’anche a un
confined space sia
stata preventivamente attribuita una certa classe, è sempre possibile (anzi è
espressamente previsto che venga fatto) eseguire la sua riclassificazione in
funzione dell’evoluzione delle lavorazioni e/o delle variazioni nelle
condizioni di sicurezza che originariamente erano state verificate per definire
l’iniziale classificazione dell’ambiente. Una volta identificato un
confined space, inoltre, la norma prevede
due ulteriori possibili categorie
Permit-required
confined spaces e
NON-Permit required
confined spaces (spazi confinati per i quali è necessario/ non è necessario
un permesso di accesso). Alla prima categoria (
permit required) appartengono i
confined
spaces in cui sono presenti (o si presume ragionevolmente siano presenti)
rischi elevati, in particolare:
- contengono o possono
potenzialmente contenere un’atmosfera pericolosa;
- contengono materiali che hanno
il potenziale di far sprofondare (
to engulf)
chi entra nell’ambiente;
- hanno una configurazione
interna che presenta dei pericoli;
- contengono altri pericoli noti
per la salute o la sicurezza dei lavoratori.
In questi spazi notoriamente o
potenzialmente pericolosi, l’accesso è quindi consentito soltanto previa
emissione di un “
permesso di accesso”
redatto dal datore di lavoro o da persona da lui delegata.
Alcuni esempi sono:
- spazi confinati in cui sono
presenti, in concentrazione pericolosa, metano, monossido
di carbonio, acido solfidrico, azoto, esalazioni alcoliche (vino, mosto);
- spazi confinati in cui sono
presenti polveri, farine, grano, cereali, materiale sciolto e simili;
- spazi confinati in cui sono
possibili arrivi improvvisi di liquidi o sostanze solide.
Alla seconda categoria (
Non-permit required) appartengono i
confined spaces che:
- non contengono o possono
potenzialmente contenere un’atmosfera pericolosa;
- non contengono rischi tali da
causare un infortunio grave o danni fisici (questo con riferimento a ogni pericolo
individuabile per la salute e la sicurezza, inclusi lo sprofondamento in
materiale incoerente, lo shock elettrico e i rischi meccanici da parti in
movimento).
Peraltro, se dovesse diventare
necessario entrare all’interno di uno spazio inizialmente classificato come
Non-permit required per rimuovere una
fonte di pericolo/rischio, l’ambiente dev’essere riclassificato come
Permit-required (con tutto quello che ne
consegue) fintanto che il pericolo/rischio non sia stato eliminato.
Appare quindi evidente come
un’adeguata articolazione della
classificazione del luogo di lavoro che, come punto di riferimento, non
assuma solamente il contesto geometrico o la definizione del luogo (es.
vasca..) ma invece punti sull’individuazione dell’effettivo livello di rischio,
rappresenta certamente il modo più corretto
per approcciare al problema. Per fare un esempio, proprio in tema di
vasche, bisogna evidenziare che la normative OSHA al punto §1926.21 Safety
training and education. (Partial),
prevede che (ii) For purposes of paragraph (b)(6) (i) of this section,
“confined or enclosed space” means any space having a limited means of egress,
which is subject to the accumulation of toxic or flammable contaminants or has
an oxygen deficient atmosphere. Confined or enclosed spaces include, but are
not limited to, storage tanks, process vessels, bins, boilers, ventilation or
exhaust ducts, sewers, underground utility vaults, tunnels pipelines, and open
top spaces more than 4 feet in depth such as pits, tubs, vaults, and vessels. Secondo
quanto sopra riportato, quindi, operare all’ interno
di una vasca a cielo libero profonda anche solo circa 1,3 metri che però
potrebbe essere soggetta all’accumulo di agenti chimici tossici o infiammabili,
può costituire una condizione di pericolo.
Sebbene a chi analizzi il
problema, basandosi solo sulla valutazione geometrico/dimensionale del luogo,
possa sembrare poco probabile il verificarsi di un incidente (.. si potrebbe
infatti pensare che, in fondo, una persona di statura nella media in stazione
eretta all’interno della vasca ha la testa in aria libera e quindi non soggetta
a un’atmosfera pericolosa …), la triste cronistoria degli eventi ha dimostrato
come la condizione ipotizzata nell’ambito della normativa OSHA, sia invece
tutt’alto che improbabile.
In “Il pericolo di incidenti
nelle attività galvanotecniche – Scenari incidentali”, si descrivono le
conseguenze di un incidente occorso nel 1960 in Francia all’interno di una
piccola
vasca per la ramatura di oggetti
di alluminio, profonda 1,2 m, larga 1 m e lunga 2 m, completamente vuota,
che in precedenza aveva contenuto un bagno galvanico.
Al termine di alcune lavorazioni
che avevano comportato la formazione un sottile strato di cristalli insolubili
sulle parti della vasca, un operatore è entrato nella vasca per le attività di
rimozione, attività che stava eseguendo con una spugna e un secchiello di acido
solforico diluito al 15%.
Purtroppo in un angolo era ancora
presente circa 1 litro di soluzione (che non era stato possibile drenare a
causa delle caratteristiche costruttive del fondo della vasca) e quando l’uomo
si è inginocchiato per pulire, è stato intossicato dalle esalazioni che si sono
sviluppate ed è stramazzato nella vasca nella quale è stato ritrovato dai
colleghi, purtroppo senza vita, dopo circa una decina di minuti.
Quest’incidente, è stato causato
dalla miscelazione non intenzionale tra un acido e una quantità residua di
cianuri; un rapido calcolo permette di verificare come siano sufficienti
semplici tracce di cianuri per originare un’atmosfera mortale all’interno di
una vasca vuota e a trasformarla in una vera e propria “camera a gas”.
In altre parole, l’operatore,
inginocchiandosi, è di fatto “entrato” completamente con il corpo (e in
particolar modo con la testa) in un ambiente a ventilazione limitata
all’interno del quale, nonostante la superficie superiore fosse completamente a
cielo libero, si era sviluppata un’atmosfera pericolosa a seguito della
reazione chimica di sviluppo di un gas letale. Ma non solo l’ambito industriale
presenta una molteplicità di rischi associabili alle attività in ambienti
sospetti di inquinamento o confinati, anche l’ambito domestico può riservare
qualche sorpresa in questo senso. Nel dicembre del 2012 l’Health and Safety
Executive ( www.hse.gov.Uk)
ha emesso il bollettino OPSTD 3-2012 con il quale ha voluto informare coloro
che installano/manutenzionano e utilizzano impianti alimentanti a pellets di
legno, nonché chi produce o immagazzina questo combustibile, sui rischi
associati alla possibile produzione di monossido di carbonio durante il periodo
d’immagazzinamento.
Dal 2002, in Europa sono stati
registrati almeno
nove incidenti mortali
causati da avvelenamento da monossido di carbonio e, sebbene finora non
siano stati registrati incidenti nel Regno Unito, in considerazione della
diffusione nell’impiego di questo combustibile, il HSE ha ritenuto opportuno
sensibilizzare gli operatori e l’utenza su questo rischio potenziale in
considerazione della pericolosità del monossido di carbonio, poiché può
uccidere rapidamente senza preavviso impendo al sangue di portare ossigeno alle
cellule, tessuti e organi.
La prima indicazione del
pericolo, si ritiene sia da ricondurre al maggio 2002 quando un lavoratore è
deceduto e due sono rimasti intossicati durante le attività di scarico nel
porto di Rotterdam della stiva della Weaver Arrow caricata a Vancouver con
pellets di legno. Nonostante la successiva emanazione di una serie di norme di
sicurezza, nel 2006 nel porto di Helsingborg in Svezia, si è replicato un
incidente analogo a quello di Rotterdam con un addetto deceduto e diversi altri
intossicati.
Nel giugno del 2008 è accaduto un
incidente mortale che ha coinvolto due operatori addetti a lavorazioni
riguardanti silos
di stoccaggio di pellets di legno, mentre altri incidenti, fortunatamente
non letali, sono stati segnalati in Germania e Austria.
Dal 2010 al 2012 sono stati
registrati tre casi d’infortuni mortali a seguito dell’ingresso all’interno di
stoccaggi di pellets. In tutti e tre i casi gli infortunati sono entrati
all’interno dello stoccaggio del pellets per attività di manutenzione.
Il dettaglio dei casi è il
seguente:
- nel gennaio 2010, in Germania,
aprendo la porta di accesso a uno stoccaggio da 150 ton, un lavoratore è stato
investito da un’esalazione di monossido di carbonio che lo ha ucciso, il
collega che stava dietro di lui è rimasto intossicato;
- nel novembre 2010, in Irlanda,
un lavoratore è morto dopo essere entrato all’interno dello stoccaggio da 7 ton
di pellets che alimentava la sua caldaia, sua moglie e un altro uomo sono
rimasti intossicati durante il tentativo di estrarlo dalla stanza e sono stati
ricoverati in ospedale;
- nel febbraio 2011, in Svizzera,
la moglie di un custode è deceduta dopo essere entrata all’interno di un
deposito dove aveva stoccato 82m3 di pellets.
Gli impianti di elevata
potenzialità, tra cui anche alcuni impianti domestici, sono caratterizzati
dalla presenza di un locale deposito che, per mezzo di una tramoggia a tenuta,
alimentano la caldaia. A causa dell’ermeticità del magazzino e del sistema di
alimentazione, non c’è ricambio di aria e quindi all’interno del deposito si
può creare una atmosfera povera in ossigeno e ricca in monossido di carbonio.
Peraltro la sperimentazione ha dimostrato che anche stoccaggi modesti di
pellets, realizzati all’interno di locali angusti privi di un naturale ricambio
d’aria, possono produrre quantità letali di ossido di carbonio, questo anche
tenuto conto del fatto che, come già detto, il monossido di carbonio è un
asfissiante chimico e quindi, perché diventi pericoloso, non è necessario che
si venga a saturare completamente l’atmosfera interna all’ambiente, come invece
succede con gli asfissianti semplici.
Il Health and Safety Executive,
quindi, nel sottolineare il pericolo evidenzia nella propria pubblicazione una
serie di misure di prevenzione e protezione da attuare in caso di
attività di manutenzione in depositi di
pellets, anche quelli installati presso abitazioni private.
Su questi temi, si è svolto
recentemente in Austria, organizzato dell’European Pellets Council ( http://www.pelletcouncil.eu/),
un convegno, il First International Workshop on Pellet Safety “Enhancing safety
of pellet manufacturing, transport and use – what needs to be done?”
nell’ambito del quale sono stati affrontati i vari temi della sicurezza
associati all’utilizzo di questo combustibile.
A seguito del convegno, l’AIEL ( www.aiel.cia.it) ha pubblicato
un fascicolo dal titolo “Moderne caldaie e impianti a legna, cippato e pellet -
Tecnologie, aspetti progettuali, normativa nell’ambito del quale (pag. 51 e
seguenti) si affronta il problema della formazione di monossido di carbonio e
si danno indicazioni specifiche sulle modalità di accesso allo stoccaggio.
Inoltre si evidenzia come ProPellets Austria (una delle organizzazioni più
attive nel settore della promozione dell’utilizzo di questo combustibile), ha
avviato un gruppo di studio sul tema e inoltre suggerisce l’utilizzo di
specifiche valvole di chiusura, resistenti all’acqua e agli agenti atmosferici
che garantiscono il ricambio di aria all’interno dei depositi di pellets,
migliorandone la sicurezza. E’ stato anche predisposto uno specifico cartello
di ammonimento da porre all’esterno dei depositi di combustibile.
Conclusioni
Per affrontare correttamente il
problema della sicurezza negli ambienti
sospetti di inquinamento o confinati, bisogna riuscire a
non fermarsi alla categorizzazione di tali
ambienti cercando una sorta di “griglia decisionale” che consenta, anche a chi
non ha mai avuto modo di occuparsi di queste tipologie di attività, di poter
definire in modo automatico la classificazione di un ambiente come sospetto di
inquinamento o confinato. Magari mettendo una crocetta in corrispondenza di
qualche casella presente in generiche checklist preconfezionate.
Ogni ambiente e ogni situazione
sono un caso a parte, tenuto conto che nell’ambito di una corretta valutazione,
non si possono considerare solo i rischi presenti (ed evidenti) in relazione al
contesto; capacità di analisi ed esperienza giocano un ruolo fondamentale nella
previsione dei rischi, anche potenziali, che potrebbero interessare il luogo di
lavoro, definendo le misure di prevenzione e protezione necessarie per
garantire un adeguato livello di sicurezza nelle attività.
Questo significa anche svolgere
un attento lavoro di aggiornamento e ricerca, a livello nazionale e
internazionale, dei fattori di rischio noti e spesso, come nel caso
dell’impiego dei pellets, per lo più sconosciuti a molti. Ai fini della
sicurezza in questi luoghi particolari, è fondamentale identificare tutti i
rischi (reali o potenziali) così da poter eseguire un’approfondita e corretta
valutazione dei rischi, un addestramento efficace del personale operativo,
prevedere l’impiego di attrezzature idonee e pianificare sia le attività
ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in
essere e verificando che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende
o artigiani a operare in attività per le quali non sono né preparati né
attrezzati. In ogni caso, restano da risolvere i problemi strutturali (es.
passaggio di accesso spesso rappresentato da un’apertura circolare diametro 60
cm parzialmente ostruito dalla scala utilizzata dall’operatore, ecc.) e bisogna
anche considerare gli altri rischi specifici che non sono stati presi in
considerazione nel D.P.R. 177/2011 (luoghi conduttori ristretti, ecc.).
Appare quindi necessario e
urgente sia
rivedere il quadro normativo
di riferimento al fine di dirimere i vari problemi interpretativi del Decreto,
a cominciare dall’applicabilità dello stesso ai committenti in genere e non
solo ai datori di lavoro committenti, sia ricondurre la discussione su un piano
prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma
di riferimento da sviluppare sulla base di linee guida, norme e/o standard e
Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale.
Ing. Adriano Paolo Bacchetta
Coordinatore del network www.spazioconfinato.it
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1481 volte.
Pubblicità