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"Diritti e obblighi del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
02/04/2015 - Nel D.Lgs. 81/08, il secondo comma
dell'art. 20 ("Obblighi dei lavoratori") specifica le modalità
attraverso le quali assolvere all'obbligo generale di cui al comma 1:
comma 1. Ogni
lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella
delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti
delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Del secondo comma, specifica
rilevanza va evidenziata per la lettera
a).
Questa lettera, pur manifestando
il medesimo carattere impositivo delle rimanenti (il
"deve" dell'obbligo
generale rappresentato nel comma 1; e il
"devono", riferito
agli obblighi particolari del
comma
2 ), prospetta insieme la generale
qualità
collaborativa e propositiva che - anche secondo la direttrice comunitaria -
deve caratterizzare una corretta pratica della prevenzione:
a)
contribuire,
insieme
al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, nell'adempimento degli
obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
E' appena il caso
di richiamare come la direttiva madre (89/391/CEE) riferisca costantemente al
contributo di
“partecipazione equilibrata tra i datori di lavoro ed i
lavoratori e/o loro rappresentanti [per la sicurezza]
” (previsione,
purtroppo, ancora troppo spesso disattesa).
Peraltro, a seguito dell'entrata in vigore della legislazione di derivazione
comunitaria in materia di SSL (cd. <di seconda generazione>, cioè il
D.Lgs. 626/94 prima, ed il D.Lgs. 81/08 oggi), i lavoratori non sono più
considerati quali semplici creditori di sicurezza, in quanto tali solo
destinatari di garanzie rispetto alla propria salute e sicurezza. Ma sono
invece chiamati (obbligati) ad assumere un ruolo attivo nelle politiche delle
prevenzione.
Vediamo allora come nella lettera a), il verbo
"contribuire" assuma
particolare cogenza e mostri - nella collocazione preminente rispetto
al vecchio art. 5, comma 2, del D.Lgs. 626/94 - l'intenzione del
legislatore di investire il lavoratore di un proprio e autonomo ruolo
nel sistema e nella disciplina prevenzionali.
Al punto che il lavoratore stesso potrà, in determinate circostanze, divenire depositario di una specifica
posizione di garanzia iure proprio [1]:
“
La fonte dell'obbligo giuridico di
impedire l'evento, menzionato nel capoverso dell'art. 40 c.p. ["non
impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo"],
può consistere anche nella ‘
posizione di garanzia’ assunta di fatto
[2]
nei
confronti di altra persona, che implica l'obbligo giuridico di
comportarsi allo stesso modo di come sarebbe stato obbligato a
comportarsi il soggetto tenuto dall'ordinamento, a tali funzioni di
garanzia”, fosse esso il datore di lavoro, il dirigente, il preposto o il delegato ex art. 16.
La Corte di Cassazione, prosegue rilevando
come il D.Lgs. 626/94, art. 5 (ora, in modo rafforzato, D.Lgs. 81/08,
art. 20) abbia “
introdotto un nuovo principio: la
trasformazione
del lavoratore da semplice creditore di sicurezza nei confronti del
datore di lavoro a suo compartecipe nell'applicazione del dovere di fare
sicurezza
, nel senso che il lavoratore diventa garante,
oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri
compagni di lavoro o di altre persone presenti, quando si trovi
nella condizione, in ragione di una posizione di maggiore
esperienza
lavorativa, di intervenire onde rimuovere le possibili cause di infortuni sul lavoro”. (G.Porreca "
Sulla posizione di garanzia di fatto assunta dal lavoratore", commento a Cass.Pen. 01.09.2014, n.36452; in Puntosicuro, 7 gennaio 2015)
L'omissione della dovuta
collaborazione costituisce perciò
comportamento colpevole del lavoratore, rilevabile in sede giudiziaria. E
insieme violazione dell'obbligo contrattuale di correttezza e buona fede
(nell'adempimento del contratto), violazione che espone il lavoratore a misure
disciplinari.
Infatti essa, al vaglio giudiziario, può portare a dedurre
la responsabilità colposa del lavoratore, vale a dire che la condotta del
lavoratore abbia avuto efficienza causale nel verificarsi dell'evento lesivo
della sua propria integrità psicofisica. La norma posta a fondamento di tale
valutazione (e della decisione conseguente), è l'art. 41 del codice penale :
Art. 41
Concorso di cause......
Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute,
anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il
rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento. ...
Tale previsione àncora il datore di lavoro alla propria,
originaria, posizione
di garanzia; e dunque alla
responsabilità. E però il capoverso decide che:
Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando
sono state
da sole sufficienti a
determinare l'evento.
La qual cosa significa che qualora il comportamento del lavoratore
(la causa sopravvenuta) si qualifichi come abnorme - per ciò imprevedibile - e
allora da solo sufficiente
"a determinare l'evento", verrà a
interrompersi il nesso causale di cui alla prima parte dell'art 41, così
liberando il datore di lavoro da responsabilità. Responsabilità che, per
converso, ricadrà sul lavoratore.
Significa anche che - tenendo conto del criterio di
proporzionalità - il lavoratore risulterà sanzionabile sotto l'aspetto
disciplinare. (Si tratta qui del criterio di proporzionalità previsto dalla
contrattazione collettiva, e da applicarsi nei casi meno gravi. In quelli
invece rilevanti, ben potrebbe operare la stessa risoluzione del rapporto di
lavoro per la caduta del legame fiduciario che lega i contraenti nei contratti
a prestazioni corrispettive).
A conseguenza di
quanto sin qui considerato (che consegna, mi pare senza pregiudizi, il quadro
delle diverse responsabilità), appare evidente come il lavoratore abbia il
diritto di sottrarsi a situazioni di rischio, anche negando la prestazione lavorativa,
per la salvaguardia della propria e altrui incolumità.
Presupposto di
questo diritto è naturalmente l'inadempimento del datore di lavoro, in presenza del quale il lavoratore può far
valere la cd.
eccezione di inadempimento, ex art. 1460 cod.civ.,
rifiutando di eseguire la prestazione lavorativa rischiosa.
Art.
1460
Eccezione
di inadempimento
Nei contratti a
prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere
la sua obbligazione se l'altro non adempie o non offre di adempiere
contemporaneamente la propria, ...
La stessa
Cassazione civile ha stabilito che
"secondo il più recente orientamento
di questa Corte, il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di svolgere
la prestazione lavorativa ...può essere legittimo - e quindi non giustificare
il licenziamento- in base al principio di autotutela nel contratto a
prestazioni corrispettive enunciato dall'art. 1460 cod. civ., sempre che il
rifiuto sia proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e
conforme a buona fede" . (Cass, Civ. Sez.Lavoro,24.01.2013, n.1693)
Questo diritto,
e obbligo (ex art. 20, D.Lgs. 81/08),
non riferisce esclusivamente alle situazioni
di emergenza e di pericolo grave, immediato ed inevitabile, di cui agli
artt. 18, comma 1, lett. h), i), m), e 20, comma 2, lett. e), ma va posto in essere ogni
qualvolta in lavoratore si trovi nella condizione di dover, altrimenti, porre
in atto modalità rischiose di lavoro.
Articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente
1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui
all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività
secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:
h)
adottare le misure per il controllo delle
situazioni di rischio in caso di
emergenza
e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di
pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di
lavoro o la zona pericolosa;
i)
informare il più presto possibile i
lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio
stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
m)
astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di
tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la
loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e
immediato;
Articolo 20 - Obblighi dei lavoratori
2. I lavoratori devono in particolare:
e)
segnalare immediatamente al datore di lavoro,
al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi..., nonché
qualsiasi eventuale
condizione di
pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di
urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo
l’obbligo di cui alla lettera f) ["non
rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di
segnalazione o di controllo"]
per eliminare o
ridurre le situazioni di
pericolo grave
e incombente, dandone notizia al
rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza
;
Come si noterà, il cuore dell'obbligo giuridico è compreso
e risolto nel
"
qualsiasi condizione di pericolo".
A ciò conseguendo che, nell'impossibilità di segnalare o
nel caso di segnalazione non considerata, possa decidersi il diniego alla
prestazione lavorativa rischiosa. (In realtà:
debba decidersi il diniego; onde evitare di venirsi a trovare in
una posizione antigiuridica).
E' sempre la corte di Cassazione ad affermarlo:
"il
lavoratore sapeva (o era tenuto a sapere, in ragione della sua professione) che
per evitare sinistri l'area entro la quale la macchina operava doveva essere
delimitata e che
nell'impossibilità di
segnalare la mancanza di tale delimitazione al datore di lavoro o al suo
preposto doveva astenersi dal
lavoro per prevenire infortuni". (Cass.Pen. 13.02.2001, n. 5893)
Similmente, la Corte giudica che
"il mancato o non
completo adempimento, da parte del lavoratore, della prestazione secondo le
modalità specificate dal datore di
lavoro può, in ipotesi, trovare una sua giustificazione nell'adozione da parte
del datore di lavoro di misure
inidonee
a tutelare l'integrità fisica del prestatore di lavoro,". Il
lavoratore, però, per sua parte, dovrà aver provveduto
"ad informare il
datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare, ovvero ad evidenziare
l'inidoneità di quelle adottate."
[3] (Cass.Civ. Sez.Lavoro, 07.05.2013, n. 10553)
Naturalmente, (secondo i criteri di ragionevolezza e di
responsabilità), ciò non dovrà comportare l'addossamento del rischio ad altri:
colleghi, altri lavoratori o terzi.
Rispetto invece all'obbligo di adoperarsi direttamente - sia
pure nell'ambito delle proprie competenze e possibilità - in caso di urgenza e
in presenza di pericolo grave e incombente, deve valere un criterio
assolutamente prudenziale. Se infatti talvolta è sufficiente togliere
immediatamente l'alimentazione
elettrica, o utilizzare correttamente un estintore, non si deve però ripetere
la disperata e tragica lotta che nella notte del 6 dicembre 2007 portò alla
morte di sette operai nella fabbrica della ThyssenKrupp a
Torino.
Al proposito, non aiuta l'indeterminatezza della specifica norma
posta a tutela del diritto del lavoratore, l'art. 44 del D.Lgs. 81/08, pur se
"giustificata" dal suo carattere generale:
Articolo
44 - Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato
1.
Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere
evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può
subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza
dannosa.
2.
Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell’impossibilità
di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le
conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a
meno che non abbia commesso una grave negligenza.
Lo stesso utilizzo del termine
"pericolo" (Hazard)
da parte del legislatore sembra avere carattere psicologico, mentre, con ogni
probabilità, ci troviamo già in una condizione di
rischio (Risk) o,
talvolta, persino nell'eventuazione del rischio in danno.
Comunque - ed è ciò che qui preme -, quanto considerato
porta a sottolineare l'importanza capitale e inderogabile di puntuali
procedure
di sicurezza,
scritte e portate a
conoscenza dei lavoratori.
Si richiama che queste rappresentano contemporaneamente un
compito del Servizio di prevenzione e
protezione (art. 33, comma 1, lett. c); ) ed un obbligo - giuridicamente
indelegabile - per il datore di lavoro (art. 28, comma 2, lett. d);); e che la
loro osservanza, rappresenta altresì un obbligo, penalmente sanzionato, per il
lavoratore (art. 20, comma 2, lett. b)) :
"
b)
osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai
dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed
individuale;"
Dunque, entro i termini della diligenza, dell'esperienza e
della prudenza, il lavoratore che si sottragga a una condizione di rischio non
"controllato", non potrà essere imputabile, nè sanzionabile.
Per illustrare il caso opposto, si propone - a mero titolo
esemplificativo - una sentenza della Corte di Cassazione, chiamata a decidere
sulla responsabilità di un comportamento, poi giudicato
abnorme:
un lavoratore, dovendo svolgere lavori in altezza ed
essendo al momento occupato il carrello elevatore, posizionava con l'aiuto di
un altro operaio un cestello sopra le forche di un muletto facendosi con quello
sollevare. Il ribaltamento del cestello provocava una caduta da circa cinque
metri, con esito letale.
Già la Corte di appello, diversamente dal giudice di primo
grado, aveva giudicato che l'unico responsabile andasse individuato nel collega
di lavoro della vittima, il quale
"
coscientemente
aveva aiutato la vittima a porre in atto modalità pericolose di lavoro,
pur potendo rifiutare la collaborazione e
denunciare l'imprudenza."
La Corte di legittimità concludeva per la responsabilità di
questo lavoratore, argomentando che "
nessun rimprovero
può essere formulato [nei confronti del datore
di lavoro]
se la condotta pretesa non poteva considerarsi esigibile in
quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare". (Cass.7267/2010 cit.)
Ciò stà ad evidenziare che
"..
la posizione di garanzia è solo il presupposto giuridico della
responsabilità, la quale, poi, per essere concretamente affermata implica il
riconoscimento della “colpa” del garante." (Patrizia Piccialli
- Consigliere della IV Sezione penale della Corte di Cassazione
"Omicidio colposo e lesioni personali
colpose sul luogo di lavoro: condotta penalmente rilevante e interruzione del
nesso causale")
A conclusione, seguendo un'impressione non più che
personale, parrebbe anche che, nell'ambito del riconoscimento della colpa, stia
assumendo rilievo l'attenzione verso il cd.
principio di affidamento.
Il principio di affidamento - per quanto qui di interesse -
prevede che il datore di lavoro il quale abbia adempiuto ai suoi obblighi di
sicurezza, ha diritto di attendersi (fare legittimo affidamento) che il
lavoratore adempia correttamente ai suoi di obblighi: ossia che osservi
diligentemente
"
le disposizioni e le
istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai
fini della protezione collettiva ed individuale;", secondo la prescrizione che - nella gerarchia dell'art. 20,
procedente dal generale allo specifico -, è collocata nella lett. b) del comma
2.
“
A queste conclusioni,
d’altra parte, la stessa Corte di Cassazione era giunta in una precedente
sentenza del 1993, che, a quanto consta, rappresenta l’unico caso in cui si è
fatta applicazione espressa del principio di affidamento alla materia degli
infortuni sul lavoro”.
La Corte, nella sentenza in oggetto, era chiamata a giudicare la
responsabilità dei
“responsabili dell'organizzazione” rispetto ad una
esplosione disastrosa (verificatasi durante un travaso di carburante) causata dal comportamento - poi
giudicato gravemente colpevole - di due lavoratori; i quali, nella circostanza,
avevano perso essi stessi - insieme ad altre persone - la vita.
La Corte conclusivamente decideva per la non colpevolezza dei
responsabili dell'organizzazione, considerando che
“i due operai infatti,
erano altamente specializzati ed erano stati posti nelle condizioni migliori
..per svolgere il loro lavoro..”.
“
I responsabili
dell’organizzazione, dunque,
facendo
leva sul principio dell’affidamento, non
avevano alcun
valido motivo per sospettare che quei lavoratori, dotati di particolare
competenza, sarebbero venuti meno all’elementare dovere di stare svegli nel
momento della esecuzione di quella tutt’altro che difficile manovra di chiusura
di un rubinetto e di apertura di un altro rubinetto.” (cit. di Cass.
09.02.1993 in: Adelinda Moretti
“Cooperazione colposa e principio di
affidamento nei delitti colposi di evento causalmente orientati”, cap. II,
par. IV: Il principio di affidamento nel rapporto tra datore di lavoro e
lavoratore; 2005).
Per inverso (nel senso cioè di decidere la non invocabilità del
principio di affidamento) si è pronunciata di recente la Cassazione:
“Non è neanche
utilmente invocabile nel caso in esame il
principio
di affidamento, in forza del quale il soggetto titolare di una posizione di
garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un
evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa
ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di
garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo
affidamento.
Come costantemente
affermato da questa Corte (v. da ultimo, Sez. IV, 24 gennaio 2012, n.
14413,
Cova ed altri, rv. 253300), il principio di affidamento non è invocabile sempre
e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della
salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione
di garanzia...
In altri termini,
non può invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando
colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme
precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi
che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la violazione o
ponga rimedio alla omissione: ...” (Cass.Pen.
30.08.2013, n. 35827).
Recentissima,
invece, la pronuncia della Cassazione civile, la quale confuta
“il principio
di diritto esposto dalla Corte di merito secondo la quale <la responsabilità penale può essere
affermata non quando manchi semplicemente la
prova liberatoria di aver
tutelato l'incolumità dei dipendenti [che
è appunto a base del principio di affidamento, ex art. 1218 cod.civ.]
, ma
soltanto[quando]
sussista la prova positiva della omissione di
comportamenti doverosi>”.
E
lo confuta sulla base del
“consolidato orientamento di questa Corte.. secondo cui ...
"in presenza di una fattispecie contrattuale che,
..obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare
l'integrità fisica e psichica dell'altro (ai sensi dell'art. 2087 c.c.),
la fattispecie astratta di reato è
configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro
per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c.
..”.
(Cass.Civ., Sez.Lav. 03.02.2015, n. 1918)
Art. 1218
Responsabilità del debitore.
Il debitore [qui il datore di lavoro, debitore generale
di sicurezza]
che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al
risarcimento del danno,
se non prova
che l'inadempimento [...]
è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Anche se il
legittimo affidamento è solitamente ricondotto alla clausola generale di buona
fede - e dunque alle corrispondenti norme del codice civile, relative alla
formazione ed esecuzione del contratto -, la
“prova liberatoria” può
dirsi si ponga a base del principio di affidamento in quanto determina la
“prova”
dell'esatto adempimento di sicurezza. Così giustificando nel datore di lavoro
il legittimo affidamento sull'operato del lavoratore in rispetto delle misure
correttamente adottate.
Perché possa operare
il principio di affidamento, non sarà tuttavia ancora sufficiente che il datore
di lavoro abbia adempiuto ai suoi obblighi di tutela, se non ha posto in essere
- anche tramite le diverse figure a ciò preposte - un comportamento vigile
sull'osservanza da parte del lavoratore dei doveri suoi propri, ex art.
20. Infatti il principio di affidamento
deve confrontarsi col
principio di non acquiescenza, il quale è
connaturato dall'obbligo per il datore di lavoro di verificare (
"in
concreto ..avere la consapevolezza..") il rispetto da parte del lavoratore delle misure preventive e
protettive adottate; altrimenti configurandosi una sua
culpa in vigilando
(colpa per omessa vigilanza).
Né potrà, il
principio, operare
"
con riguardo a quelle
norme cautelari, che prescrivono misure ispirate al
principio di sicurezza
obiettiva [strutture, impianti,
macchinari, dispositivi]
cioè non dipendenti dalla collaborazione del
lavoratore", o
"nella ipotesi in cui il datore di
lavoro, ed i soggetti ad esso equiparati, abbiano avuto occasione di percepire
l’esistenza di una prassi lavorativa in violazione della normativa
antinfortunistica -che presuppone, quindi, la durata nel tempo di tale
attività- e non siano intervenuti per impedirla."
(Patrizia Piccialli, cit.)
Vale dunque la massima che
non può invocare l'affidamento chi
versa in colpa, chi abbia cioè violato una regola precauzionale.
Infatti
“..come più volte affermato, detto principio, ..non opera allorché il
mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia
la
sua prima causa nell'inosservanza
di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio,” ( Cass.Pen.
10.07.2014, n.30483)
Buon lavoro
Pietro Ferrari
Commissione salute e sicurezza
sul lavoro - Filcams-Brescia
[1] La
tesi posta ad affermare -comunque- una posizione originaria di garanzia (iure
proprio) del lavoratore, pone problemi complessi, ermeneutici prima (alla
dottrina) eppoi di esegesi (alla magistratura di legittimità). Come aspetto
"critico" al porsi di tale tesi, sembrerebbe tuttavia operare la
correlazione tra presidio costituzionale e art. 2087 c.c., con la posizione del
lavoratore in quanto <soggetto
debole> all'interno del rapporto contrattuale.
[2]
nel caso in considerazione, dal lavoratore
più anziano ed esperto.
[3] Vale
forse annotare che, di norma, l'
eccezione di inadempimento è sottoposta
al
criterio di proporzionalità, cioè
di valutazione comparativa dei comportamenti dei contraenti; anche se, nel
campo prevenzionale sembra configurarsi, invece, come "assoluta",
avendo ad oggetto beni primari e indisponibili (salute, dignità della persona),
garantiti costituzionalmente. Il diniego -o rifiuto alla prestazione- ha valore
peraltro contingente, legato all'attesa/aspettativa della risoluzione
dell'inadempimento di sicurezza da parte della figura obbligata. In questo
senso, il principio giuridico dell'inadimplenti non est adimplendum (a colui
che è inadempiente non è dovuto alcun adempimento), lungi dall'assumere valenza
ontologica o di slavarsi nella generalizzazione, dovrebbe connettersi
precisamente nel sistema di fonte costituzionale e codicistica. Oltre che,
successivamente, nella previsione speciale.
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