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"La corresponsabilità del RSPP con il datore di lavoro per un infortunio"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
27/07/2015 -
E’ ormai consolidata la posizione della Corte di Cassazione
in merito alla individuazione della responsabilità del RSPP con riferimento ad
un infortunio sul lavoro occorso nell’azienda presso la quale svolge la propria
attività, posizione ribadita di recente del resto dalle Sezioni Unite della
stessa Corte di Cassazione in occasione della sentenza n.
38343 del 24/4/2014 relativa alla vicenda della Thyssenkrupp.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
ha sostenuto infatti la suprema Corte nella sentenza in commento, pur svolgendo
all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza,
ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente all'incarico affidatogli e
di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi
all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per
risolverli, disincentivando, se necessario, eventuali soluzioni economicamente
più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la
conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a
rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della
violazione dei suoi doveri.
Il fatto e l’iter
giudiziario
La Corte di Appello ha riformata una sentenza emessa dal
Tribunale, limitatamente alla misura della pena, ridotta a mesi quattro di
reclusione a seguito di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche sulla contestata aggravante, con la quale era stato condannato il
RSPP di una azienda responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla
violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ai
danni di un dipendente, avendo omesso lo stesso di far predisporre idonee
misure a tutela dei lavoratori addetti all'impianto di laminazione
dell’azienda. L'infortunio era stato così ricostruito dai giudici di merito: il
ciclo produttivo della laminazione comprendeva tre fasi destinate alla
formazione di lingotti d'acciaio, alla trasformazione di essi in verghe e alla
fase di raffreddamento nella quale transitavano per una via a rulli, coperta in
un primo tratto e munita solo di ripari verticali nell'ulteriore tratto. Il
lavoratore, in quest'ultima fase, dopo aver rimosso un incaglio, si era
avvicinato alla linea di laminazione per verificarne il funzionamento ed era
stato trafitto da una verga di acciaio uscita dal canale di scorrimento che lo
aveva infilzato alla nuca.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto l'imputato
responsabile della mancata predisposizione di misure tecnico-organizzative che
evitassero, durante il ciclo produttivo in corso, l'accesso alla linea di laminazione
dei lavoratori addetti al controllo. La Corte territoriale, dopo aver sottolineato
che la ricostruzione dell'infortunio operata dal primo giudice non fosse
contestata, ha condiviso la centralità del profilo di colpa inerente alle
misure di protezione finalizzate a salvaguardare l'incolumità del lavoratore
che, per qualsivoglia motivo, si fosse avvicinato alla linea di laminazione
sporgendosi all'interno di essa. Il giudice di appello ha, in proposito,
ritenuto che le misure adottate non fossero idonee a precludere in modo
assoluto il transito dei lavoratori nella zona alla quale il lavoratore
deceduto aveva avuto accesso, deducendo ciò dal fatto che la totale
segregazione di tale zona fosse stata attuata dal datore di lavoro dopo
l'infortunio, con l'aggiuntiva misura per cui l'ingresso all'area segregata era
stato vincolato da un sistema automatico che consentiva l'accesso soltanto a
laminatoio fermo.
Il ricorso in
Cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha
proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per diversi
motivi. Lo stesso ha fatto presente che, avendo la società datrice di lavoro
apportato prima dell’infortunio rilevanti modifiche all'impianto di
laminazione, ottemperando alle prescrizioni date dall'Azienda Sanitaria Locale,
i dirigenti della società e lui stesso avevano la ragionevole convinzione che
l'impianto fosse conforme alle esigenze di sicurezza, anche perché stabilimenti
con analoga attività produttiva avevano anch'essi l'impianto non completamente
segregato. La società aveva già dato inoltre precise e rigorose direttive in
base alle quali in caso di incaglio si sarebbe dovuta rispettare una procedura
di intervento secondo la quale la rimozione di un incaglio doveva essere
effettuata solo dopo che l'impianto di lavorazione fosse stato fermato.
La Corte di Appello, ha inoltre sostenuto il ricorrente,
aveva fondato il giudizio di una sua condotta colposa sul solo fatto che questi
non avesse proposto la segregazione totale dell'impianto, mentre avrebbe dovuto
invece accertare quali fossero i sistemi più sicuri suggeriti nelle facoltà
universitarie di ingegneria e realizzati nell'industria italiana ed estera di
produzione e lavorazione dell'acciaio, potendosi fondare tale giudizio solo
sulla non conformità dell'impianto a quelli ritenuti più sicuri secondo la miglior
scienza e la migliore tecnica nel periodo precedente il verificarsi
dell'infortunio. L’imputato ha fatto presente, altresì, di non avere nessuna
responsabilità di natura penale non avendo il potere di decidere la modifica
dell'impianto di laminazione e ha sostenuto, con riferimento alla inosservanza
dell'art. 40 secondo comma del codice penale, che la sentenza sarebbe erronea
perché non può configurarsi un obbligo giuridico di impedire l'evento a carico
di colui che, per mancanza di poteri decisionali, non abbia il potere di
impedirlo.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e lo ha pertanto rigettato.
La stessa con specifico riferimento alla responsabilità del RSPP
ha richiamato alcuni principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità. La
Sez. IV ha ricordato che recentemente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite “
ha ribadito il principio interpretativo
secondo il quale il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur
svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di
consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente all'incarico
affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi
connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche
per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni
economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori,
con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a
rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della
violazione dei suoi doveri (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv.
261107)”.
“
Più in generale”,
ha quindi proseguito la suprema Corte, “
con
riguardo all'elemento soggettivo del reato, si è chiarito che il soggetto al
quale sono stati affidati i compiti del servizio di prevenzione e protezione,
previsti dall'art. 9 d.lgs. n. 626/1994, può essere ritenuto corresponsabile
del verificarsi di un infortunio ogni qual volta questo sia oggettivamente
riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di
conoscere e segnalare. Ciò sul presupposto che il sistema prevenzionistico
voluto dal legislatore affida alla informazione e alla prevenzione, organizzate
in un servizio obbligatorio, un fondamentale compito per la tutela della salute
e della sicurezza dei lavoratori. La necessità di competenze specifiche e di
requisiti professionali fissata dall'art. 8 bis d. lgs. n.626/94 per i
responsabili e gli addetti al servizio in questione è il miglior riscontro
della centralità della prevenzione e della informazione nel sistema di tutela
della integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori”.
“
La Corte di Appello”
ha così concluso la suprema Corte, “
ha,
poi, indicato i compiti richiesti dalla legge al responsabile del servizio di
prevenzione e protezione ritenendo che, pur in assenza di sanzioni penali
specificamente previste dalla legge a suo carico, la sua responsabilità penale
derivasse dall'obbligo giuridico di lavorare con il datore di lavoro
individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune
indicazioni tecniche per risolverli, concorrendo la colpa professionale del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione con quella
dell'imprenditore in relazione agli eventi dannosi derivanti da suoi
suggerimenti errati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio. Il
giudice di appello, ha quindi correttamente affermato che, nel sistema
elaborato dal legislatore, si presume che alla segnalazione di una situazione
pericolosa da parte del responsabile del servizio di prevenzione segua
l'adozione delle misure necessarie per ovviarvi da parte del datore di lavoro”.
Gerardo Porreca
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