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"Rapina: il datore di lavoro deve tutelare l'integrità fisica dei lavoratori"

fonte www.insic.it / Sicurezza

16/09/2015 - La Corte di Cassazione Civile, sez. Lavoro, con la sentenza n. 7405 del 13 aprile 2015, (disponibile in integrale nella Banca Dati Sicuromnia), ha accolto il ricorso di un lavoratore che era rimasto vittima di tre rapine nell'ufficio postale dove prestava la sua attività, in quanto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro avrebbe dovuto tutelarne l'integrità fisica, utilizzando la migliore tecnologia disponibile, in modo da svolgere una funzione dissuasiva, preventiva e protettiva.

Il fatto
Un lavoratore che era rimasto vittima di tre rapine consecutive nell'ufficio postale presso cui lavorava, proponeva ricorso nei confronti di Poste Italiane.
In primo grado il giudice non gli riconosceva il risarcimento danni richiesto; per questo motivo, il dipendente decideva di ricorrere in appello. Tuttavia, la corte territoriale rigettava la sua domanda.
I motivi del rigetto erano stati ravvisati dalla corte, nell' esclusione del nesso di causalità tra la mancata adozione degli accorgimenti (quali i sistemi di videosorveglianza, il collegamento diretto con le forze dell'ordine, i sistemi di apertura a tempo ovvero di allarme interno) ed il verificarsi degli eventi.
Il lavoratore, pertanto, decideva di ricorrere in Cassazione.

La decisione della Cassazione Civile
La Corte di Cassazione ha esaminato il contesto in cui gli eventi si sono verificati.
Nello specifico, le rapine si sono svolte fuori dai locali dell'ufficio postale, mentre il lavoratore era intento a sollevare la saracinesca del locale.
L'unica misura volta a tutelare il lavoratore, consisteva nella presenza sul bancone del vetro antisfondamento; invece, non erano presenti altre misure di sicurezza all'esterno dell'ufficio.

Gli ermellini hanno osservato che gli episodi di aggressione a scopo di lucro negli uffici postali sono tipici dell'attività esercitata, proprio per la continua movimentazione di somme di denaro.
Pertanto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., era dovere del datore di lavoro tutelare l'integrità fisica dei lavoratori, mantenendo in efficienza i mezzi di tutela attraverso la tecnologia disponibile in quel periodo. Ciò in modo da svolgere una funzione dissuasiva, preventiva e protettiva dei lavoratori.
Il datore di lavoro, in sua difesa, aveva richiamato il principio dell' abnorme applicazione della responsabilità oggettiva dell'art. 2087, secondo cui il verificarsi dell'evento riguarda in ogni caso la riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento, sostenendo appunto che, nella tutela dell'integrità fisica del lavoratore, non si può ricomprendere ogni ipotesi di danno (cfr, Cass., n. 12089/2013; 15350/2001;11710/1998).

La Corte ha ritenuto che la difesa non ha applicato correttamente il principio appena citato, in quanto nel caso in esame non erano presenti misure dirette ad impedire o prevenire, o quantomeno rendere più difficile, il realizzarsi di eventi criminosi come quelli che si erano verificati.
Secondo gli ermellini, la corte territoriale non ha correttamente dimostrato che i mezzi di tutela in esame fossero inutili a tutelare i lavoratori, quando ha affermato che i sistemi di videosorveglianza servivano per la successiva identificazione degli autori dei reati, e non anche per produrre effetti dissuasivi e preventivi.
Per tutte queste ragioni la Cassazione Civile, sez. Lavoro, ha accolto il ricorso del lavoratore, non riconoscendo quanto deciso nei primi due gradi di giudizio.

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