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"Infortuni sul lavoro: la prevedibilità “soggettiva” dell’evento"
fonte www.puntosicuro.it / INFORTUNI
17/09/2015 -
Pubblichiamo un estratto
dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul lavoro “La colpa
negli infortuni sul lavoro” - Bollettino marzo 2015, Camera penale veneziana “Antonio
Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it
Prevedibilità “soggettiva” dell’evento
Nell’ambito
dei reati colposi assume notevole rilievo l’aspetto relativo alla
“prevedibilità” dell’evento, intesa come prospettazione soggettiva necessaria
affinché l’evento dannoso sia imputabile al soggetto agente, sia per quanto
attiene il delitto colposo considerato sotto un profilo commissivo che in
relazione al comportamento omissivo, rilevante ai sensi dell’art. 40 co. 2 c.p.
Va
innanzitutto ricordato come l’imprevedibilità, quale causa di esclusione della
colpevolezza, sia normativamente prevista dall’art. 41 comma 2 c.p. in tema di
cause sopravvenute quando, in relazione all’interruzione del nesso di causa che
deve sempre sussistere tra azione od omissione ed evento dannoso, si afferma,
appunto, che le cause sopravvenute siano idonee ad escludere il rapporto di
causalità quando siano state da sole sufficienti a determinare l’evento ed
abbiano carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.
Sul
punto, si riportano alcune massime chiarificatrici della Corte Suprema:
“Ai
fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la
condotta e l’evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a
determinare l’evento, di cui all’art. 41, comma 2, c.p., non si riferisce
soltanto al caso di un processo causale del tutto autonomo – giacché la disposizione
diverrebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe
comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza di cause
di cui all’art. 41, c.p. comma 1 – bensì anche nel caso di un processo non
completamente avulso dall’antecedente, ma sufficiente a determinare l’evento,
nel senso che, in tal caso, la condotta dell’agente degrada da causa a mera
occasione dell’evento. Ciò che si verifica allorquando ci si trova in presenza
di una causa sopravvenuta che, pur ricollegandosi causalmente all’azione o all’omissione
dell’agente, si presenta con carattere assolutamente anomalo ed eccezionale (il
cui apprezzamento è devoluto al Giudice di merito), ossia come un fattore che
non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa
presupposta”. (Cass.Pen.,Sez.IV,n.10626/2013).
“Il datore di lavoro non risponde per la mancata
adozione di misure atte a prevenire il rischio di infortuni ove la condotta non
sia esigibile per l’imprevedibilità della situazione di pericolo da evitare. [Fattispecie
nella quale l’operaio deceduto aveva agito in palese violazione delle
specifiche prescrizioni impostegli dal suo datore di lavoro].
In tal caso, la condotta
colposa del lavoratore assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre
l’evento). (Cass.Pen.Sez.III,n.38209/2011).
“Poiché le norme di prevenzione antinfortunistica
mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano
derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, un comportamento anomalo
del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a
cagionare l’evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro
e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di
prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo
o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante
e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni
ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore ……”. (Cass.Pen.Sez.IV,n.
16422/2007). [1]
Nella
trattazione che segue, peraltro, il tema giuridico da esaminare è diverso da
quello normativo sopra riportato, poiché da esso almeno parzialmente si
discosta; non si deve infatti considerare l’aspetto della sopravvenienza di una
causa autonoma che concorra a determinare l’evento dannoso ma la sussistenza
all’interno dell’azione (ovvero dell’omissione) di un concetto di prevedibilità
dell’evento stesso - causalmente efficiente con riguardo al medesimo - il quale
consenta di attribuire al soggetto agente, ovvero al titolare di una posizione
di garanzia quanto al reato omissivo, la piena responsabilità dell’azione od
omissione causalmente correlate all’evento di danno.
Va
altresì a questo punto subito precisato come il concetto di prevedibilità va
variamente considerato a seconda del soggetto agente nel senso che, al di là
del concetto omnicomprensivo della colpa dettato dall’art. 43 comma 3 c.p. (è
colposo o contro l’intenzione l’evento non voluto che si verifica o per negligenza,
o imprudenza, o imperizia, od inosservanza di leggi, regolamenti e discipline),
la prevedibilità quale motivo di esigibilità dell’azione in capo all’agente,
che cioè non ne esclude l’imputabilità, dovrà essere variamente parametrata a
seconda del grado di complessità tecnico scientifica del contesto in cui si
svolge l’azione, ovvero si determina l’omissione.
Si
parte infatti dal criterio dell’
“id quod plaerumque accidit”, ovvero
della diligenza e perizia richieste all’uomo medio, a quello ben più
restrittivo quanto all’inimputabilità, quando si verta in materie
specialistiche (ad es. medicina od ingegneria, chimica, diritto e consimili)
dove si richiede una speciale conoscenza scientifica in capo all’agente che è
ben distante da quella dell’uomo medio [2]
Cass.
Pen., Sez. IV, n. 4177/2006
“In tema di responsabilità professionale del
sanitario, in linea con quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite (sentenza 10
luglio 2002, F.), nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta
omissiva del sanitario e l’evento lesivo, il giudice potrà (anzi, dovrà)
partire dalle leggi scientifiche di copertura e in primo luogo da quelle
statistiche che, quando esistano, costituiscono il punto di partenza
dell’indagine giudiziaria. Però, dovrà poi verificare se tali leggi siano
adattabili al caso esaminato, prendendo in esame tutte le caratteristiche
specifiche che potrebbero minarne – in un senso o nell’altro – il valore di credibilità,
e dovrà verificare, altresì, se queste leggi siano compatibili con l’età, il
sesso, le condizioni generali del paziente, con la presenza o l’assenza di
altri.
Anche
con riferimento a tale aspetto, si riporta l’interpretazione prevalente della
Corte di Cassazione.
“Per addebitare al soggetto, obbligato ai sensi
dell’art. 40 cpv. c.p., la responsabilità dell’evento pregiudizievole non è
sufficiente dimostrare la sua concreta conoscenza dell’accadimento che è suo obbligo
evitare. Occorre anche provare la possibilità di disporre strumenti a ciò
ostativi. La causalità omissiva ha, infatti, natura normativa e non
naturalistica e non potrebbe qualificarsi come “posizione di garanzia” quella
che annovera soltanto un obbligo di vigilanza, senza che il dovere sia
accompagnato da effettivi poteri impeditivi, tali da consentire al soggetto di
evitare il verificarsi dell’evento ……” (Cass.Pen.Sez.V,n.28932/2011).
“Nel delitto di omicidio colposo consistito in un
tumore occorso a soggetto esposto ad amianto, qualora il datore di lavoro abbia
omesso di controllare le polveri mediante le misure indicate dal comune buon
senso e dalle acquisizioni tecniche dell’epoca, non può negarsi la esigibilità
della condotta, né la prevedibilità dell'evento, prevedibilità che è la
rappresentazione della potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una
situazione di danno e non la rappresentazione “ex ante” dell’evento dannoso,
quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione” (Cass.Pen.Sez.IV,30/03/2000).
[1] Cass.
Pen., Sez. IV, n. 4177/2006
“In tema di responsabilità
professionale del sanitario, in linea con quanto puntualizzato dalle Sezioni
Unite (sentenza 10 luglio 2002, F.), nella ricostruzione del nesso eziologico
tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo, il giudice potrà
(anzi, dovrà) partire dalle leggi scientifiche di copertura e in primo luogo da
quelle statistiche che, quando esistano, costituiscono il punto di partenza
dell’indagine giudiziaria.
Però, dovrà poi verificare se
tali leggi siano adattabili al caso esaminato, prendendo in esame tutte le
caratteristiche specifiche che potrebbero minarne – in un senso o nell’altro –
il valore di credibilità, e dovrà verificare, altresì, se queste leggi siano
compatibili con l’età, il sesso, le condizioni generali del paziente, con la
presenza o l’assenza di altri fenomeni morbosi interagenti, con la sensibilità
individuale a un determinato trattamento farmacologico e con tutte le altre
condizioni, presenti nella persona nei cui confronti è stato omesso il
trattamento richiesto, che appaiono idonee a influenzare il giudizio di
probabilità logica. In una tale prospettiva, il dato statistico, lungi dall’essere
considerato “ex se” privo di qualsivoglia rilevanza, ben potrà essere
considerato dal giudice, nel caso concreto, ai fini della sua decisione, se
riconosciuto come esistente e rilevante, unitamente a tutte le altre emergenze
fattuali della specifica vicenda “sub iudice”, apprezzandosi in proposito,
laddove concretamente esistenti e utilizzabili, oltre alle leggi statisitche,
anche le “regole scientifiche” e quelle dettate dall’esperienza. In questo giudizio
complessivo, il giudice dovrà verificare, poi, l’eventuale emergenza di “fattori
alternativi” che possano porsi come causa dell’evento lesivo, tali da non
consentire di poter pervenire a un giudizio di elevata credibilità razionale “al
di là di ogni ragionevole dubbio” sulla riconducibilità di tale evento alla
condotta omissiva del sanitario.
Il giudice, infine, dovrà porsi
anche il problema dell’ “interruzione del nesso causale”, per l’eventuale,
possibile intervento nella fattispecie di una “causa eccezionale sopravvenuta” –
rispetto alla condotta “sub iudice” del medico – idonea ad assurgere a sola
causa dell’evento letale (art. 41, comma 2, c.p.).
Nel rispetto di tale approccio
metodologico, il giudizio finale, laddove la responsabilità a carico del
sanitario, non potrà che essere un giudizio supportato da un “alto o elevato
grado di credibilità razionale” ovvero da quella “probabilità logica” pretesa
dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite; mentre l’insufficienza, la
contraddittorietà e/o l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione
del nesso causale e, quindi, il ragionevole dubbio sulla reale efficacia
condizionante della condotta omissiva del medico, rispetto ad altri fattori
interagenti o eccezionalmente sopravvenuti nella produzione dell’evento lesivo,
non potrà che importare una conclusione liberatoria.
(Da queste premesse, la Corte
ha, sul punto, rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna del
sanitario, evidenziando come il giudice di merito avesse rispettato i principi
sopra ricostruiti, esprimendo il proprio convincimento non solo e non tanto sul
dato statistico percentuale delle probabilità di salvezza, ma inserendo tale
dato in un complessivo giudizio controfattuale che lo aveva portato, in modo
convincente e quindi incensurabile in sede di legittimità, a fondare in modo “processualmente
certo” la responsabilità del sanitario per l’evento letale)”.
[2] Cass.
Pen., Sez. V del 07/05/1982
“In tema di lesioni colpose, la
mancanza di cure appropriate, dovuta ai sanitari o alla stessa persona offesa,
non può ricondursi nella sfera delle cause sopravvenute, di cui al comma 2 dell’art.
41 c.p., e, quindi, non interrompe il nesso di causalità tra la condotta dell’agente
e l’aggravamento o il prolungamento della malattia da tale azione provocato.
Perché si verifichi l’interruzione del nesso causale occorre che l’inesatta
diagnosi o la cura inadatta siano conseguenza di dolo o colpa grave del
sanitario, il cui comportamento, quale causa autonoma e relativamente indipendente,
assume funzione dominante nella produzione dell’evento”.
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