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"La responsabilità del datore di lavoro per danno subìto da terzi"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
12/10/2015 -
Viene
ribadito ancora una volta dalla Corte di Cassazione in questa sentenza quali
sono le responsabilità e a carico di chi vanno poste nel caso che in una azienda
accada un incidente che vede coinvolto
un terzo estraneo. In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, ha affermato
la suprema Corte, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non
soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi
che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un
rapporto di dipendenza con il titolare dell'azienda, per cui, ove nella stessa
si verifichi un eventuale fatto lesivo a danno del terzo, è configurabile
l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo
del codice penale, sempre che sussista tra la violazione stessa e l'evento
dannoso un legame causale e la norma violata mirava a prevenire l'incidente
verificatosi.
Nel
caso in esame la violazione alle norme di prevenzione degli infortuni è stata
quella relativa all’art. 163 del D. Lgs. n. 81/2008 che impone al datore di
lavoro, al fine di regolare il traffico all'interno dell'azienda o dell'unità
produttiva, il ricorso, se necessario, alla segnaletica prevista dalla legislazione
vigente in relazione al traffico stradale e cioè alla prevista cartellonistica
indicante l'altezza massima di ingresso dei veicoli all'interno del piazzale
dello stabilimento atteso che le misure del mezzo condotto dalla persona
offesa, rispetto alla luce del portale di accesso al piazzale, non escludeva
l'eventualità di prevedibili rischi di danno che si sono poi puntualmente
concretizzati.
Il fatto, la condanna e il ricorso in
Cassazione.
Il Tribunale ha
condannato il legale rappresentante di una azienda alla pena di nove mesi di
reclusione in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in
violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni
dell’autista di un veicolo industriale non dipendente dall’azienda, rimasto
infortunato nel mentre si accingeva ad entrare nello stabilimento.
All'imputato era stata
originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa
generica e delle norme di colpa specifica espressamente richiamate nel capo di
imputazione, per non aver predisposto la prevista cartellonistica indicante
l'altezza massima di ingresso dei veicoli all'interno del piazzale aziendale,
avuto riguardo all'altezza della pensilina in cemento armato ubicata
all'ingresso di detto piazzale. Per effetto di tale omissione, l’autista che si
stava recando presso lo stabilimento, nel transitare al di sotto della
descritta pensilina alla guida di un autoarticolato di altezza superiore allo
spazio esistente, aveva urtato, con l'angolo superiore destro del container
posizionato sul semirimorchio, contro il lato esterno della pensilina,
causandone la caduta sulla cabina di guida, provocandosi così delle gravissime
lesioni.
La Corte di Appello ha
successivamente riformata parzialmente la sentenza impugnata riducendo la pena
inflitta all’imputato determinandola in quattro mesi di reclusione e
confermando, nel resto, la sentenza del primo giudice.
Avverso la sentenza
d'appello il datore di lavoro dell’azienda, a mezzo del proprio difensore, ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di alcune motivazioni.
Con un primo motivo il
ricorrente ha censurata la sentenza impugnata per avere la corte territoriale
omesso di rilevare la violazione del principio di necessaria correlazione tra
accusa e sentenza, con particolare riguardo alla circostanza relativa al
rapporto di dipendenza della persona offesa con la società dell'imputato, nel
caso particolare totalmente insussistente, e alla correlativa rilevanza della
contestata qualità di datore di lavoro sul piano dell'esatta identificazione
della posizione di garanzia.
Con un secondo motivo
il ricorrente ha censurata la sentenza impugnata per violazione di legge e
vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di rilevare (in
contrasto con le risultanze emerse dagli elementi di prova tecnica acquisiti al
giudizio) la illegittimità della circolazione del veicolo condotto dalla
persona offesa in assenza di apposita autorizzazione amministrativa,
trattandosi di mezzo capace di raggiungere l'altezza di ben 4,355 metri, idonea
a qualificarlo come "mezzo eccezionale".
Come terzo motivo, il
ricorrente si è lamentato per la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la
corte territoriale nell'applicare erroneamente il disposto di cui all'art. 118
del regolamento del codice della strada, nella parte in cui impone
l'apposizione del segnale di transito vietato ai veicoli aventi altezza
complessiva superiore a una certa misura nei soli casi in cui l'altezza
ammissibile sulla strada sia inferiore all'altezza dei veicoli definita
dall'art. 61 del codice stesso, atteso che, nella specie, la luce del portale
di ingresso nel piazzale aziendale non era inferiore all'altezza del veicolo
condotto dalla persona offesa.
Infine come ultimo
motivo il ricorrente ha censurata la sentenza impugnata per vizio di
motivazione, avendo la corte territoriale trascurato di considerare
adeguatamente la circostanza relativa all'esclusività o, quantomeno, alla
concorrenza della responsabilità della persona offesa nella causazione del sinistro,
con la conseguente adozione degli opportuni provvedimenti sul piano
dell'accertamento istruttorio, con particolare riguardo alla gestione del
dispositivo di regolazione dell'altezza del mezzo (cosiddetta ralla) o alla
condotta di guida tenuta immediatamente dopo l'impatto tra la sommità del
cassone e la traversa del portale.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione
ha rigettato il ricorso dell’imputato. Con riferimento in particolare al principio
di corrispondenza tra accusa e sentenza la Sez. IV ha ribadito che del tutto
correttamente la corte territoriale aveva rilevato la sua mancata violazione
avendo osservato come il riferimento alla qualità di datore di lavoro
dell'imputato fosse chiaramente riferito alla posizione di garanzia in
relazione alla sicurezza dei luoghi e degli ambienti di lavoro rivestita dal
ricorrente, tanto più che nello stesso sviluppo descrittivo del capo di
imputazione era chiaramente indicato che il lavoratore infortunato era
dipendente di una ditta per conto della quale si era recato presso lo
stabilimento al fine di caricare della merce.
Al riguardo è appena il
caso di richiamare, ha precisato la suprema Corte, il consolidato insegnamento
della giurisprudenza di legittimità, al quale ha fatto riferimento anche il
giudice di appello, ai sensi del quale “
in
tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono
dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro
attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro,
indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare
dell'impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino eventuali fatti
lesivi a danno del terzo, è configurabile l'ipotesi del fatto commesso con
violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui
agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., sempre che
sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la
norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi” per cui è stato
pienamente rispettato nel caso in esame il principio di correlazione tra accusa
e sentenza di cui all'art. 521 c.p.p. con la definitiva attestazione della
radicale infondatezza del motivo d'impugnazione sollevato sul punto dal
ricorrente.
Con riferimento alle
restanti lamentele avanzate dal ricorrente la Sez. IV ha fatto osservare come
la corte territoriale, in relazione al punto concernente l'altezza del mezzo
condotto dalla persona offesa, richiamandosi agli accertamenti tecnici eseguiti
nel corso del giudizio, abbia correttamente escluso, sulla base di una
motivazione del tutto congruente sul piano argomentativo e immune da vizi
d'indole logica o giuridica, che detto mezzo presentasse caratteristiche tali
da giustificarne la qualificazione alla stregua di un "mezzo
eccezionale", atteso che l'altezza complessiva del punto più alto del
cassone montato sul semirimorchio, rispetto al suolo, era di 4,30 metri e cioè
uguale alla luce netta di passaggio sotto il portale di accesso all'area
dell'azienda dell'imputato, con la conseguente esclusione che il veicolo in
questione dovesse essere dotato di autorizzazione amministrativa alla
circolazione.
La corte territoriale
ha correttamente evidenziato, altresì, secondo la Sez. IV, in relazione agli
aspetti di colpa specifica contestati e accertati a carico dell'imputato, “
come l’imputato si fosse colpevolmente
sottratto al rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 163 del D. Lgs. n.
81/2008 la dove lo stesso impone al datore di lavoro, al fine di regolare il
traffico all'interno dell'impresa o dell'unità produttiva, il ricorso, se del
caso, alla segnaletica prevista dalla legislazione vigente in relazione al
traffico stradale (e dunque alla prevista cartellonistica indicante l'altezza
massima di ingresso dei veicoli e degli autoarticolati all'interno del piazzale
in esame)”, a nulla rilevando il richiamo dell'imputato alla sola specifica
situazione richiamata in seno al testo dell'art. 118 reg. c.d.s., attesa
l'ampiezza della formulazione della norma cautelare, funzionale alla copertura
di tutte le possibili situazioni di rischio, non altrimenti ovviabile che
attraverso l'apposizione di idonea cartellonistica e atteso che l'astratta
conformità delle misure del mezzo condotto dalla persona offesa, rispetto alla
luce del portale di ingresso nel piazzale aziendale, non escludeva
l'eventualità di prevedibili rischi di danno nella specie puntualmente
concretizzatisi.
Ciò posto, ha così
concluso la Corte suprema, del tutto correttamente la corte territoriale ha
escluso il ricorso della concorrente responsabilità della persona offesa nella
causazione del sinistro, essendo quest'ultimo transitato a bassissima velocità
in corrispondenza del portale d'ingresso all'area aziendale, non potendosi
rendere conto (in assenza di segnalazione di pericolo attraverso apposito
cartello) dell'insidia rappresentata dall'altezza della pensilina
(perfettamente uguale a quella del container), tanto più che il transito doveva
avvenire attraverso il passo carraio di una ditta, dove, per sua conoscenza
diretta, venivano usualmente movimentati mezzi pesanti e container.
Gerardo Porreca
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