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"Edilizia: la progettazione dell’opera orientata alla sicurezza"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro

19/10/2015 - “Capita piuttosto di frequente di constatare che le  implicazioni di salute e sicurezza durate l’uso e la manutenzione delle opere non sono pienamente considerate al momento della loro progettazione. E ciò non per colpa, o meglio, non solo per colpa dei progettisti”. Inizia così un interessante intervento, a cura dell’ing.  Giuseppe Semeraro (Coordinatore Consulenza tecnica per l’edilizia Inail Regione Marche) e tratto dal documento Inail “ La sicurezza nei lavori sulle coperture. Sistemi di prevenzione e protezione contro la caduta dall’alto” che raccoglie gli atti di due diversi seminari: “Un cantiere sicuro per riqualificare l’esistente - Lavori in copertura” (Milano,  4 ottobre 2013) e “Lavori su coperture: problematiche, approfondimenti, soluzioni ed indirizzi” (Bologna, 18 Ottobre 2013).

Nell’intervento “ La progettazione dell’opera orientata alla sicurezza nei lavori sulle coperture” l’ing. Semeraro spiega che per avere conferma della sua affermazione, al di là dell’osservazione diretta del costruito, è sufficiente leggere la legislazione in materia di appalti pubblici (D.Lgs. 163/2006) nel punto (art. 15) in cui si esplicitano gli obiettivi cui tendere nella progettazione di un’opera di qualità. La qualità “deve essere ottenuta con il miglior rapporto costi benefici, nel rispetto della sostenibilità ambientale, del rendimento energetico e della durabilità e manutenibilità dei componenti; ma non troviamo alcuna traccia dei requisiti di salvaguardia della salute e della sicurezza durante la vita dell’opera”.
 
Certo ci sono norme che cercano di risolvere almeno in parte la questione, ad esempio l’articolo 22 del D.Lgs. 81/2008 relativo agli obblighi dei progettisti. E ci sono altre norme e regolamenti (norme tecniche per le costruzioni, di prevenzione incendi, …) che stabiliscono obblighi particolari. Tuttavia “queste leggi e regolamenti si applicano fondamentalmente alla progettazione degli ambienti di vita in genere e di lavoro, ma trascurano, se non tutti, quasi, quei luoghi che solo occasionalmente diventano luoghi in cui è prevista la permanenza delle persone, soprattutto per motivi di ispezione e di manutenzione”. E così non è difficile trovarsi negli edifici “vani tecnici che diventano dei veri e propri luoghi confinati o coperture che pur definite dal progettista ‘non praticabili’, risultano essere intasate da unità tecnologiche, che richiedono per la loro manutenzione interventi periodici e straordinari frequenti in copertura”.
 
Qualcuno – continua il relatore – potrà notare “che altri documenti della progettazione affrontano tali tematiche prevenzionistiche: il piano di manutenzione dell’opera, circoscritto alle sole opere pubbliche, il piano di manutenzione delle strutture, il fascicolo dell’opera e, relativamente alle attività affidati a terzi all’interno delle aziende, il documento di valutazione dei rischi aziendale e il documento unico di valutazione dei rischi interferenti”. Ma ci si dimentica che “tali documenti, ad eccezione degli ultimi due che comunque hanno un ambito di azione limitato alle aziende, sono documenti ‘informativi’ e non ‘prescrittivi’. Nel senso che hanno la funzione di promuovere la cultura della manutenzione e la cultura nella sicurezza nella manutenzione, ma non di imporla. Per imporla servono strumenti di convincimento idonei nei confronti dei committenti, per esempio persuaderli che il risparmio atteso nel tempo è sensibilmente superiore all’incremento di costo dell’opera per dotarla degli allestimenti necessari alla tutela della salute e della sicurezza durante la sua vita utile”.
Servono dunque “strumenti coercitivi nei confronti dei committenti, quali regolamenti edilizi comunali che non rilasciano il titolo abilitativo ad eseguire l’opera e la sua agibilità se non si provvede a risolvere preventivamente tutte quelle questioni critiche dal punto di vista della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, che successivamente sarebbero di difficile risoluzione”.
 
Un esempio di utili costrizioni è rappresentato da diverse leggi regionali che, nate per garantire livelli di sicurezza accettabili nei lavori sulle coperture dei fabbricati, “incidono sul titolo abilitativo ad eseguire interventi di nuova edificazione o di manutenzione straordinaria delle coperture” imponendo generalmente “standard di sicurezza maggiori rispetto a quelli che le leggi nazionali prevedono (o non prevedono)”.
 
Tra l’altro l’ing. Semeraro ricorda che il D.Lgs. 81/2008 si limita in realtà “a disporre che nei lavori in quota (come nei lavori sulle coperture con rischio di caduta dall’alto) si adottino particolari precauzioni contro il rischio di caduta dall’alto”. È cioè vietato eseguire un lavoro su di una copertura “senza la sua messa insicurezza dal punto di vista del rischio della caduta dall’alto. Ma questo non vuol dire che la copertura debba essere sicura sin dalla sua concezione, pur essendo stata realizzata con idonee misure antinfortunistiche”. Se, ad esempio, si dota la copertura di un lucernario “che non offre idonea resistenza alla caduta delle persone”, non si commette alcun reato. Il reato è però “commesso quando si manda qualcuno a lavorarci sopra, senza dotare il lucernario della sicurezza supplementare”. Insomma il rispetto della legge è “frequentemente spostato in un secondo momento, quando per effettuare un intervento sulla copertura sarà obbligatorio compiere la valutazione del rischio ed adottare, con grande dispendio di risorse economiche, le conseguenti misure prevenzionistiche”. E forse, conclude il relatore, “il problema poteva essere risolto più opportunamente ampliando la portata del citato articolo 22 del D.Lgs. 81/2008, estendendolo anche ai luoghi di vita e di lavoro occasionali, quali le coperture ‘non praticabili’”.
 
Queste legislazioni regionali contengono in realtà “un principio prevenzionistico molto interessante, presente in legislazioni di paesi nord europei, che va al di là del semplice obiettivo specifico. Cioè, il considerare gli aspetti della sicurezza nella costruzione e nell’uso dell’opera non un valore aggiunto alla progettazione, che può autorizzare qualcuno a dire ‘non ce lo possiamo permettere’, ma uno dei molteplici aspetti della stessa progettazione, un qualcosa di cui non è possibile farne a meno”.
Insomma una progettazione orientata alla sicurezza deve avere come riferimento un tempo “sufficientemente lungo da abbracciare almeno una volta tutti gli interventi di cui l’opera avrà bisogno nel cui ciclo di vita, in modo da valutarne gli effetti sulla salute e la sicurezza delle persone durante l’uso e la sua manutenzione”. E dal punto di vista della tecnica prevenzionistica, il progettista “dovrebbe fondamentalmente affrontare quattro tipologie di rischio di caduta dall’alto:
- quella connessa con il sistema di accesso alla copertura;
- quella connessa con la protezione dei bordi;
- quella connessa con lo scivolamento (tipo delle coperture fortemente inclinate);
- quella connessa con lo sfondamento di superfici fragili”.
E nella scelta delle soluzioni possibili per contrastare i fattori di rischio di caduta dall’alto elencati “non è possibile non tener conto della gerarchia delle misure stabilite dalla legge, rispettivamente, in ordine d’importanza, prevenzione, protezione collettiva e protezione individuale. Ciò significa che in sede di progettazione di nuova costruzione ci si deve orientare verso soluzioni tecniche che dislocano, per esempio, le unità tecnologiche (UTA; gruppi frigo, motocondensatori, ecc.) in basso (misura di prevenzione), ovvero su coperture praticabili (misura di protezione collettiva). Relegando le misure di protezione individuali solo ai casi strettamente necessari. Cosa differente è negli interventi sul costruito, dove la soluzione delle protezioni individuali sembra essere più accreditabile in termini di realizzabilità”.
 
L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, oltre a ricordare alcune interessanti definizioni e principi di una norma ormai ritirata (la UNI 8088), segnala infine un lavoro, divulgato dal gruppo D-A-CH-S, che prevede quattro differenti livelli di allestimento che ci si può attendere sulle coperture per contrastare il rischio di caduta dall’alto:
- livello 1: quello più basso, “prevede lucernari protetti e l’uso di DPI anticaduta con ancoraggio a punti di classe A della norma UNI EN 795 già predisposti sulla copertura. Accesso da elementi fissi della copertura o mediante apprestamenti. La scala semplice è consigliata solo con cadute dall’alto fino a 5 metri. Questo livello è riservato a personale abilitato all’uso dei sistemi individuali anticaduta mediante funi”;
- livello 2: “riservato a personale addestrato all’utilizzo delle protezioni individuali anticaduta, prevede la predisposizione di linee vita ed eventualmente di punti di ancoraggio delle imbracature. Richiede la disponibilità di allaccio all’energia elettrica in copertura”;
- livello 3: “prevede l’accesso in coperture a persone che non hanno specifico addestramento all’uso delle protezioni individuali contro le cadute dall’alto, ragion per cui la stessa copertura deve essere dotata di protezione dei bordi di tipo collettiva (parapetti)”;
- livello 4: “deve essere intrinsecamente sicuro in ogni suo aspetto, rappresenta il massimo livello di ‘copertura praticabile’, in quanto l’uso è allargato ad ogni gruppo di persone, anche le persone comuni”.
 
 
Inail Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti e Insediamenti Antropici, CTE - Consulenza Tecnica per l’Edilizia,  “ La sicurezza nei lavori sulle coperture. Sistemi di prevenzione e protezione contro la caduta dall’alto”, atti dei seminari “Un cantiere sicuro per riqualificare l’esistente - Lavori in copertura” e “Lavori su coperture: problematiche, approfondimenti, soluzioni ed indirizzi”, edizione 2014, pubblicazione febbraio 2015 (formato PDF, 3.53 MB).
 
 
 
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RTM
 

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