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"Sulla responsabilità per il crollo di un manufatto"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
04/04/2016 - In materia antinfortunistica, ha precisato la Corte di
Cassazione in questa sentenza, del reato di lesioni derivate dal crollo di un’armatura
provvisoria di sostegno di un manufatto risponde il soggetto che, pur essendone
obbligato, abbia omesso di predisporre i presidi per impedire il crollo stesso
o ne abbia disposto il disarmo anticipatamente, violando in tal modo quanto
prescritto dall’articolo 64 del D.P.R. n. 164 del 1956 secondo cui le strutture
di tale tipologia devono essere costruite in modo da assicurarne in ogni fase
di lavoro la necessaria solidità e con caratteristiche tali da consentire, a
getto o costruzione ultimata, il loro progressivo abbassamento e disarmo.
Il fatto, il
ricorso in cassazione e le decisioni della suprema Corte
L’amministratore unico e legale rappresentante di una
società appaltatrice e il direttore
tecnico di cantiere nonché responsabile del servizio di prevenzione e
protezione dell’impresa appaltante hanno ricorso in Cassazione per
l'annullamento della sentenza con la quale la Corte di Appello, decidendo a
seguito dell'annullamento di una sua precedente sentenza cassata dalla stessa
Corte suprema, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, ha
rideterminato, concesse le circostanze attenuanti generiche, in due mesi e
venti giorni di reclusione la maggior pena inflitta in primo grado a carico dei
ricorrenti ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 40, cpv., 590,
cod. pen., per avere cagionato, per colpa, delle lesioni personali gravi ad un
lavoratore dipendente mentre era intento a rimuovere la malta cementizia in
eccesso dalle pietre di un arco in muratura alto tre metri in assenza della relativa
armatura di sostegno. A seguito del cedimento dell'arco che avrebbe dovuto
essere disarmato solo a costruzione finita, il lavoratore infatti aveva
riportato la frattura dello zigomo destro della mascella.
Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, il
venerdì precedente l'infortunio era stata completata la realizzazione dell’arco
in pietra viva e nella prima mattinata del lunedì successivo lo stesso era
stato disarmato dalle impalcature di legno che lo sostenevano. Il lavoratore
infortunato, insieme con un altro operaio, aveva cominciato a rimuovere la
malta cementizia in eccesso con martello e scalpello dopo essere salito su un ponteggio
sistemato proprio sotto l'arco. L'accusa aveva ipotizzata, come fatti integranti
la colpa, la violazione della diligenza, della prudenza, della perizia e
dell'art. 64 del D.P.R. 7/1/1956 n. 164. I Giudici distrettuali hanno affermato
che lo smontaggio delle centine che sostenevano l'arco era avvenuto senza la
preventiva visione e senza l'autorizzazione del direttore di cantiere, che
anzi, secondo una prassi abituale, aveva di fatto delegato "in toto"
agli operai ed in particolare proprio al lavoratore infortunato, in virtù della
sua pluriennale esperienza, la costruzione dell'arco stesso e le relative
modalità di esecuzione. Le abbondanti piogge che avevano preceduto l'evento e
l'azione dello scalpello avevano probabilmente reso meno stabile l'arco, in
ogni caso disarmato prima che finissero le lavorazioni in violazione di quanto
prescrive l'art. 64 del D.P.R. n. 164 del 1956 e del piano di sicurezza.
Come motivo principale del ricorso gli imputati hanno
sostenuto che l'infortunio era occorso dopo che i lavori di costruzione
dell'arco erano stati ultimati, laddove era stato a loro addebitato
l'irregolare e prematuro disarmo dell'arco stesso e che la causa del crollo era
rimasta inesplorata, tant'è che la stessa Corte di appello non si è avventurata
in certezze sostenendo che l'arco era crollato per qualche errore procedurale.
Tale omissione, secondo gli stessi ricorrenti, aveva minato il buon fondamento
dell'affermazione della loro responsabilità per avere impedito di comprendere
il comportamento colposo ad essi ascrivibile ed il nesso di causalità con
l'evento delittuoso.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di
Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La motivazione addotta dagli imputati
è stata basata, secondo la Sez. III penale, su di un equivoco di fondo in
quanto agli stessi non è stato contestato di aver direttamente cagionato il
crollo dell'arco bensì di non averlo impedito, e quindi di aver concorso a
cagionarlo ai sensi dell'art. 40, cpv., cod. pen., mediante il prematuro
disarmo dell'armatura in violazione di quanto prescrive la regola cautelare
violata di cui all’art. 64 del D.P.R. n. 164 del 1956 posta a presidio
dell'incolumità dei lavoratori impegnati nella sua realizzazione. Il fondamento
dell'addebito colposo, ha precisato la suprema Corte, sta nella violazione
della regola cautelare che avrebbe dovuto impedire il crollo, qualunque ne sia
stata la causa.
L'art. 64 del D.P.R. n. 164 del 1956, ha infatti
precisato la Corte di Cassazione, prescrive che le armature provvisorie per
l'esecuzione di manufatti come gli archi devono essere costruite in modo “
da assicurare in ogni fase del lavoro la
necessaria solidità e con modalità da consentire, a getto o costruzione
ultimata, il loro progressivo abbassamento e disarmo”. “
Ne consegue”, ha così concluso la
suprema Corte
,” che l'omessa
predisposizione dei presidi imposti per impedire il crollo dell'arco, o il loro
anticipato disarmo, è circostanza che di per sé giustifica l'addebito di non
aver impedito un evento che il datore di lavoro aveva l'obbligo di impedire con
mezzi idonei allo scopo”.
Gerardo Porreca
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