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"Il rischio professionale dei lavoratori esposti ad aflatossine"
fonte www.puntosicuro.it / Rischio Chimico
04/04/2016 - Molti convegni e seminari che si sono tenuti in questi ultimi anni hanno focalizzato l’attenzione sul tema delle
malattie professionali, un aspetto sempre più rilevante nella tutela della salute dei lavoratori, e hanno portato in luce, nuovi rischi o pericoli sottostimati nelle politiche di prevenzione.
Ad esempio con riferimento a micotossine, sostanze tossiche prodotte da specie fungine, come le
aflatossine. Sostanze a cui avevamo accennato in passato in relazione alle rivalutazioni dell'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).
Per avere ulteriori informazioni sulle aflatossine, sulle carenze
della normativa e sui rischi di molti lavoratori in vari comparti
lavorativi, possiamo presentare un intervento al seminario SNOP “ Le
patologie professionali e miglioramento delle notizie sullo stato di
salute dei lavoratori: l’occasione dei Piani regionali di prevenzione
2015-2018” che si è tenuto il 18 settembre 2015 a Milano.
Nell’intervento “
Rischio aflatossine per i lavoratori: una esperienza
nei luoghi di lavoro”, a cura di Fulvio Ferri (Medico del lavoro ASL Reggio Emilia), viene in
particolare presentato uno studio sull’esposizione ad aflatossine condotto dal
SPSAL AUSL Reggio Emilia e dall’I.Z.S di Bologna.
Ma cosa sono le aflatossine?
Le aflatossine
sono “micotossine, rintracciabili su alcuni alimenti, prodotte principalmente
da due specie di Aspergillus [flavus e parasiticus], un fungo che si trova, in
particolare, nelle aree caratterizzate da un clima caldo e umido”. Formate da cristalli
trasparenti o giallo pallidi, illuminate con raggi U.V. (360 nm) queste
aflatossine emettono intensa fluorescenza da cui prendono il nome:
- blu “(
aflatossine B1 e B2);
- verde o verde-blu (
aflatossine G1 e G2) (Green);
- blu-violetto (
aflatossina M1) (da Milk)”. L’aflatossina
M1 è un “derivato metabolico dell’aflatossina B1 che troviamo nel latte (e
derivati) degli animali nutriti con cibi inquinati da Aflatossina B1, nel siero
e nelle urine”.
Quali sono i rischi?
Innanzitutto si ricorda che alcune
aflatossine “sono potenti cancerogeni”.
Dopo aver riportato alcune
indicazioni sugli aspetti chimici sono riportati anche i
principali effetti (oltre a quello cancerogeno) sugli animali e
sull’uomo.
Gli effetti acuti sull’uomo
comprendono: “vomito , dolore addominale, edema polmonare, coma, convulsioni,
degenerazione grassa del fegato, del rene e del cuore”.
E
quali sono gli effetti dannosi sui lavoratori esposti?
Il problema, in questo caso, è
che sono
pochi i dati certi:
- nei Paesi Bassi (lavorazioni di
Arachidi) : “aumento mortalità per ca. vie respiratorie in gruppi di lavoratori
esposti ad aflatossine vs. gruppo di non esposti “Hayes RB, 1984);
- in mangimifici di Danimarca, in
addetti più anziani (> 10 aa.): eccesso di tumori a fegato, vie biliari, ghiandole
salivari e mediastino, rispetto a popolaz. generale (Olsen J.H. 1988)”.
Il relatore riporta poi i risultati
di una relazione della Commissione Europea del 1996, “
Reports of the Scientific Committee
for Food”, in cui si indica che le aflatossine sono agenti cancerogeni
genotossici e che
solo un livello zero
di esposizione non comporta rischi. E, in questo senso, si indica che la
decisione su quale livello di rischio sia accettabile o tollerabile è
socio-politica e va oltre la valutazione scientifica.
Da queste considerazioni derivano
diverse indicazioni normative e regolamenti per
limitare il contenuto di aflatossine nell’alimentazione.
Viene, a questo proposito,
ricordato il
quadro normativo:
- Dir. 2002/32/CE relativa alle
sostanze indesiderabili nell'alimentazione degli animali;
- D.M. 21 maggio 1999 -
Regolamento interministeriale recante norme di attuazione della direttiva 1999/29/CE,
relativa alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell'alimentazione degli
animali.
E si ricorda che secondo il
Regolamento (CE) N. 1881/2006 del 19
dicembre 2006, che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei
prodotti alimentari, le aflatossine sono ricercate in:
- “mais e derivati;
- cereali e derivati;
- arachidi;
- frutta secca (pistacchi, fichi
secchi, datteri, …);
- spezie (peperoncino rosso, pepe
Caienna, paprica, pepe nero e bianco, noce moscata, zenzero, curcuma , …)”.
E l’aflatossina M1 si cerca nel
latte e derivati.
Nelle slide dell’intervento, che
vi invitiamo a visionare integralmente, sono riportate diverse tabelle
esplicative...
E dunque, continua il relatore,
“anche per la Commissione Europea, le aflatossine sono cancerogeni potenti.
Inoltre sono genotossiche, teratogene. Ma... Solo se le si considera nell’
ambito alimentare”!
Infatti le norme europee che le
considerano tali “valgono solo nell’ambito della tutela dei consumatori di
alimenti (umani o da allevamento, che siano)!
Non c’è alcuna norma di prevenzione specifica che tuteli i lavoratori
esposti: le Aflatossine non sono comprese nella lista europea dei cancerogeni
professionali”!
Eppure – continua l’intervento –
le aflatossine “si assorbono benissimo anche per via respiratoria (non solo per
via digerente)”. L’assorbimento per via respiratoria, anzi, “è più rapido che
per via digerente”.
Nelle slide sono riportati
diversi dati sull’assorbimento di aflatossine: nelle cellule epatiche, nei
polmoni, nel sangue, ...
E si indica che gli unici
riferimenti “normativi” che “richiamano un
rischio
professionale dei lavoratori esposti ad aflatossine sono i seguenti:
- carcinoma epatocellulare -
patologia tabellata come malattia professionale: “dal giugno 2014, il Decreto
Min.Lav. 10.06.14 ha inserito l’epatocarcinoma come Malattia Professionale,
con obbligo di denuncia (art. 139 DPR 1124/65), in caso di precedente
esposizione professionale ad Aflatossina B1;
- un richiamo all’uso dei DPI tra
i lavoratori addetti ai trattamenti del mais contaminato è presente nella Circolare
Min. Salute del 16 gennaio 2013 (“Procedure operative straordinarie per la
prevenzione e la gestione del rischio da contaminazione da aflatossine …”).
Quali comparti/lavorazioni sono interessati da questo rischio?
Soprattutto il comparto
agroalimentare, ma non solo: raccolta (mais, …), carico e scarico (porti,
autotrasportatori, …), deposito/insilamento, trattamenti meccanici,
essiccazione, produzione mangimi, distribuzione agli animali da allevamento,
laboratori analisi, produzione di biogas, incenerimento, ...
L’intervento riporta poi
indicazioni sulle indagini svolte nello studio condotto dal SPSAL AUSL Reggio
Emilia e dall’I.Z.S di Bologna e diverse foto esplicative relative alle
possibili situazioni di rischio. Indagini che al di là del problema delle
polveri (concentrazione delle polveri e livelli di esposizione) si sono
soffermate sul contenuto di aflatossine nelle materie prime, nelle polveri
depositate sugli impianti o a terra, nell’aria.
Anche in questo caso sono
riportati diverse tabelle con i dati relativi all’esposizione a polveri e ad
aflatossine.
Riportiamo per concludere alcuni
suggerimenti dell’autore sul “
che fare”
per tutelare la salute dei lavoratori:
- “
informazione dei lavoratori (non ‘eventuale” : obbligatoria!!): se
anche le A. (Aflatossine, ndr) non sono nella lista dei cancerogeni
professionali, sono comunque cancerogeni, riconosciuti tali dalla scienza e
da altre leggi: da ciò l’obbligo di valutazione del rischio” (ex D.Lgs. 81/2008)
e di “informazione per i lavoratori (v. codice ICOH x Medico Competente)”;
- “
applicazione delle buone prassi di prevenzione per: evitare/limitare
la contaminazione di prodotti; risanare i prodotti contaminati (cernita
efficace); limitare la dispersione/inquinamento da polveri contaminate
(aspirazione e ventilazione degli amb. di lavoro); proteggere al meglio ogni
individuo esposto (DPI);
-
misurare per valutare il rischio residuo e/o l’efficacia delle
misure adottate;
-
sorveglianza sanitaria specifica (?!?): eventuale monitoraggio
biologico (?) con associata valutazione delle abitudini alimentari individuali…;
-
obbligo di denuncia (ex art 139 , DPR 1124/65), in caso di
epatocarcinoma, in esposto (attuale o ex esposto ) , come da Decreto Min.Lav.
10.06.14”.
E, naturalmente, conclude la
relazione, serve una “adeguata integrazione alla normativa attuale”.
“ Rischio aflatossine per i
lavoratori: una esperienza nei luoghi di lavoro”, a cura di Fulvio Ferri
(Medico del lavoro ASL Reggio Emilia), intervento al seminario “Le patologie
professionali e miglioramento delle notizie sullo stato di salute dei lavoratori:
l’occasione dei Piani regionali di prevenzione 2015-2018” (formato PDF, 11.81 MB).
Tiziano Menduto
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