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"Salute e sicurezza nelle aree portuali"

fonte www.puntosicuro.it / Ambienti Confinati

04/04/2016 -
La salute e sicurezza nelle aree portuali è questione che solo da alcuni lustri (non più di tre, vale a dire sostanzialmente dall'emanazione del decreto legislativo 272 del 1999) gode di un inquadramento universalmente riconosciuto nel pieno alveo della normativa generale italiana, prima decreto legislativo 626/94, poi decreto legislativo 81/08.
Salute e sicurezza nelle aree portuali” sono ovviamente da intendersi riferite (secondo l'ambito delineato dal decreto 272/99) alle due popolazioni lavorative più caratterizzate in ambito portuale, i lavoratori delle operazioni e servizi portuali e i lavoratori del distretto industriale della manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale.
 
Desta perciò come minimo o stupore la recente risposta all'interpello n. 10/15 che esclude l'applicabilità del DPR 177/2011 alle attività di manutenzione, riparazione, trasformazione navale nei porti disciplinate dal d.lgs. 272/99.
[…]
 
Perché non dovrebbero le disposizioni del decreto 177 applicarsi al settore delle riparazioni navali di cui al decreto 272/99? Settore che ha il tristissimo primato, proprio per una vicenda di “ambiente sospetto di inquinamento e confinato”, della più grave tragedia sul lavoro italiana degli ultimi sessant'anni? Settore in cui per altro da anni si sono sviluppate e consolidate pratiche aziendali assai virtuose nel senso del reale miglioramento continuo di SSL, tali da rendere non difficile l'implementazione dei percorsi di qualificazione del 177? Secondo la risposta all'interpello, cercando un filo logico, per due ordini di motivi:
 
1) perché il settore delle riparazioni navali gode di un regime normativo proprio (272/99) che per ora vale e per altro attende di essere compiutamente coordinato con il decreto 81.
 
Vero, ma la traccia storica attentamente analizzata testimonia che non di deroghe ed esclusioni si tratta con il 272 ma di integrazioni e specificazioni in uno sforzo, non comune alla normativa di SSL, di reale composizione unitaria della complessità del sistema; e le nuove disposizioni del DPR 177 non hanno un equivalente nella norma 272 che le possa assorbire per specialità.
 
2) perché il decreto 177/2011 si applica esclusivamente ai lavori di cui agli articoli 66 e 121 del decreto 81 e negli ambienti confinati di cui all' All.IV punto 3 decreto 81; l'articolo 66 è contenuto nel Titolo II (Luoghi di lavoro) e l'All.IV è allegato all'articolo 63 del Titolo II; e l'articolo 62 sancisce la non applicabilità dell'intero Titolo II (del decreto 81/08) ai “mezzi di trasporto” e ai “pescherecci”.
 
Tralasciando l'art.121 (Titolo IV, cantieri temporanei e mobili), l'art. 66 e l'All.IV punto 3, che sono i soli riferimenti al rischio da ambienti confinati precedenti al DPR 177 nella norma italiana, sono la trasposizione letterale degli articoli di 303 e 547 di pari contenuto e sono di matrice normativa squisitamente nazionale, non avendo la UE normato specificamente il rischio ambienti confinati; l' art. 62 ha i suoi chiari precedenti nella direttiva europea 89/654 sui luoghi di lavoro (che non parla di ambienti confinati), entrata poi direttamente nel decreto 626 e da qui nel Titolo II del decreto 81, trascinandovi l'esclusione ai mezzi di trasporto.
Per quanto lunga e tortuosa sia stata la vicenda giuridica dell'intreccio di queste disposizioni, nessun dubbio che la lettura da darsi all'esclusione dei mezzi di trasporto è propriamente quella di mezzi di trasporto nel loro esercizio di mezzi di trasporto .
Che dire allora delle navi (costitutivamente gusci ermeticamente chiusi) rispetto al rischio assai elevato da accesso in spazi confinati a bordo, a fronte di questa esclusione dall'applicazione del 177? Si è in carenza di riferimento normativo? Fortunatamente no, in quanto il settore marittimo da tempo ha una regolamentazione internazionale molto stringente (IMO Resolution A.864 1997 e SOLAS) sulle procedure di ingresso in ambienti confinati a bordo che prevede formazione, qualificazione, valutazione del rischio specifico, ruoli organizzativi e autorizzativi per l'ingresso.
 
Il riferimento normativo c'è, come ci sono dal 1999 le regole del 271, ma poi c'è la questione di fondo del 271, del sistema di vigilanza spuntato e di quanto poco questo decreto abbia messo in moto in questi sedici anni in termini di reale controllo dei rischi a bordo per i marittimi e quindi di effettiva applicazione della norma.
Ma questa è ancora la solita “altra storia”.
 
Io non so se vedranno mai la luce i provvedimenti che armonizzino le disposizioni di 271 (navi italiane con i loro lavoratori marittimi) e 272 (porti con le loro operazioni portuali e riparazioni navali) al nuovo spirito del decreto 81; serve ancora una volta una legge di delega, nei fatti purtroppo unica, per emanare i due nuovi decreti legislativi, perché tali sono 271 e 272, e non è possibile la loro rivisitazione con norma di rango inferiore; la sensazione è ancora una volta quella che gli ambiti portuali siano destinati a rimanere avviluppati in questo abbraccio mortale con il settore delle navi italiane con cui sono costretti a procedere affiancati; ed è un affiancamento che, pur motivato dalle ovvie interconnessioni logistiche (le navi italiane entrano anche nei porti italiani, ma vi entrano anche e prevalentemente navi straniere non soggette al decreto 271), è costato decenni di ambiguità, conflitti, fatiche, ritardi.
Per questo è augurabile che non si ritorni indietro rispetto ai punti fermi su cui negli ambiti portuali si sono costruite lentamente e si sviluppano oggi pratiche leali di salute e sicurezza sul lavoro.
 
 
 
 
 

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