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"Aspetti noti e meno noti del carrello semovente telescopico"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza Macchine ed Attrezzature

15/06/2016 -
Pubblichiamo un contributo di un nostro lettore, l’ing. Massimo Trolli (ex dirigente dell’Arpa Piemonte, Settore Verifiche Impiantistiche) che affronta gli aspetti più e meno noti del carrello semovente a braccio telescopico. Nei prossimi giorni l’approfondimento proseguirà analizzando le incongruenze relative alle tariffe per i compensi delle verifiche prime e successive del sollevatore telescopico.

Fra tutte le attrezzature di lavoro per il sollevamento, il mezzo che indubbiamente ha saputo far più strada (e non solo con le proprie gomme!) è il sollevatore telescopico – più correttamente definito carrello semovente a braccio telescopico, fisso o girevole, dalla terminologia adottata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS) – che si è imposto non temendo confronti soprattutto nel campo dell’edilizia ma anche in molti altri luoghi di lavoro grazie alle sue innumerevoli doti.
Citiamone alcune di queste doti: la sua agilità su ogni tipo di terreno, l’affidabilità dei suoi meccanismi e della sua elettronica, la compattezza delle dimensioni e la robustezza strutturale, l’immediatezza d’intervento consentita dalla sua mobilità. Ma su tutte queste apprezzabili qualità una in particolare svetta: l’estrema sua versatilità, data dalla possibilità di trasformarsi con molteplici accessori da valido supporto per lo spostamento ed il sollevamento di qualsiasi materiale, a insostituibile cestello (o piattaforma o navetta) porta persone per elevarle in altezza alla stessa stregua se non meglio di un ponte sviluppabile.
 
Da pala ad autogru, da muletto a macchina agricola e a ponte sviluppabile: tutto nel segno della sicurezza.
L’elenco degli accessori per il sollevamento materiali è cospicuo. Oltre al cestello, solitamente di incredibili dimensioni e portata, la benna (o pala) atta a spostare materiale terroso, macerie, sabbia, all’occorrenza anche neve; le forche, di varie dimensioni, per il sollevamento e lo spostamento di bancali su cui vengono accumulati materiali di qualsiasi tipo (sacchi di cemento/calce, blocchi di laterizio, piastrelle, pannelli isolanti, ecc.), materiali lapidei, ferri d’armatura, qualsiasi oggetto di dimensioni e di peso anche notevole; il braccetto tralicciato (o falcone) dotato di argano a fune, che consente di sollevare e posizionare carichi di peso massimo da 600 a 900 chilogrammi (ma anche superiori); le piastre con semplice gancio o con argano con gancio e fune per trasformarsi in una vera e propria autogru; le pinze per agganciare ad esempio balle di foraggio.
I suoi sistemi di sicurezza sono sempre al passo con l’evoluzione della tecnica: ricordiamo in particolare il dispositivo antiribaltamento che permette l’estensione del braccio sottoposto a carico fintantoché il momento ribaltante dato dal carico per la distanza progressiva di questo dal baricentro del mezzo è equilibrato dal momento stabilizzante tramite il suo peso proprio, opportunamente zavorrato. Tale dispositivo è costituito essenzialmente dal limitatore di momento prescritto dalla norma EN 15000 e reso obbligatorio solo dall’ottobre 2010 ( vedi Circ. MLPS n.° 31 del 24/12/2012). Esso interviene sui valori massimi della portata dell’estremità del braccio a seconda della sua estensione e presenta valori più “permissivi” quando il sollevatore telescopico è posizionato stabilmente su stabilizzatori anteriori (solitamente definiti principali) e, per molti modelli, pure posteriori (definiti secondari), mentre è più “severo” quando il mezzo è posizionato solo su gomme o si sposta col carico, non essendo richiesto logicamente nel trasporto un grosso sbraccio.
Piccola digressione: stupisce che nella circolare n. 31 succitata si confermi valido e sufficiente ad libitum l’unico sistema per la stabilità longitudinale del carrello previsto per i mezzi antecedenti l’ottobre 2010 con la norma EN 1459:1998/A1:2006: un dispositivo di allarme acustico o luminoso al posto del limitatore di momento. Le disposizioni contenute nella circolare n. 31 infatti sono in netto contrasto con il principio della massima sicurezza tecnologica possibile ovvero che l’evoluzione della tecnica determina l’individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, principio in sostanza confermato anche da una recente sentenza di Cassazione Penale ( Sez. IV – sentenza n. 3616 del 27/1/2016). Il limitatore di momento, essendo trascorso un più che ragionevole periodo di tempo, considerato che siamo nel 2016, dovrebbe esser imposto anche per i carrelli antecedenti l’ottobre 2010 e gli avvisatori acustici e luminosi dichiarati non a norma, cosa che invece la più volte citata circolare sembra escludere.
 
Il confronto vincente con le tradizionali gru di cantiere, sia per praticità sia per convenienza economica.
Tornando al carrello telescopico, per costruzioni che in genere non superino i due piani fuori terra esso risulta assolutamente vincente nel confronto con le tradizionali gru di cantiere, a rotazione bassa (automontanti) ed a rotazione alta (a torre). Ed è vincente su diversi fronti: vediamone qualcuno. Rispetto ad una gru di cantiere esso dà la possibilità di raggiungere ogni angolo dell’area di lavoro, consentendo sia di servire parti di edificio già coperte e quindi non più accessibili con le manovre di una gru e, cosa importantissima, di operare in spazi ugualmente inaccessibili perché al di fuori del raggio d’azione della stessa. Inoltre esso consente concreti risparmi di quei costi non indifferenti che implica invece il “piazzamento” di una gru a rotazione alta: evita di ricorrere ad una costosa autogru per il montaggio degli elementi della torre o della freccia e contro freccia e della zavorra di cui necessita invero anche la gru a rotazione bassa. Elimina il trasporto degli elementi componenti la gru o della gru stessa dal cantiere precedente, o dal sito in cui si trovano, al cantiere successivo e viceversa. Come la gru di cantiere anch’esso è noleggiabile ma di sicuro con oneri economici meno gravosi rispetto a quelli di una gru, se non altro per il semplice fatto che un sollevatore non deve esser installato in maniera stabile come le gru da cantiere. Esso si adegua facilmente alle esigenze addirittura giornaliere dell’impresario costruttore il quale, se non ne ha necessità in un determinato cantiere, può far lavorare il sollevatore telescopico altrove, eliminando con una buona gestione i periodi di inattività oppure, in caso di noleggio, potrebbe restituirlo in un battibaleno alla ditta noleggiatrice per il periodo in cui non ne ha bisogno per riprenderselo all’occorrenza, limitando in tal modo i costi.
 
Ma c’è pure una superiorità del carrello per quanto riguarda le implicazioni burocratiche e le condizioni di sicurezza.
Anche da un punto di vista formale, burocratico per così dire, il sollevatore implica una “ricaduta” più leggera rispetto alle gru tradizionali. Con il suo utilizzo per esempio si evitano gli adempimenti di alcuni obblighi derivanti dal rispetto delle disposizioni sulla sicurezza imposte invece dal D.lgs. 81/08 per le gru. Pensiamo alle disposizioni che per ogni installazione di gru a torre prevedono la valutazione e la certificazione dell’idoneità del piano d’appoggio; la dichiarazione per ogni installazione da parte di persona esperta dell’avvenuto montaggio della gru a regola d’arte secondo le istruzioni del Fabbricante; l’esecuzione dell’impianto di messa a terra da predisporre e certificare oltre che per il cantiere anche per la gru, alla stessa stregua dell’eventuale impianto di protezione dalle scariche atmosferiche ad essa riservato; la formulazione di un piano di lavoro o meglio di un capitolo appositamente dedicato nel documento di valutazione dei rischi riguardante l’osservanza delle sicurezze relative sia alla possibile interferenza di una gru con altre gru o altri ostacoli sia alle zone sottostanti il raggio d’azione del braccio della gru, permanentemente pericolose per i lavoratori che vi accedono; gli oneri e la precisa programmazione dei controlli e della manutenzione degli organi funzionali e dei dispositivi di sicurezza di un’attrezzatura di lavoro quale è la gru esposta alle variazioni meteorologiche sia per la durata del cantiere e sia anche durante l’eventuale rimessaggio all’aperto e così via.
 
Anche il carrello ha però un limite, superabilissimo con l’aiuto di altre attrezzature mobili, in particolare della gru su autocarro.
Per contro il sollevatore telescopico, libero dalle suddette incombenze, burocratiche e non, è penalizzato dai limiti imposti dall’altezza del piano da servire.
Ovvio che, oltre una certa altezza massima, equivalente s’è detto in genere al secondo piano fuori terra di un edificio, diventa problematico sollevare dei carichi di una certa consistenza perché il braccio del mezzo non arriva e l’estensione massima del braccio, rammentiamo, può esigere per via del limitatore una riduzione della portata consentita. Tuttavia per superare le difficoltà che l’altezza da raggiungere comporta, il costruttore può ricorrere sia alle autopompe per il getto in cemento prelevato da autobetoniere, di solette e pilastri, sia alle gru installate su autocarri, anch’esse estremamente agili ed incredibilmente soddisfacenti dal punto di vista prestazionale (altezze raggiungibili, portate e raggio d’azione le più importanti). Tanto è vero che la gru su autocarro è oggi ritenuta indispensabile dalle imprese specializzate nella realizzazione di tetti anche di edifici a considerevole altezza: con l’accessorio verricello si trasforma in una gru mobile a tutti gli effetti.
L’uso abbinato dei due mezzi mobili in questione, cioè sollevatore e gru su autocarro, può effettivamente far dimenticare i servizi resi dalla gru da cantiere ed anzi superarli in praticità e convenienza.
 
Non è stato così semplice formalizzare la regolarità del carrello nei controlli di Legge. E non lo è tuttora.
Parliamo ora di ciò che comporta il sollevatore telescopico (carrello semovente a braccio telescopico – fisso o girevole – secondo il MLPS), sotto l’aspetto della regolarizzazione prevista dalla Legge in particolare per quanto riguarda la messa in servizio, l’immatricolazione, la prima verifica ed le verifiche successive alla prima.
Diciamo subito che il MLPS si è, come dire, accorto in ritardo dell’ampia diffusione e dell’importanza di questa attrezzatura per il sollevamento di materiali (SC) e persone (SP).
Infatti prima dell’entrata in vigore del Testo Unico sulla Sicurezza, ovvero il D.lgs. 81/08, il sollevatore non ha avuto una sua fisionomia ben precisa che lo contraddistinguesse da altri mezzi simili atti al sollevamento. A volte veniva declassato, se dotato di forche, al ruolo di semplice muletto/carrello industriale, per il quale, fino ad una certa epoca, non necessitava neppure la verifica periodica (vedi circ. Ispesl n. 70 del 12/08/92); altre volte, se dotato di gancio o verricello, veniva assurto ad autogru e, in caso di cestello porta persone, veniva assimilato a ponte sviluppabile. Proprio a queste due ultime tipologie di apparecchiature il verificatore, che a quei tempi era solo ad incarico istituzionale (ASL o Arpa), faceva riferimento nell’effettuazione delle verifiche e nell’individuazione delle relative tariffe di verifica da applicare, tariffe che erano stabilite autonomamente da ogni singola ASL o Arpa del territorio nazionale oppure che erano quelle pubblicate dal Ministero del Lavoro il quale, d’altra parte, lasciava un po’ nel vago le possibilità di riconoscimento del sollevatore telescopico.
 
I vari “accatastamenti” subiti dal carrello nel tempo.
Il verificatore ASL o Arpa si trovava infatti frequentemente a dover controllare ed effettuare la prima verifica del sollevatore, come di molte altre attrezzature, seguendo la procedura comunemente definita di verifica d’esercizio (o zoppa) che altro non era se non una normale e comunissima seconda verifica.
Questo accadeva perché, a partire dall’anno 1996 - quando in Italia il D. lgs. 459/96 aveva stabilito, fra l’altro, che tutti i nuovi mezzi di lavoro fossero costruiti a marchio CE, ovvero in conformità alle direttive comunitarie europee sulla sicurezza sul lavoro - fino agli anni precedenti la promulgazione del DM 11 aprile 2011, l’Ispesl cominciava per carenza d’organico a non esser molto presente sul territorio per effettuare le prime verifiche di attrezzature di lavoro. Quindi la procedura della verifica d’esercizio in quegli anni era stata intesa per validare a titolo provvisorio, da parte dei verificatori ASL/Arpa, l’utilizzo delle attrezzature di lavoro in attesa che l’Ispesl, cioè l’ente ufficialmente incaricato dei collaudi, poi definiti prime verifiche, si potenziasse nell’organico e riprendesse in esame quei mezzi per sottoporli ad un collaudo/controllo vero e proprio.
Come sappiamo il DM 11 aprile 2011 ha sancito che la strategia politica attuata dal MLPS è stata quella di non potenziare l’Ispesl ma di soccorrerlo con la liberalizzazione delle verifiche (prime e successive alla prima) a favore di soggetti pubblici e privati, agenti in sostituzione dell’Ispesl, integratosi col decreto suddetto nell’INAIL, nei casi in cui l’ente non riesca ad intervenire, per l’identico precedente motivo di carenza d’organico, come primo soggetto verificatore.
Con una “serena” decisione d’ufficio il MLPS ha poi stabilito (punto 10 della Circolare n. 23 del 13/08/2012) che le verifiche d’esercizio equivalessero, per le attrezzature sottoposte a quel tipo di verifica, in tutto e per tutto ad un collaudo o prima verifica, ritenendo inutile anche l’attuale scheda tecnica informativa equivalente al libretto di prima verifica rilasciato dall’Ispesl quando ancora questo era operativo. Tale decisione, oltre ad apparire alquanto discutibile e assolutamente non condivisa da parecchi verificatori esperti che lavorano sul campo da una vita, è in netto contrasto con quanto asserito dallo stesso INAIL nelle sue “Istruzioni per la prima verifica periodica di carrelli semoventi a braccio telescopico” – edizione 2014 – pag. 25:
La compilazione della scheda tecnica è “funzionale a consentire l’identificazione dell’attrezzatura nel corso delle verifiche periodiche (sia nella prima che nelle successive); prevede il recupero di tutte le informazioni necessarie ad individuare l’attrezzatura, reperibili dalla documentazione a corredo della stessa (istruzioni, dichiarazione di conformità, attestazione della conformità ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V al D.Lgs. 81/08 e s.m.i.) ovvero rintracciabili direttamente sull’attrezzatura al momento della verifica (evenienza questa cui ricorrere solo in caso di mancata indicazione sulla documentazione e che per chiarezza dovrebbe essere specificata sulla scheda)”
 
In questo contesto storico è plausibile che un mezzo quale il sollevatore telescopico, che incominciava a diffondersi capillarmente negli ambienti di lavoro, non sia stato oggetto della giusta considerazione che avrebbe dovuto avere, e sia invece stato “mascherato” con varie tipologie prese a prestito.
Con il Testo Unico l’esistenza dell’attrezzatura sollevatore diventa più individuabile. Però nella sua prima versione, emessa come D.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, nulla ancora si riportava a proposito dei carrelli semoventi telescopici e tantomeno il mezzo era citato nell’Allegato VII in merito alla periodicità degli interventi di verifica.
Ci sono volute le successive modifiche ed integrazioni (s.m.i.) apportate al Testo Unico dal D.lgs. 106/09 in vigore dal 20 agosto 2009 perché il carrello semovente, sempre nell’Allegato VII, ottenesse una sua effettiva identità e l’indicazione della periodicità annuale delle sue verifiche indipendentemente dall’ambiente di lavoro in cui esso venisse utilizzato.
Ma l’allegato di cui sopra ancora non si addentrava più di tanto nell’affrontare l’argomento sollevatore telescopico, di modo che i funzionari delle varie sedi territoriali dell’Ispesl (ora INAIL) trattavano ognuna a modo proprio l’immatricolazione del mezzo che l’utente poteva quindi richiedere come ponte sviluppabile, come autogru, come muletto, come carrello semovente e così via.
Di conseguenza varie sono state le soluzioni adottate da tutte le sedi Ispesl per immatricolare un sollevatore telescopico e diverse potevano esser le matricole attribuite ad uno stesso carrello semovente telescopico, da muletto/carrello/autogru, a muletto/carrello a forche, a muletto/carrello/ponte sviluppabile e così via.
Capitava poi che i funzionari ASL/Arpa da parte loro, trovandosi al cospetto di sollevatori con più accessori intercambiabili, rilasciassero per lo stesso mezzo più verbali di verifica d’esercizio con identica matricola ma specificando in ognuno quale fosse l’insieme sollevatore/accessorio verificato.
 
Ing. Massimo Trolli
ex Dirigente Arpa Piemonte – Settore Verifiche Impiantistiche
 
 
 
 
 
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro - Circolare n. 22 del 13 agosto 2012 –Trasmissione documentazione concernente le attrezzature di lavoro rientranti nel decreto ministeriale 4 marzo 1982 e nell’allegato VII del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.

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