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"Aspetti noti e meno noti del carrello semovente telescopico"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza Macchine ed Attrezzature
15/06/2016 -
Pubblichiamo
un contributo di un nostro lettore, l’ing. Massimo Trolli (ex dirigente
dell’Arpa Piemonte, Settore Verifiche Impiantistiche) che affronta gli aspetti
più e meno noti del
carrello semovente a braccio telescopico. Nei prossimi
giorni l’approfondimento proseguirà analizzando
le incongruenze relative alle tariffe per i compensi delle verifiche prime e
successive del sollevatore telescopico.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione
Generale della tutela delle condizioni di lavoro - Circolare n. 22 del 13
agosto 2012 –Trasmissione documentazione concernente le attrezzature di lavoro
rientranti nel decreto ministeriale 4 marzo 1982 e nell’allegato VII del D.Lgs.
81/08 e s.m.i.
Fra
tutte le attrezzature di lavoro per il sollevamento, il mezzo che indubbiamente
ha saputo far più strada (e non solo con le proprie gomme!) è il sollevatore
telescopico – più correttamente definito carrello semovente a braccio
telescopico, fisso o girevole, dalla terminologia adottata dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS) – che si è imposto non temendo
confronti soprattutto nel campo dell’edilizia ma anche in molti altri luoghi di
lavoro grazie alle sue innumerevoli doti.
Citiamone
alcune di queste doti: la sua agilità su ogni tipo di terreno, l’affidabilità
dei suoi meccanismi e della sua elettronica, la compattezza delle dimensioni e
la robustezza strutturale, l’immediatezza d’intervento consentita dalla sua
mobilità. Ma su tutte queste apprezzabili qualità una in particolare svetta:
l’estrema sua versatilità, data dalla possibilità di trasformarsi con
molteplici
accessori da valido supporto per lo spostamento ed il
sollevamento di qualsiasi materiale, a
insostituibile cestello (o
piattaforma o navetta) porta persone per elevarle in altezza alla stessa
stregua se non meglio di un ponte sviluppabile.
Da
pala ad autogru, da muletto a macchina agricola e a ponte sviluppabile: tutto
nel segno della sicurezza.
L’elenco
degli accessori per il sollevamento materiali è cospicuo. Oltre al
cestello,
solitamente di incredibili dimensioni e portata, la
benna (o
pala)
atta a spostare materiale terroso, macerie, sabbia, all’occorrenza anche neve;
le
forche, di varie dimensioni, per il sollevamento e lo spostamento di
bancali su cui vengono accumulati materiali di qualsiasi tipo (sacchi di
cemento/calce, blocchi di laterizio, piastrelle, pannelli isolanti, ecc.),
materiali lapidei, ferri d’armatura, qualsiasi oggetto di dimensioni e di peso
anche notevole; il
braccetto tralicciato (o
falcone) dotato di argano
a fune, che consente di sollevare e posizionare carichi di peso massimo da 600 a 900 chilogrammi (ma
anche superiori); le
piastre con semplice
gancio o
con argano
con gancio e fune per trasformarsi in una vera e propria autogru; le
pinze
per agganciare ad esempio balle di foraggio.
I
suoi sistemi di sicurezza sono sempre al passo con l’evoluzione della tecnica:
ricordiamo in particolare il dispositivo
antiribaltamento che permette
l’estensione del braccio sottoposto a carico fintantoché il momento ribaltante
dato dal carico per la distanza progressiva di questo dal baricentro del mezzo
è equilibrato dal momento stabilizzante tramite il suo peso proprio,
opportunamente zavorrato. Tale dispositivo è costituito essenzialmente dal
limitatore
di momento prescritto dalla norma EN 15000 e reso obbligatorio solo
dall’ottobre 2010 ( vedi
Circ. MLPS n.° 31 del 24/12/2012). Esso interviene sui valori massimi della
portata dell’estremità del braccio a seconda della sua estensione e presenta
valori più “permissivi” quando il sollevatore telescopico è posizionato
stabilmente su
stabilizzatori anteriori (solitamente definiti
principali) e, per molti modelli, pure posteriori (definiti secondari), mentre
è più “severo” quando il mezzo è posizionato solo su gomme o si sposta col
carico, non essendo richiesto logicamente nel trasporto un grosso sbraccio.
Piccola
digressione: stupisce che nella circolare n. 31 succitata si confermi valido e
sufficiente ad libitum l’unico sistema per la stabilità longitudinale del
carrello previsto per i mezzi antecedenti l’ottobre 2010 con la norma EN
1459:1998/A1:2006: un dispositivo di allarme acustico o luminoso al posto del
limitatore di momento. Le disposizioni contenute nella circolare n. 31 infatti
sono in netto contrasto con il principio della massima sicurezza tecnologica
possibile ovvero che l’evoluzione della tecnica determina l’individuazione di
tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, principio in sostanza
confermato anche da una recente sentenza di Cassazione Penale ( Sez. IV – sentenza
n. 3616 del 27/1/2016). Il limitatore di momento, essendo trascorso un più
che ragionevole periodo di tempo, considerato che siamo nel 2016, dovrebbe
esser imposto anche per i carrelli antecedenti l’ottobre 2010 e gli avvisatori
acustici e luminosi dichiarati non a norma, cosa che invece la più volte citata
circolare sembra escludere.
Il
confronto vincente con le tradizionali gru di cantiere, sia per praticità sia
per convenienza economica.
Tornando
al carrello telescopico, per costruzioni che in genere non superino i due piani
fuori terra esso risulta assolutamente vincente nel confronto con le
tradizionali gru di cantiere, a rotazione bassa (automontanti) ed a rotazione
alta (a torre). Ed è vincente su diversi fronti: vediamone qualcuno. Rispetto
ad una gru di cantiere esso dà la possibilità di raggiungere ogni angolo
dell’area di lavoro, consentendo sia di servire parti di edificio già coperte e
quindi non più accessibili con le manovre di una gru e, cosa importantissima,
di operare in spazi ugualmente inaccessibili perché al di fuori del raggio
d’azione della stessa. Inoltre esso consente concreti risparmi di quei costi
non indifferenti che implica invece il “piazzamento” di una gru a rotazione
alta: evita di ricorrere ad una costosa autogru per il montaggio degli elementi
della torre o della freccia e contro freccia e della zavorra di cui necessita
invero anche la gru a rotazione bassa. Elimina il trasporto degli elementi
componenti la gru o della gru stessa dal cantiere precedente, o dal sito in cui
si trovano, al cantiere successivo e viceversa. Come la gru di cantiere
anch’esso è noleggiabile ma di sicuro con oneri economici meno gravosi rispetto
a quelli di una gru, se non altro per il semplice fatto che un sollevatore non
deve esser installato in maniera stabile come le gru da cantiere. Esso si
adegua facilmente alle esigenze addirittura giornaliere dell’impresario
costruttore il quale, se non ne ha necessità in un determinato cantiere, può
far lavorare il sollevatore telescopico altrove, eliminando con una buona
gestione i periodi di inattività oppure, in caso di noleggio, potrebbe
restituirlo in un battibaleno alla ditta noleggiatrice per il periodo in cui
non ne ha bisogno per riprenderselo all’occorrenza, limitando in tal modo i
costi.
Ma
c’è pure una superiorità del carrello per quanto riguarda le implicazioni
burocratiche e le condizioni di sicurezza.
Anche
da un punto di vista formale, burocratico per così dire, il sollevatore implica
una “ricaduta” più leggera rispetto alle gru tradizionali. Con il suo utilizzo
per esempio si evitano gli adempimenti di alcuni obblighi derivanti dal
rispetto delle disposizioni sulla sicurezza imposte invece dal D.lgs. 81/08 per
le gru. Pensiamo alle disposizioni che per ogni installazione di gru a torre
prevedono la valutazione e la certificazione dell’idoneità del piano
d’appoggio; la dichiarazione per ogni installazione da parte di persona esperta
dell’avvenuto montaggio della gru a regola d’arte secondo le istruzioni del
Fabbricante; l’esecuzione dell’impianto di messa a terra da predisporre e
certificare oltre che per il cantiere anche per la gru, alla stessa stregua
dell’eventuale impianto di protezione dalle scariche atmosferiche ad essa
riservato; la formulazione di un piano di lavoro o meglio di un capitolo
appositamente dedicato nel documento di valutazione dei rischi riguardante
l’osservanza delle sicurezze relative sia alla possibile interferenza di una
gru con altre gru o altri ostacoli sia alle zone sottostanti il raggio d’azione
del braccio della gru, permanentemente pericolose per i lavoratori che vi
accedono; gli oneri e la precisa programmazione dei controlli e della
manutenzione degli organi funzionali e dei dispositivi di sicurezza di
un’attrezzatura di lavoro quale è la gru esposta alle variazioni meteorologiche
sia per la durata del cantiere e sia anche durante l’eventuale rimessaggio
all’aperto e così via.
Anche
il carrello ha però un limite, superabilissimo con l’aiuto di altre
attrezzature mobili, in particolare della gru su autocarro.
Per
contro il sollevatore telescopico, libero dalle suddette incombenze,
burocratiche e non, è penalizzato dai limiti imposti dall’altezza del piano da
servire.
Ovvio
che, oltre una certa altezza massima, equivalente s’è detto in genere al
secondo piano fuori terra di un edificio, diventa problematico sollevare dei
carichi di una certa consistenza perché il braccio del mezzo non arriva e
l’estensione massima del braccio, rammentiamo, può esigere per via del
limitatore una riduzione della portata consentita. Tuttavia per superare le
difficoltà che l’altezza da raggiungere comporta, il costruttore può ricorrere
sia alle autopompe per il getto in cemento prelevato da autobetoniere, di
solette e pilastri, sia alle gru installate su autocarri, anch’esse
estremamente agili ed incredibilmente soddisfacenti dal punto di vista
prestazionale (altezze raggiungibili, portate e raggio d’azione le più
importanti). Tanto è vero che la gru su autocarro è oggi ritenuta
indispensabile dalle imprese specializzate nella realizzazione di tetti anche
di edifici a considerevole altezza: con l’accessorio verricello si trasforma in
una gru mobile a tutti gli effetti.
L’uso
abbinato dei due mezzi mobili in questione, cioè sollevatore e gru su
autocarro, può effettivamente far dimenticare i servizi resi dalla gru da cantiere
ed anzi superarli in praticità e convenienza.
Non
è stato così semplice formalizzare la regolarità del carrello nei controlli di
Legge. E non lo è tuttora.
Parliamo
ora di ciò che comporta il sollevatore telescopico (carrello semovente a
braccio telescopico – fisso o girevole – secondo il MLPS), sotto l’aspetto
della regolarizzazione prevista dalla Legge in particolare per quanto riguarda
la messa in servizio, l’immatricolazione, la prima
verifica ed le verifiche successive alla prima.
Diciamo
subito che il MLPS si è, come dire, accorto in ritardo dell’ampia diffusione e
dell’importanza di questa attrezzatura per il sollevamento di materiali (SC) e
persone (SP).
Infatti
prima dell’entrata in vigore del Testo Unico sulla Sicurezza, ovvero il D.lgs.
81/08, il sollevatore non ha avuto una sua fisionomia ben precisa che lo
contraddistinguesse da altri mezzi simili atti al sollevamento. A volte veniva
declassato, se dotato di forche, al ruolo di semplice muletto/carrello
industriale, per il quale, fino ad una certa epoca, non necessitava neppure la
verifica periodica (vedi circ. Ispesl n. 70 del 12/08/92); altre volte, se
dotato di gancio o verricello, veniva assurto ad autogru e, in caso di cestello
porta persone, veniva assimilato a ponte sviluppabile. Proprio a queste due
ultime tipologie di apparecchiature il verificatore, che a quei tempi era solo
ad incarico istituzionale (ASL o Arpa), faceva riferimento nell’effettuazione
delle verifiche e nell’individuazione delle relative tariffe di verifica da
applicare, tariffe che erano stabilite autonomamente da ogni singola ASL o Arpa
del territorio nazionale oppure che erano quelle pubblicate dal Ministero del
Lavoro il quale, d’altra parte, lasciava un po’ nel vago le possibilità di
riconoscimento del sollevatore telescopico.
I
vari “accatastamenti” subiti dal carrello nel tempo.
Il
verificatore ASL o Arpa si trovava infatti frequentemente a dover controllare
ed effettuare la prima verifica del sollevatore, come di molte altre
attrezzature, seguendo la procedura comunemente definita di
verifica
d’esercizio (o zoppa) che altro non era se non una normale e comunissima
seconda verifica.
Questo
accadeva perché, a partire dall’anno 1996 - quando in Italia il D. lgs. 459/96
aveva stabilito, fra l’altro, che tutti i nuovi mezzi di lavoro fossero
costruiti a marchio CE, ovvero in conformità alle direttive comunitarie europee
sulla sicurezza sul lavoro - fino agli anni precedenti la promulgazione del DM
11 aprile 2011, l’Ispesl cominciava per carenza d’organico a non esser
molto presente sul territorio per effettuare le prime verifiche di attrezzature
di lavoro. Quindi la procedura della verifica d’esercizio in quegli anni era
stata intesa per validare a titolo provvisorio, da parte dei verificatori
ASL/Arpa, l’utilizzo delle attrezzature di lavoro in attesa che l’Ispesl, cioè
l’ente ufficialmente incaricato dei collaudi, poi definiti prime verifiche, si
potenziasse nell’organico e riprendesse in esame quei mezzi per sottoporli ad
un collaudo/controllo vero e proprio.
Come
sappiamo il DM 11 aprile 2011
ha sancito che la strategia politica attuata dal MLPS è
stata quella di non potenziare l’Ispesl ma di soccorrerlo con la
liberalizzazione delle verifiche (prime e successive alla prima) a favore di
soggetti pubblici e privati, agenti in sostituzione dell’Ispesl, integratosi
col decreto suddetto nell’INAIL, nei casi in cui l’ente non riesca ad
intervenire, per l’identico precedente motivo di carenza d’organico, come primo
soggetto verificatore.
Con
una “serena” decisione d’ufficio il MLPS ha poi stabilito (punto 10 della Circolare
n. 23 del 13/08/2012) che le verifiche d’esercizio equivalessero, per le
attrezzature sottoposte a quel tipo di verifica, in tutto e per tutto ad un
collaudo o prima verifica, ritenendo inutile anche l’attuale scheda tecnica
informativa equivalente al libretto di prima verifica rilasciato dall’Ispesl
quando ancora questo era operativo. Tale decisione, oltre ad apparire alquanto
discutibile e assolutamente non condivisa da parecchi verificatori esperti che
lavorano sul campo da una vita, è in netto contrasto con quanto asserito dallo
stesso INAIL nelle sue “Istruzioni per la prima verifica periodica
di
carrelli semoventi a braccio telescopico” – edizione 2014 – pag. 25:
“
La compilazione della scheda tecnica è “funzionale a
consentire l’identificazione dell’attrezzatura nel corso delle verifiche
periodiche (sia nella prima che nelle successive); prevede il recupero di tutte
le informazioni necessarie ad individuare l’attrezzatura, reperibili dalla
documentazione a corredo della stessa (istruzioni, dichiarazione di conformità,
attestazione della conformità ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V
al D.Lgs. 81/08 e s.m.i.) ovvero rintracciabili direttamente sull’attrezzatura
al momento della verifica (evenienza questa cui ricorrere solo in caso di
mancata indicazione sulla documentazione e che per chiarezza dovrebbe essere
specificata sulla scheda)”
In
questo contesto storico è plausibile che un mezzo quale il sollevatore
telescopico, che incominciava a diffondersi capillarmente negli ambienti di
lavoro, non sia stato oggetto della giusta considerazione che avrebbe dovuto
avere, e sia invece stato “mascherato” con varie tipologie prese a prestito.
Con
il Testo Unico l’esistenza dell’attrezzatura sollevatore diventa più
individuabile. Però nella sua prima versione, emessa come D.lgs. 9 aprile 2008
n. 81, nulla ancora si riportava a proposito dei carrelli semoventi telescopici
e tantomeno il mezzo era citato nell’Allegato VII in merito alla periodicità
degli interventi di verifica.
Ci
sono volute le successive modifiche ed integrazioni (s.m.i.) apportate al Testo
Unico dal D.lgs. 106/09 in vigore dal 20 agosto 2009 perché il carrello
semovente, sempre nell’Allegato VII, ottenesse una sua effettiva identità e
l’indicazione della periodicità annuale delle sue verifiche indipendentemente
dall’ambiente di lavoro in cui esso venisse utilizzato.
Ma
l’allegato di cui sopra ancora non si addentrava più di tanto nell’affrontare
l’argomento sollevatore telescopico, di modo che i funzionari delle varie sedi
territoriali dell’Ispesl (ora INAIL) trattavano ognuna a modo proprio
l’immatricolazione del mezzo che l’utente poteva quindi richiedere come ponte
sviluppabile, come autogru, come muletto, come carrello semovente e così via.
Di
conseguenza varie sono state le soluzioni adottate da tutte le sedi Ispesl per
immatricolare un sollevatore telescopico e diverse potevano esser le matricole
attribuite ad uno stesso carrello semovente telescopico, da
muletto/carrello/autogru, a muletto/carrello a forche, a muletto/carrello/ponte
sviluppabile e così via.
Capitava
poi che i funzionari ASL/Arpa da parte loro, trovandosi al cospetto di
sollevatori con più accessori intercambiabili, rilasciassero per lo stesso
mezzo più verbali di verifica d’esercizio con identica matricola ma
specificando in ognuno quale fosse l’insieme sollevatore/accessorio verificato.
Ing. Massimo Trolli
ex Dirigente Arpa Piemonte – Settore Verifiche
Impiantistiche
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