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"D.Lgs. 231/2001: i modelli organizzativi e il risk management"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
21/06/2016 - L’ Università di Urbino “Carlo Bo” ha
organizzato in questi anni diversi seminari, conferenze e convegni per
affrontare le tematiche correlate agli aspetti normativi e giuridici
della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E gli
interventi in questi incontri spesso ci permettono di fare un riepilogo
delle norme vigenti e di approfondirne e chiarirne alcuni dettagli.
Per questo motivo presentiamo oggi un intervento che si sofferma sui
modelli di organizzazione e sul Decreto legislativo n. 231/2001 relativo ad una serie di incontri, organizzati nel 2015 dall’Università, dal titolo “
Quale salute e sicurezza per i lavoratori nelle imprese? Metodologie didattiche attive testimonianze e studi di caso”.
In particolare il 4 maggio 2015
l’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz - Risk Manager - Docente di Teoria del
Rischio - Università La Cattolica del Sacro Cuore, Roma) ha presentato una
relazione su “
Il modello di
organizzazione e gestione nelle imprese” in cui ha ricordato che l’8 giugno
2001 è stato emanato il D.Lgs. 231/2001
recante ‘
Disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica’, che ha inteso “adeguare la normativa
interna in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune
convenzioni internazionali”.
Tale disciplina “ha introdotto,
per la prima volta in Italia, una peculiare forma di responsabilità
degli enti per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli
stessi, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione
o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia
finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la
gestione ed il controllo dello stesso e, infine, da persone sottoposte alla
direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati”. E tale responsabilità
“si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il
fatto”. Dunque il decreto – continua la relazione - “mira a coinvolgere, nella
punizione di taluni illeciti penali, il patrimonio degli enti che abbiano
tratto un vantaggio dalla commissione dell’illecito. Per tutti gli illeciti
commessi è sempre prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria; per i
casi più gravi sono previste anche misure interdittive quali la sospensione o
revoca di licenze e concessioni, il divieto di contrarre con la P.A.,
l’interdizione dall’esercizio dell’attività, l’esclusione o revoca di
finanziamenti e contributi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi”.
Rimandiamo ad una lettura
integrale degli atti dell’intervento che riporta anche un elenco aggiornato dei
reati “la cui commissione da parte dei dipendenti delle Società, nel caso in
cui essi rivestano una posizione apicale ovvero siano sottoposti all’altrui
controllo e vigilanza, determina, al ricorrere dei presupposti previsti dal
D.Lgs. 231/2001, l’insorgenza della responsabilità amministrativa della Società”.
L’intervento ricorda poi che l’art.
9 della
Legge 3 agosto 2007 n. 123
ha “introdotto nel D.Lgs. 231/01 l’art. 25-septies “
Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con
violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della
salute sul lavoro”, successivamente modificato dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n.
81. E indica che le categorie dei cosiddetti “reati presupposto” potranno “essere
incrementate da ulteriori fattispecie meritevoli di tutela, attraverso
specifiche previsioni normative”.
La relazione segnala poi che istituita
la responsabilità
amministrativa degli enti, “l’articolo 6 del Decreto stabilisce che l’ente
non ne risponde nel caso in cui dimostri di
aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del
fatto, un Modello idoneo a prevenire Reati della specie di quello verificatosi”.
In particolare “ove il reato
venga commesso da soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di
amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa
dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da soggetti che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, l’ente non
risponde se prova che:
- l’organo dirigente ha adottato
ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un Modello idoneo
a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- il compito di vigilare sul
funzionamento e l’osservanza dei Modelli e di curare il loro aggiornamento sia
stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa
e di controllo;
- non vi sia stata omessa o
insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo in ordine ai
Modelli;
- i soggetti abbiano commesso il
reato eludendo fraudolentemente i Modelli”.
Nel caso, invece, che il reato
venga commesso da “soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno
dei soggetti sopra indicati, l’ente è responsabile se la commissione del reato
è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e
vigilanza”. Tuttavia tale inosservanza è esclusa qualora l’ente, prima della
commissione del reato, abbia adottato ed efficacemente attuato Modelli idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi, secondo una valutazione
che deve necessariamente essere a priori”.
In particolare i modelli di
organizzazione devono “rispondere alle seguenti
esigenze:
- “individuare le attività nel
cui ambito possano essere commessi i reati previsti dal Decreto;
- prevedere specifici protocolli
diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in
relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di
gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di tali
reati;
- predisporre un adeguato sistema
di controllo interno in grado di prevenire o ridurre il rischio di commissione
dei Reati attraverso la struttura organizzativa, le attività e le regole
attuate dal management e dal personale interno volte a fornire una ragionevole
sicurezza in merito al raggiungimento delle finalità delle operazioni
gestionali, di attendibilità delle informazioni aziendali, e di conformità alle
leggi, ai regolamenti ed alle politiche interne;
- prevedere obblighi di informazione
nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e
l’osservanza dei Modelli;
- introdurre un sistema
disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nei
Modelli”.
Inoltre – continua la relazione -
l’articolo 6 del Decreto dispone che i Modelli “possano essere adottati sulla
base di codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di
categoria, comunicati al Ministero della Giustizia. Resta inteso che la scelta di non adeguare i
Modelli ad alcune specifiche indicazioni di cui alle Linee Guida, non inficia
la validità degli stessi. I Modelli, infatti, dovendo essere predisposti con
riferimento alla realtà concreta della società, ben possono discostarsi dalle
Linee Guida che, per loro natura, hanno carattere generale”.
Riguardo ai
modelli di organizzazione il relatore, da un punto di vista
metodico e applicativo, ricorda che “per ogni fase del processo produttivo deve
essere definito il dettaglio delle attività e le figure di riferimento. Devono
essere dettagliati i riferimenti a specifica documentazione di rilievo al fine
di fornire ai soggetti responsabili gli strumenti per l’ottimale svolgimento
delle proprie mansioni in coerenza con le procedure aziendali”. Inoltre l’Azienda
deve fornire chiare istruzioni “in merito alle attività di reporting che le
varie funzioni aziendali sono tenute ad implementare, delineando per ogni
differente tipologia di reportistica, i soggetti responsabili e la frequenza di
inoltro. A richiesta può essere predisposta un’analisi ad hoc su temi
specifici, ed in generale la funzione aziendale è tenuta a fornire qualsiasi
dato o informazione utile all’esecuzione di controlli e verifiche”.
Si indica poi che l’Azienda deve “sviluppare
un
sistema di Risk Management con la
finalità di identificare, valutare e gestire gli elementi di rischio che
potrebbero ostacolare la realizzazione degli obiettivi prefissati e le cui
conseguenze potrebbero minare la solvibilità dell’Azienda”.
Si ricorda, a questo proposito,
che il
sistema di gestione dei rischi
è basato su processi di:
-
identificazione del rischio: “volto ad individuare i fattori
rilevanti;
-
misurazione del rischio: volto a quantificare l’impatto economico
in termini di perdita media attesa;
-
governance del rischio: volto a definire e monitorare attraverso
azioni manageriali i rischi rilevati;
-
cultura del risk management: volta ad accrescere la creazione del
valore, minimizzando i possibili impatti negativi”.
La relazione si sofferma poi sul manuale
di Risk Management che “permette di definire e regolare le modalità operative
seguite per la gestione e il monitoraggio dei rischi a cui l’Azienda risulta
esposta, prevedendo in particolare che la revisione dei rischi venga effettuata
in modo continuo e con cadenza almeno trimestrale”. E sono descritte le
fasi in cui si deve articolare il
lavoro di “aggiornamento della mappatura delle Attività Sensibili, sulle cui
basi si deve predisporre il Modello:
-
audit: “l’identificazione delle Attività Sensibili deve essere
attuata attraverso il previo esame della documentazione aziendale (statuto,
verbali del Consiglio di Amministrazione, principali procedure in essere,
procure, ecc..) e una serie di interviste con i soggetti chiave nell’ambito
della struttura aziendale (Amministratore Delegato, Responsabile
Amministrazione, ecc.) mirate all’individuazione delle Attività Sensibili e dei
controlli esistenti sulle stesse.
Altresì deve essere, portata a termine una ricognizione sulla passata
attività della Società allo scopo di verificare se si fossero create situazioni
a rischio e le relative cause;
-
mappatura rischi: il percorso di costruzione del Modello deve
prevedere l’individuazione delle tipologie di reato plausibilmente realizzabili
nella Società (‘ Reati
Presupposto’), e l’individuazione delle Attività Sensibili (o Processi
aziendali) nel cui ambito i Reati potrebbero essere in concreto realizzati;
-
risk survey: sulla base della situazione reale (controlli e
procedure esistenti in relazione alle Attività Sensibili), si devono
individuare le azioni di miglioramento delle procedure interne e dei requisiti
organizzativi essenziali per la definizione di un Modello ‘specifico’ di
organizzazione, gestione e monitoraggio ai sensi del D.Lgs.
231/2001”.
Infine la relazione si sofferma
sull’analisi di singoli casi e ricorda che la
politica per la sicurezza e salute sul lavoro adottata dalla Società
“deve porsi l’obiettivo di porre in essere tutte le azioni aziendali necessarie
nell’ottica di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori”. E
tale politica deve comprendere:
- “l'impegno a fornire le risorse
umane e strumentali necessarie;
- l'impegno al miglioramento
continuo ed alla prevenzione;
- l'impegno a considerare tali
tematiche come parte integrante della gestione aziendale;
- l'impegno a garantire che i
Destinatari, nei limiti delle rispettive attribuzioni, siano sensibilizzati a
svolgere la propria attività nel rispetto delle norme sulla tutela della salute
e sicurezza;
- l'impegno al coinvolgimento ed
alla consultazione dei Lavoratori, anche attraverso il loro RLS; - l'impegno ad
un riesame periodico della politica per la salute e sicurezza adottato al fine
di garantire la sua costante adeguatezza alla struttura organizzativa e produttiva
della Società”.
“ Il modello di organizzazione e
gestione nelle imprese”, a cura dell’Ing Luigi Pastorelli (Gruppo Schultz -
Risk Manager - Docente di Teoria del Rischio - Università La Cattolica del
Sacro Cuore, Roma - Direttore Scientifico Big Data Lab, Tor Vergata, Roma -
Direttore Scientifico Scuola CTU/CTP), intervento nella serie di incontri dal
titolo “Quale salute e sicurezza per i lavoratori nelle imprese? Metodologie
didattiche attive testimonianze e studi di caso” (formato PDF, 943 kB).
Tiziano Menduto
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