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"Inquinamento, la Corte bacchetta l’Italia sui valori di PM10"
fonte www.insic.it / Ambiente
19/02/2013 - Sulla Gazzetta europea del 16 febbraio, nella sezione Comunicazioni (C46), è stato pubblicato
il dispositivo della sentenza della Corte di Giustizia CE del 19 dicembre 2012 (
Causa C-68/11) sull’inadempimento dell’Italia in materia di inquinamento, con riferimento al
superamento dei Valori limite per le concentrazioni di PM 10.
La violazione contestata riguarda le disposizioni dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite del biossido di zolfo, del biossido di azoto, degli ossidi di azoto, delle particelle e del piombo.
In base al Dispositivo, l’Italia ha omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione europea del 2 febbraio 2009.
L’Italia aveva ammesso nelle sue osservazioni che tali valori limite non potevano essere rispettati entro i termini assegnati dalla direttiva 1999/30 per almeno cinque ragioni: assicurare il rispetto di tali valori limite avrebbe implicato l’adozione di misure drastiche sul piano economico e sociale, nonché la violazione di diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità.
Ma la Corte ricorda che, in mancanza di modifica di una direttiva che prorogasse i termini di attuazione, gli Stati membri sono comunque tenuti a rispettare i termini originariamente fissati e così l’Italia era tenuta a seguire i dettati della direttiva 1999/30/CE. Per di più la Corte ricorda che l’Italia non ha eccepito nemmeno che il superamento dei valori limite sia stato imputato ad eventi naturali, i quali danno luogo a concentrazioni che superano notevolmente i normali livelli di fondo originati da fonti naturali, fatto che le avrebbe permesso di dimostrare l’impossibilità di conformarsi agli obblighi europei per causa di forza maggiore.
Secondo la Corte, i rilievi dell’’Italia sono troppo generici e imprecisi per poter configurare un caso di forza maggiore che giustifichi il mancato rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati dalla Commissione.
La violazione contestata riguarda le disposizioni dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite del biossido di zolfo, del biossido di azoto, degli ossidi di azoto, delle particelle e del piombo.
In base al Dispositivo, l’Italia ha omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione europea del 2 febbraio 2009.
L’Italia aveva ammesso nelle sue osservazioni che tali valori limite non potevano essere rispettati entro i termini assegnati dalla direttiva 1999/30 per almeno cinque ragioni: assicurare il rispetto di tali valori limite avrebbe implicato l’adozione di misure drastiche sul piano economico e sociale, nonché la violazione di diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità.
Ma la Corte ricorda che, in mancanza di modifica di una direttiva che prorogasse i termini di attuazione, gli Stati membri sono comunque tenuti a rispettare i termini originariamente fissati e così l’Italia era tenuta a seguire i dettati della direttiva 1999/30/CE. Per di più la Corte ricorda che l’Italia non ha eccepito nemmeno che il superamento dei valori limite sia stato imputato ad eventi naturali, i quali danno luogo a concentrazioni che superano notevolmente i normali livelli di fondo originati da fonti naturali, fatto che le avrebbe permesso di dimostrare l’impossibilità di conformarsi agli obblighi europei per causa di forza maggiore.
Secondo la Corte, i rilievi dell’’Italia sono troppo generici e imprecisi per poter configurare un caso di forza maggiore che giustifichi il mancato rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati dalla Commissione.
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