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"Imparare dagli errori: incidenti nei pozzi neri e nelle reti fognarie"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro

25/07/2013 - Nei  pozzi, nelle  reti fognarie, nei  pozzi neri, nelle  fosse biologiche, nelle  vasche dei depuratori – vari ambienti di lavoro che rientrano generalmente nella categoria degli  ambienti o spazi confinati – avvengono numerosi incidenti gravi.
 
Dunque la terza tappa del viaggio di “Imparare dagli errori” attorno gli incidenti negli ambienti sospetti di inquinamento o confinato, dopo aver analizzato gli  infortuni nelle vasche, passa attraverso i  rischi dei pozzi. Rischi che, come vedremo, sono correlati spesso ad un molteplicità di rischi, ad esempio ai rischi tipici delle attività di scavo.
 
Gli incidenti presentati sono tratti dalle schede di  INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al  sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

I casi
Il primo caso è relativo ad attività di spurgo di pozzi neri e simili.
Un’impresa di tipo familiare, che ha da poco avuto l’appalto dell’attività di spurgo in un depuratore consortile, interviene con tre operatori per provvedere all’asportazione di fanghi residui in una vasca del depuratore. La vasca in muratura, profonda circa metri cinque, contenente fanghi biologici e non, possiede un’apertura di circa metri 1,20 x 0,80 coperta da due botole in ferro, utilizzate per ispezioni visive e apribili per permettere il sollevamento lungo le rotaie delle due pompe immerse. L’attività di spurgo dovrebbe consistere solo nell’immersione all’interno della vasca di un tubo flessibile collegato al camion cisterna, parcheggiato all’esterno del depuratore.
Due operai della ditta iniziano lo spurgo dei fanghi rimasti sul fondo, il terzo rimane nel cortile esterno del depuratore assieme ad un dipendente del consorzio. Ad un certo punto il tubo inizia a non aspirare più i fanghi, così uno degli operai decide di calarsi nella vasca per cercare di riposizionare il tubo flessibile, intervenendo in un punto vicino al suo imbocco, probabilmente perché di più agevole manovra rispetto al piano di lavoro sulla vasca, che si trova a 5 metri di altezza.
Inserita la catena di un verricello (utilizzato per manovrare le pompe) in una scala a pioli metallica, introduce la scala stessa nell’imboccatura della vasca ed inizia a calarsi; la scala non è di lunghezza tale da toccare il fondo né tanto meno da sporgere dalla vasca e pertanto ‘dondola’ appesa alla catena. L'operaio, dopo essersi calato per circa 4 metri nella vasca, riposiziona il tubo, per cui lo spurgo riprende normalmente ad aspirare i fanghi. Durante la risalita, giunto ad un metro dall’uscita, perde la presa probabilmente per effetto dell' inalazione dell’acido solfidrico precipitando nella vasca.
La persona rimasta in superficie esce dal fabbricato per chiedere aiuto ed avvisa il collega e il dipendente del depuratore che si trovano all’esterno. Il collega accorso decide di calarsi nella vasca per portare soccorso, utilizzando anch’egli la scala appesa alla catena; dopo essere sceso per circa due metri perde la presa e precipitava nei fanghi colpendo il primo infortunato. Vengono lanciati all’interno della vasca due salvagenti in dotazione, ma il loro utilizzo si rivelava infruttuoso, pertanto anche il terzo operaio della ditta tenta di calarsi, usando però una imbragatura in dotazione al depuratore ed attaccandola ad una normale corda, trattenuta dal dipendente del consorzio rimasto in superficie; iniziata la discesa dopo pochi scalini si sente male e chiedeva di essere tirato fuori senza riportare conseguenze.
I primi due operai muoiono per asfissia. Il superstite ha pochi giorni di prognosi per intossicazione da vapori solforati.
È risultato che gli operai “non avevano a disposizione nelle loro prassi usuali sistemi di rilevazione della salubrità dell’aria, non erano formati sulle procedure sicure di lavoro e avevano in dotazione inadeguati dispositivi di protezione delle vie respiratorie: erano infatti dotati di maschere a filtri combinati, comunque lasciate sul mezzo della ditta in quanto danneggiate. Non erano presenti nel depuratore dispositivi di allarme e sistemi di agevole recupero di persone dall’interno della vasca”.
 
Il secondo caso è relativo ad attività in un depuratore comunale.
I corpi senza vita di sei lavoratori (quattro dipendenti comunali e due dipendenti della ditta di espurgo) sono rinvenuti all'interno della vasca di raccolta dei fanghi spurganti delle vasche di sedimentazione di un depuratore comunale. I lavoratori erano intenti a eseguire i lavori di stasatura della tubazione che collega una delle due vasche di sedimentazione con la vasca di raccolta dei fanghi, mediante l'utilizzo di una lancia "idrogetto" collegata ad un autoespurgo.
 
Il terzo caso è relativo ad un incidente in un pozzo di discesa per raggiungere la fognatura comunale.
Un lavoratore si trova all’interno del pozzo di discesa, un pozzo profondo circa 4 metri. Lungo le pareti è stata allestita l’armatura necessaria per trattenere il terreno ed evitare il suo smottamento. Tale insieme di tavole di legno e puntelli, però, riveste le pareti del pozzo fino ad un certo punto (all’incirca fino ad un 1-1,5 metri dalla fine) e lascia quindi scoperto, su qualsiasi lato, il fondo, probabilmente per non creare intralcio durante lo scavo orizzontale. Il lavoratore si trova sul fondo del pozzo e sta incominciando a scavare in senso orizzontale, con utensili manuali, per raggiungere la fognatura comunale. Per sostenere il terreno durante tale scavo utilizza puntelli e travetti di legno. Il terreno, che è poco compatto, incomincia a muoversi ed esce nel punto in cui mancano le protezioni sul fondo. L’infortunato viene travolto da circa 1 m3 di terreno ed anche la protezione nella galleria orizzontale crolla. La morte avviene per soffocamento e schiacciamento all’incirca 10-15 minuti dopo lo smottamento. Già in precedenza la ditta di appartenenza era stata sanzionata in quanto non completava l’armatura dei pozzi di discesa fino al fondo e nella valutazione del rischio dell’azienda non era stato previsto il rischio di seppellimento a causa dello smottamento del terreno.
 
La prevenzione
Come dimostrato dai vari casi, i rischi negli ambienti confinati sono correlati a moltissimi fattori di rischio.
Ne segnaliamo, a titolo esemplificativo, alcuni, come riportati nel “ Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’art. 3 comma 3 del dpr 177/2011”, documento approvato dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro in relazione alle buone prassi richiamate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 14 settembre 2011.
 
Elenco di possibili fattori di rischio in ambienti confinati:
- “ asfissia: carenza di ossigeno a causa di processi fermentativi (formazione di anidride carbonica, acido solfidrico etc) e/o formazione/presenza/introduzione di gas che si sostituiscono all’ossigeno (azoto, monossido di carbonio etc.), intrappolamento in materiali sfusi cedevoli (cereali, granuli plastici, di catalizzatori, di supporti, inerti pulverulenti, prodotti alimentari, ecc.), etc;
- condizioni microclimatiche sfavorevoli: alta umidità, alta o bassa temperatura, utilizzo DPI a limitata traspirazione, tipologia lavori in corso, ecc;
- esplosione/incendio: evaporazione liquidi infiammabili, presenza/formazione gas infiammabili, sollevamento di polveri infiammabili e presenza di fonti di innesco di varia natura (cariche elettrostatiche, utilizzo utensili e attrezzature di lavoro che producono di scintille, impianti ed apparecchi elettrici, operazioni di taglio e saldatura, ecc.), ecc;
- intossicazione: presenza di residui, reazioni di decomposizione o biologiche, non efficace isolamento, ecc;
- caduta: mancata od errata predisposizione di opere provvisionali, mancato uso DPI, utilizzo attrezzatura non idonea o usata male (es. scala troppo corta o non vincolata), ecc;
- elettrocuzione: impianti/utensili non adeguati alla classificazione dell’area, non conformi alla normativa applicabile o in cattivo stato, errori di manovra (mancato isolamento elettrico), mancato coordinamento, mancato sezionamento/scollegamento elettrico ecc;
- contatto con organi in movimento: parti di impianto/macchine non adeguatamente protetti, utilizzo di attrezzature non idonee all’ambiente ristretto, ecc;
- investimento/schiacciamento: accesso da aree stradali, caduta di gravi, errori di manovra mezzi, mancato coordinamento in fase di ingresso/uscita;
- ustioni/congelamento: presenza di parti a elevata/bassa temperatura non sufficientemente protette; errori di manovra in macchine termiche (insufficiente raffreddamento/riscaldamento), ecc;
- annegamento: eventi meteorici improvvisi, infiltrazioni, mancato isolamento, ecc;
- atmosfera con eccesso di ossigeno: se la quantità di ossigeno è maggiore del 21% (concentrazione nell’aria in condizioni normali), esiste un aumento di rischio di incendio ed esplosione;
- seppellimento: dovuto all’instabilità del prodotto contenuto scoscendimenti di terreno o altro;
- rumore: dovuto alle attività lavorative svolte all’interno dell’ambiente confinato;
- rischio biologico: dovuto alla eventuale presenza o decomposizione di sostanze organiche (per esempio liquami)”. 
 
Infine riportiamo, sempre dallo stesso manuale alcune indicazioni per la gestione dell’emergenza negli ambienti confinati.
 
Gestione che deve prevedere il controllo di tre fasi fondamentali:
- fase di allarme: “se il lavoratore all’interno di un ambiente confinato avverte un malessere, perde i sensi o subisce un trauma, colui che sovraintende deve dare immediato allarme chiamando la squadra di emergenza interna, qualora prevista. Il sorvegliante non deve entrare nel luogo confinato senza prima organizzare l’intervento con altri soccorritori; ove previsto e secondo la procedura aziendale, deve immediatamente avvisare i Vigili del Fuoco e il Servizio 118”. Nel manuale della Commissione Consultiva sono riportati gli elementi minimi da fornire ai soccorritori esterni. Si ricorda poi che “può risultare necessario, prima di attivare il soccorso, procedere all’arresto degli impianti collegati alla situazione di emergenza che possano creare pericolo per gli operatori”;
- fase di recupero: “le persone che eseguono il salvataggio devono indossare DPI adeguati al tipo di intervento; è fondamentale essere provvisti di respiratori indipendenti dall’aria circostante o autorespiratori d’emergenza.  Nel caso risulti impossibile estrarre il lavoratore dall’ambiente confinato, è necessario fargli respirare aria pulita prelevata dall’esterno del locale. Va prestata particolare attenzione ai passi d’uomo verticali perché nelle fasi di salvataggio può risultare difficile ‘estrarre’ una persona non collaborante; pertanto le modalità di imbragatura dovranno evitare il basculamento del corpo e garantire l’estrazione in posizione verticale dell’operatore infortunato”;
- fase di trasporto: “una volta estratto l’infortunato dall’ambiente confinato, si procede al suo trasporto con l’utilizzo dei mezzi di movimentazione opportuni.  Nell’attesa dei soccorsi, in casi estremi di cessazione delle funzioni vitali, può essere necessario ricorrere alla rianimazione cardiorespiratoria da parte di persone addestrate con apposito corso di formazione sul Primo Soccorso, designate dal datore di lavoro ai sensi delle norme vigenti”.
  
Riguardo ai rischi di seppellimento, ricordiamo alcuni “Imparare dagli errori” dedicati a questo tema:

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